Il sociologo Zygmunt Bauman definisce la nostra epoca “modernità liquida”, cioè un vuoto annichilente e caotico, che avvolge tutti i lembi del nostro vivere, dalla famiglia al lavoro, dall’educazione alle relazioni amorose. In questo marasma etico e comportamentale, uno studente ventenne è costretto a guardarsi dentro, notando solo banalità, superficialità e aridità. Acquisita questa tetra consapevolezza, tenta in tutti i modi di reagire, tra buone letture, studio e amicizie, ma nulla sembra salvarlo da tale condizione. Solo la scrittura, la sua passione più viscerale, riuscirà a sottrarlo dal vuoto, conferendogli una sensazione di pienezza e beatitudine. Accanto a questa trama lineare, il libro sviluppa tematiche filosofiche e attuali, come la solitudine, le maschere, la morte e la dipendenza da social; ma anche la gioia, la passione, l’introspezione e il ruolo della famiglia.
Perché ho scritto questo libro?
Difendere il proprio “io” ed evitare la superficialità dell’esistenza: questo è per me il compito dell’arte, della scrittura in particolare. I motivi che mi hanno spinto a scrivere questo libro rientrano in tale missione. D’altronde, come costantemente avvertiva Nietzsche, stare in mezzo alla società significa inquinarsi, sporcarsi, perdere di vista se stessi. Ecco, con questo libro ho provato a mettermi nuovamente in contatto con il mio io e riscoprire alcune profondità dell’anima.
ANTEPRIMA NON EDITATA
La mia era incapacità di pensare e quindi di soffrire. Ero arrivato a toccare la vera e propria morte della ragione! Non sapevo più ragionare, tantomeno scegliere i miei pensieri, scegliere la sofferenza, in ultima analisi, decidere chi fossi. Ormai la mia condizione era di organismo senza facoltà intellettive, senza idee, senza felicità, ma soprattutto senza dolori. Già, c’è un punto comune che raccoglie tutta la storia della filosofia, della letteratura, dell’arte: l’umana specie è fatta innanzitutto per soffrire, angosciarsi per l’esistenza, ridursi l’anima a brandelli per il dolore di essere vivi. E io non ne ero più in grado! Non è assolutamente una cosa positiva.
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E allora, nella divisione degli individui proposta da Nietzsche, ero passato dall’essere un uomo spirituale all’uomo più banale che esista, cioè quello che non sa neanche soffrire. Proprio vero: la capacità di soffrire, di mordere il dolore, è virtù principale di ogni spirito forte; al contrario, essere incapaci di provare dolore significa non appartenere più alla razza umana. E io non ero più umano, e non provavo dolore per questo. Attenzione: non provare dolore non significa essere felici o beati, tutt’altro. La felicità si trova proprio quando si vedono i punti più bui e terribili della vita e si riesce a tenere gli occhi fermi e lo spirito indomito, nonostante tutto. Invece, la mia condizione era di chi rimaneva in superficie, senza soffrire, certo, ma senza neanche vivere.
Cosa può esserci di più lieve dello scappare da tale situazione di completa apatia? Vuole l’uomo fuggire la morte? Ebbene, io volevo fuggire la morte della ragione, cioè quella vera. Non è umano questo? I miei pensieri si discostarono da quella marmaglia insensata che avevano prodotto e confluirono nel torrente dei desideri, alimentandolo con una volontà particolare: fuggire , scappare, andare via, liquefarmi, scompormi, teletrasportarmi. Fuggire fu il desiderio che imperò in quella tetra sera, così abbagliante e opprimente da costringere ogni briciola del mio io a lavorare a tal scopo. Volontà: non di morte, non di vita, non di fama, non di tranquillità; la mia era Volontà di aria pulita, di un posto accessibile all’esistenza spirituale… insomma, un posto lontano da qua. “Qua” da intendersi sia come luogo concreto, inquinato e insalubre, come le nostre metropoli, sia come spazio dell’intelletto, ormai corrotto e denaturato dalla società contemporanea. Un posto dove poter essere, voler essere, dover essere! Un posto dove l’io può correre libero, felice dei suoi limiti e le sue capacità, dove il corpo può sanarsi e riposarsi, dove la mente possa vedere chiaro, esposta alla luce di un affidabile sole. Esiste forse un luogo del genere? Forse è esso la completa pace raggiunta dal Buddha? L’onniscienza di un Dio? O forse la contemplazione di Schopenhauer, il suo vuoto?
A chi cerca la mondanità e il piacere dei sensi io dico: giusta condotta! Tanto il nulla è, è in sé e per sé, meglio riempirlo con qualcosa, seppur irrilevante; cosa cambierebbe? “Fuggire, fuggire, fuggire, io voglio solo questo”: fu l’unica frase che il mio cervello partorì quella sera. Un desiderio ardente, feroce e sanguigno, che subordina sensi e spirito al suo ordine. Un’incessante marcia, una folla in tumulto, una rivolta irrefrenabile. Cosa era rimasto di me? Solo lo spazio mentale volto ad accogliere tale sconfinata necessità; tolta quest’ultima, il vuoto più totale. Passarono minuti, ore e giorni: quella follia dionisiaca non diede segnali di cedimento, anzi. Portò il suo ballo oltre il limite, la sua sfrontatezza sopra gli dei, il suo essere assoluta sopra ad ogni senso dell’esistere. Che sfrontatezza! Il mio animo era un bambino febbricitante, il quale emanava una maestosa volontà. Si alternarono tre soli e tre lune: al quarto giorno , il Grande Desiderio toccò il massimo delle proprie estremità, e…
Ludovica Andrenacci
“Gioventù, Maschere e Vuoto” è un libro che offre un’analisi penetrante della complessità della gioventù contemporanea. L’autore esplora il tema delle maschere sociali che i giovani indossano per nascondere il loro senso di vuoto interiore.
Il protagonista è un giovane in cerca di identità e significato. Le maschere che indossa per adattarsi alle aspettative sociali diventano un riflesso del suo desiderio di appartenenza, ma anche della sua lotta con un profondo senso di insignificanza.
Il libro non teme di affrontare temi oscuri e complessi, spingendo i lettori a esaminare le proprie maschere e il proprio senso di vuoto. Tuttavia, offre anche un messaggio di speranza, mostrando come il protagonista inizi a sgretolare queste maschere e a esplorare il suo vero io.
L’autore dipinge un ritratto realistico della gioventù moderna, che affronta pressioni sociali, l’uso eccessivo dei social media e la ricerca frenetica di validazione. “Gioventù, Maschere e Vuoto” è un libro che sfida i lettori a riflettere sulle proprie esperienze e ad abbracciare la loro autenticità.
In sintesi, questo libro è una lettura essenziale per chiunque desideri comprendere meglio i dilemmi della gioventù o cerchi ispirazione per affrontare il proprio senso di vuoto interiore. Con una scrittura coinvolgente e un messaggio potente, “Gioventù, Maschere e Vuoto” rimarrà con i lettori molto tempo dopo averlo chiuso.