Mattia ed Elettra sono due studenti universitari molto riservati e schivi, legati da una forte amicizia. La loro vita si intreccia, quasi casualmente, con quella di Michelle, cugina di Elettra, di Alexander – scrittore di fama mondiale e autore preferito di Mattia – e di sua sorella Ginevra. A loro si aggiunge Alfredo, tutore di Elettra, che si occupa di lei fin dall’incidente che le ha strappato i genitori, il braccio e la gamba sinistri.
Sullo sfondo di una Roma settembrina, durante una breve vacanza insieme, i sei amici vivono un’esperienza al limite del paranormale che li costringerà a rivedere tutto ciò in cui hanno sempre creduto, in un finale inaspettato che svelerà la soluzione a uno dei più grandi misteri dell’umanità.
Prologo
Il panorama cittadino, fatto di palazzi, auto e persone frettolose, scorreva distratto in quel tiepido maggio dal grande finestrino dell’autobus di linea.
Un ragazzo, vestito con dei jeans non pulitissimi, una maglia estiva grigia con la scritta “Hurricane” e un giacchetto leggero appoggiato sulle gambe, seduto sul primo sedile accanto alla porta anteriore, era intento a osservare il mondo di fuori con la stessa attenzione che si riserva a una conchiglia sulla spiaggia.
Alle orecchie un paio di cuffiette acquistate da un ambulante gli permettevano di vagare con la mente al suono di Under Pressure dei Queen, caricata sulla playlist di Spotify sul cellulare.
Proprio nel momento in cui David Bowie e Freddie Mercury iniziavano le strofe finali, sentì una mano toccargli la spalla. Un tocco leggero, quasi impercettibile. Un tocco che esprimeva, da solo, il timore e l’imbarazzo di chi lo aveva sfiorato.
Si girò, certo di trovarsi di fronte la solita signora di mezza età che, riconoscendolo come il classico bravo ragazzo, gli chiedeva la cortesia di lasciargli il posto. L’autobus però era semivuoto, per cui non riusciva a comprendere quell’eventualità.
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Invece i suoi occhi incontrarono quelli di una ragazza. Molto carina, con un sorriso così bello che bastava da solo a conquistarti.
La ragazza gli disse qualcosa, ma lui aveva ancora Bowie e Mercury che gli gridavano nelle orecchie, così non percepì neppure un suono. Si tolse uno degli auricolari e chiese, mortificato, alla ragazza: «Scusami? Non ho sentito…».
Lei senza perdere il sorriso ripeté quanto appena detto: «Ti ho chiesto se non ti spiacerebbe fare a cambio di posto. Mi sono messa qui dietro – indicò il sedile alle spalle del giovane – ma ho dei grossi problemi col senso di marcia. Volevo chiederti se possiamo invertirci prima che faccia vedere a tutti i passeggeri cos’ho mangiato per pranzo».
Il ragazzo lì per lì non capì il perché di quella richiesta. L’autobus era vuoto e la ragazza chiedeva proprio il suo posto? Ma non appena questo pensiero gli balenò nel cervello, abbassò lo sguardo e rimase senza parole. La ragazza, al posto del braccio sinistro e della gamba sinistra, portava due protesi assai vistose, tenuto anche conto dell’abbigliamento che indossava: shorts e maglietta a mezze maniche. Le protesi, oltretutto, non erano di quelle in silicone che simulavano, anche nel colore, l’arto mancante, bensì molto spartane: cuffie per i monconi e titanio a vista.
Il ragazzo non proferì parola, limitandosi ad alzarsi in assoluto silenzio, fissando come un ebete lo sguardo sorridente della ragazza, e facendole spazio. Lei si accomodò, con qualche piccola difficoltà, ma alla fine fece un sospiro come a dire “anche questa è fatta”.
La canzone era finita e ormai il cellulare era muto, dato che quello era l’ultimo brano della lista. Lui non se ne accorse neppure e rimase fermo, in piedi, con un auricolare nell’orecchio e l’altro che penzolava come un ciondolo. Lei lo guardò, senza perdere il sorriso, e gli parlò nuovamente: «Ti ringrazio davvero. Sai, è un po’ complicato cercare di mantenere il buon umore quando il panino che hai appena mangiato ti spinge vigorosamente sull’esofago gridando “lasciatemi uscire!”» rimarcando l’ultima frase con una vocina da ragazzino bisbetico.
Lui sorrise alla battuta. Lei ne approfittò e gli porse la mano destra: «A proposito, io sono Elettra, Elettra Boni. Tu invece?».
Lui le strinse la mano, liberando la mano destra dalla presa sulla ritenuta dell’autobus, che agguantò nuovamente con la mano sinistra.
«Io sono Mattia, Mattia De Santis.»
«Mattia, sbaglio o tu frequenti l’università?» disse lei osservando lo zainetto sulle spalle del giovane.
«Sì, alla Sapienza. [La Sapienza è il nome della prima università di Roma, la cui offerta formativa pubblica si compone anche della seconda università, Tor Vergata, e del terzo ateneo, Roma Tre. Vi sono anche università private, tra cui la Luiss, acronimo di Libera Università Internazionale degli Studi Sociali.] Secondo anno alla facoltà di Lettere. Tu invece?»
«Io frequento il primo anno di Fisica, sempre alla Sapienza. Magari ci siamo anche visti.»
«Non credo… ti avrei notata…» Poi si rese conto della palese gaffe e diventò rosso.
«Tranquillo, non mi offendo. Né io né le mie amiche» rispose osservandosi le protesi. «Anche perché hai ragione: non passiamo di certo inosservate.»
Lui però non smetteva di sentirsi mortificato per quanto appena detto.
«Stai tranquillo! Veramente!» rimarcò lei. «Non mi sono offesa.» Poi decise di cambiare completamente argomento per superare quel momento di stallo e imbarazzo. «Cosa stai ascoltando?» chiese, indicando l’auricolare a penzoloni.
«Al momento nulla» rispose Mattia guardando anche lui le cuffiette. «Ma prima ero intento a sentire un po’ di rock.»
«Forte! E cosa ascolti? Io conosco giusto qualcosa dei Guns N’ Roses e dei Queen.»
«E io stavo ascoltando giusto i Queen!»
«Cosa?»
«Under Pressure.»
«Non mi pare di conoscerla» rispose lei.
«Sicuramente l’avrai sentita. È molto famosa, ma magari non sai che si intitola Under Pressure. Tieni!» E le porse l’auricolare.
Lei lo infilò all’orecchio, avvicinando la sua testa a quella di Mattia per non far tirare troppo il cavo. Lui intanto riavviò la canzone.
Già dalle prime note Elettra si rivolse a lui. «Ah sì, la conosco, hai ragione. È quella che hanno cantato con David Bowie.»
«Esatto.»
I ragazzi rimasero lì insieme ancora un po’, vagando tra brani come Thunderstrack degli AC/DC, Welcome to the Jungle dei Guns N’ Roses o I Was Made for Lovin’ You dei Kiss, finché Mattia non avvertì che sarebbe dovuto scendere alla fermata successiva.
«Mi presteresti un momento il tuo cellulare?» gli chiese Elettra.
Lui acconsentì, senza chiedersi cosa dovesse farci; lei digitò in fretta, con la sola mano destra, una serie di numeri e lettere, poi fece partire una telefonata e si sentì il suo telefonino squillare.
Attaccò e porse nuovamente il cellulare al ragazzo.
«Ecco» disse. «Ora tu hai il mio numero e io il tuo. Sentiamoci, Mattia. Mi piacerebbe condividere altri momenti musicali con te.» Poi osservò il suo sguardo meravigliato. «Non preoccuparti, non sono una stalker e sono certa non lo sia neppure tu. Mi ha fatto piacere conoscerti.» Gli diede un bacio sulla guancia, lasciandolo decisamente senza parole.
Lui si avvicinò alla porta centrale e scese. Poi, immobile alla fermata, la osservò con uno sguardo imbambolato facendole ciao con la mano. Lei ricambiò mandandogli un bacio con la punta dell’indice.
Gabriele Guerrini
Questo commento è stato un’autentica sorpresa, da parte di una persona a me cara la quale ha letto il libro per la prima volta. Grazie davvero!
Maria Pia Buonaura (proprietario verificato)
Nonostante non sia il genere che più preferisco, di pagina in pagina mi sono appassionata ai vari personaggi. Non voglio rovinare il gusto di questa lettura a chi la affronterà, ma posso solo dire che la conclusione è stata davvero una inaspettata sorpresa.
Gabriele Guerrini
Quando tua sorella legge il tuo libro per la prima volta e in meno di 20 parole riesce ad esprimere ciò che tu volevi trasmettere. Grazie di cuore!
Giuliana Guerrini (proprietario verificato)
Una storia pacata ma misteriosa dal linguaggio pulito e delicato. Per un pubblico giovane.. ma non necessariamente “giovane” anagraficamente.