La notte di San Lorenzo é quel momento che rievoca anche il bacio dato all’amore estivo per la quale avevi una cotta, la sabbia fresca, il bagno di notte, la stella cadente ammirata per sbaglio, il desiderio di non essere bocciato a scuola, le canzoni di Ligabue, di Vasco Rosei suonate con la chitarra e cantate a squarciagola, l’alba da svegli. É una notte in grado di ridurre le distanze dalla vita sociale.
Quella sempre più bloccata dai muri virtuali che hanno eliminato quasi definitamente i dialoghi, le parole.
IL FERRAGOSTO
È il 1996
La sveglia suona alle 7.
È quasi tutto pronto.
Poche ore fa mio padre, mio nonno, i miei zii, hanno preparato tutto.
Hanno sistemato tutto l’occorrente.
Si deve arrivare in Sila molto presto, é prassi.
C’è un posto dove non ci va nessuno.
Il Ferragosto è una festa. Non una festa così, ma un evento sentito da tutti.
Sono un bambino che sta iniziando a capire realmente il significato del 15 agosto.
Mia nonna due mesi fa ha già stilato il menù, il cibo da portare.
Le pentole, le padelle, le teglie sono state già messe in ordine.
Per lei il Ferragosto é trascorrerlo con la famiglia, con i suoi cari. E non ha tutti i torti.
Il cellulare lo hanno in pochi.
Lei si attacca al telefono bianco a filo marchiato Telecom e parla ore e ore con gli altri perché nessuna dettaglio può essere lasciato al caso.
Un tavolo lungo qualche metro accoglie la pasta al forno con la provola, le polpettine, le “vrasciole”, la salsiccia, la carne, il pane, patate e peperoni.
Io, i miei cugini dobbiamo mangiare tutto perché altrimenti non possiamo andare a giocare tra gli alberi con il Super Santos pagato 5000 lire alla bancarella.
Le risate sono tante.
Le battute si sprecano.
I balli, grazie alla musica proveniente dallo stereo con la cassetta a nastro, caratterizzano il pomeriggio.
É una giornata meravigliosa.
É il Ferragosto calabrese.
Che non dimenticherò mai.
LA SEMPLICITÀ DEI PICCOLI POSTI
Ho sempre amato i posti piccoli. Quelli con le strade strette, i panni attaccati ai muri delle case, la parabola per la TV, le persiane in legno ed i lampioni che emettono luce arancione. Non conosco il motivo. Forse perché preferisco la semplicità.
In tal senso sono fortunato. Sono nato in Calabria, la vivo tutto il giorno con la consapevolezza di essere in luogo magico ma, allo stesso tempo, poco apprezzato. Non funziona tutto alla grande, sia chiaro, ma lamentarsi sempre, anziché rimboccarsi le maniche, non serve a nulla. Me lo diceva anche il mio amico Filippo, adesso imprenditore di successo grazie a sacrifici e bocconi amari buttati giù come se nulla fosse.
Penso alla Calabria sempre e comunque. Quando vado a dormire intendo meditare sul futuro della mia terra e delle persone che la popolano, compreso il sottoscritto. E la speranza, non lo nascondo, è quella di risvegliarmi il giorno dopo con delle novità importanti in grado di far abbozzare almeno un sorriso. Novità, che non devono riguardare le abitudini della gente.
La Calabria, meglio sottolinearlo, non è solo mare, montagna e cibo. È anche cultura, sacrifici, ospitalità e bella gente. É quella terra dove se scrivi su Facebook “Ho bisogno di un posto nel quale dormire”, la sera stessa ti ritrovi con centinaia di risposte che risolvono il problema. É quel posto dove ti trovi il caffè pagato al bar da una persona che non conosci. É il litigio tra anziani che discutono di politica. È la commessa del panificio che ti fa lo sconto sulla pitta, sul pane casareccio. É la Salerno-Reggio Calabria percorsa all’andata tra varie imprecazioni, mentre al ritorno il silenzio è tombale per il dispiacere. Tutte esperienze, più o meno provate, che strappano sempre un sorriso e fanno riflettere.
E in questo giorno dopo Ferragosto, che per molti assomiglia a una piccola tragedia dopo il divertimento di ieri, i concetti scritti in precedenza sono attuali. Perché è bello stare in Calabria. Perché è fondamentale non perdere la propria identità. Perché sentirsi beati di viverla è una sensazione impagabile. Anche guardando dei panni stesi al muro.
Nei vicoli.
LA CONSERVA DI POMODORO È FAMIGLIA
Quintali di pomodori ammassati in cassette di plastica gialle e rosse.
Tutta la famiglia riunita in una stanza arredata con una piccola cucina, due fornelli enormi e un passapomodoro.
Il periodo é sempre lo stesso: fine luglio e tutto il mese di agosto.
Si, perché in Calabria la conserva di pomodoro rappresenta un rito importante.
Accade da quando ero bambino. Da quando tornavo dal mare e trovavo il colore rosso dominare su tutto, anche sullo strofinaccio bianco con i Bronzi di Riace raffigurati.
“Chi mi passa il cucchiaio di legno?”
Un coltello, per favore. Ma quello senza la punta arrotondata”
“Ma questi pomodori dove li avete presi? Sono durissimi”.
“Iniziate a girarli perché ancora non sono cotti”.
Tutti dialoghi dal sapore romantico che facevano da contorno al basilico immerso nelle bottiglie riciclate dei succhi di frutta, della gassosa al limone, della Brasilena.
Le stesse bottiglie che da lì a poco avrebbero accolto quella salsa rossa e genuina. Quella che mi avrebbe fatto compagnia per un anno.
Il momento più bello, però, arrivava sempre intorno alle 13 quando nonno e nonna proferivano una frase che faceva illuminare gli occhi a tutti. “Ma voi non avete fame? Volete assaggiare questa salsa con degli spaghetti? Ci metto un attimo”.
Parole che suscitavano una reazione incredibile. C’era chi abbozzava un sorriso, chi cambiava espressione con la salivazione completamente azzerata.
C’ero anche io che, insieme ai miei cugini, rispondevo immediatamente “Siiiii”.
Una sorta di sentenza che veniva accolta dai presenti con una sonora risata.
E quel chilo e mezzo di spaghetti, al dente come vuole la tradizione, dopo aver fatto l’amore con quella passata dal colore rosso fuoco, venivano divorati in pochi minuti. Come in una favola che vedeva la famiglia unita. Perché la conserva di pomodoro é aggregazione, tradizione.
Ancora oggi.
LA CASSETTA DELLA POSTA
A me la tecnologia piace. Piace perché è comoda. Piace perché -nella maggior parte dei casi- non ti fa perdere tempo.
La uso per lavorare, pagare le bollette, il bollo auto, ordinare una pizza, acquistare vestiti e qualsiasi altro tipo di oggetto nei negozi che si trovano anche a più di 1200 km di distanza.
Il mondo -sotto questo aspetto- ha fatto passi da gigante, migliorando la vita di ognuno di noi.
Ma la tecnologia, lo smartphone, il tablet con lo sfondo colorato, non potranno mai sostituire il fascino della cassetta postale.
Lì, dove almeno una volta nella vita abbiamo inviato una lettera d’amore scritta con il cuore e con la mano tremante.
Una volta aspettavi mesi per ricevere una risposta.
Dipende se avevi messo la lettera nella casella “Per la città” o “Per tutte le altre destinazioni”.
Non c’era mica la mail di conferma per la posta inviata e ricevuta.
E immaginavi la persona che ti piaceva impegnata a leggere quel pezzo di carta riempito di concetti significativi.
C’erano dentro tutte le sensazioni, le emozioni che solo una lettera -imbucata nella cassetta rossa- poteva darti.
E non c’è tecnologia che tenga.
Ancora adesso.
DOMENICA
A me la domenica piace.
Mi piace perché alle 8 del mattino sento già il profumo del sugo di pomodoro che cuoce lento.
Perché non ascolto la sveglia delle 7.
Perché fuori è una festa con il canto degli uccellini.
Perché rimbombano i suoni della natura.
Perché la città è silenziosa senza clacson e frenesia.
Perché posso godermi le bellezze artistiche in totale tranquillità.
Perché al bar non esiste la solita fretta per bere un caffè.
Perché vedo la gente con il giornale sottobraccio.
Perché il mare luccica.
Perché i gabbiani sfiorano l’acqua cristallina.
Perché la pasticceria viene presa d’assalto.
Perché l’aria è “fresca”.
Perché “domenica è sempre domenica”.
Anche se é la penultima di agosto.
NOSTALGIA ESTIVA
Niente palette e secchielli sulla spiaggia.
Niente ombrelloni.
Niente castelli di sabbia.
Niente urla festanti dei bambini.
Niente tuffi.
Niente versi dei gabbiani.
Niente barche, vela, pedalò.
Niente mare cristallino.
Niente balli di gruppo.
Niente abbronzatura.
Niente pranzi improvvisati.
Niente feste, aperitivi, schiuma party alle sette del pomeriggio.
Niente uscite serali.
Niente falò.
Niente baci al chiaro di luna.
Niente alba, tramonto in riva al mare.
Si sentono solo il tocco della pioggia sulla battigia e il rumore dei tuoni.
Un’altra estate sta finendo.
Ma di diventare grande proprio non mi va.
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