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Grandi storie di un piccolo uomo

Daniel Caaria
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Consegna prevista Novembre 2025
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Il libro segue le vicende di James Larkin, un uomo che vive a New York e affronta gli alti e bassi della vita in un periodo di rapidi cambiamenti sociali. Il protagonista è un uomo complesso, intrappolato tra il cinismo e un profondo desiderio di connessione con gli altri. La sua esistenza è segnata da una costante mancanza: mancanza di relazioni autentiche, di un senso di appartenenza e di equilibrio emotivo. Nonostante le numerose interazioni quotidiane, James si sente isolato, come se il mondo intorno a lui scorresse su binari che non riesce mai a raggiungere.
La scelta di ambientare l’opera nell’America della fine degli anni Sessanta non è casuale: è un periodo cruciale in cui la società moderna inizia ad abituarsi al tardo capitalismo e alle sue profonde implicazioni sui rapporti umani. Il consumismo e l’individualismo crescente creano un contesto in cui le connessioni umane si fanno più superficiali, strumentali o difficili da mantenere.

Perché ho scritto questo libro?

Sentivo il bisogno di scrivere non più solo di ciò che ho vissuto in prima persona, ma di temi che conosco come osservatore e cittadino del mondo. Così è nata la storia di James Larkin, un personaggio umano che ha in sé vizi e pregi, debolezze e insicurezze che appartengono ad ogni individuo.
James rappresenta l’uomo nella condizione di paralisi davanti alla difficoltà di creare legami autentici e il desiderio di dare un senso alla propria esistenza in un mondo complesso e spesso alienante.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Dalla California alla luna

Quando l’Apollo 11 decollava diretto verso la luna, James Larkin sedeva su una sedia reclinabile accanto alla piscina di un hotel di West Hollywood, approfittando della prima occasione in cui poteva finalmente godersi il meteo assolutamente perfetto della città degli angeli.

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Nei suoi viaggi precedenti, ogni volta pioveva o non c’era il sole e il cielo era cupo, e senza che fosse richiesto qualcuno se ne usciva sempre con frasi del tipo “È strano, non è mai successo in questo periodo dell’anno”. Quando qualcosa non andava per il verso giusto a Los Angeles, le persone tendevano a dire che fosse la prima volta in assoluto che capitava. Ma le cose andavano male di rado. E sicuramente sarebbero andate bene in quel viaggio. Un filosofo a bordo piscina, seduto di fianco a lui, diceva che quell’hotel era probabilmente l’ultimo posto al mondo in cui sarebbe arrivata la notizia del viaggio sulla luna. “Perché stanno ancora cercando il modo di lucrarci sopra come si deve. Stanno solo temporeggiando per capire come farlo per bene, e poi vedrai come lo annunceranno…”, diceva il tizio. Larkin stava pensando allo sbarco sulla luna, ma sotto il costante tepore di Los Angeles non avrebbe potuto ammettere che la cosa lo occupasse troppo seriamente.

Stava concludendo il suo viaggio “di lavoro” sulla costa occidentale, spremendo fino all’ultimo ogni goccia di ciò che era parte di quell’avventura. Era anche riuscito ad allacciare il decollo del suo ritorno con il decollo dell’Apollo, e secondo i suoi calcoli sarebbe riuscito a vedere l’atterraggio una volta tornato a New York.

Suo figlio era al campo estivo nel New Hampshire e al telefono gli aveva chiesto di racimolare quante più copie del “New York Times” con lo sbarco in prima pagina. “Riesci a immaginare quanto varrebbero oggi le copie del ‘Times’ con i fratelli Wright in prima pagina?”. Larkin apprezzava lo spirito di intraprendenza del figlio e decise di impegnarsi nella sacra promessa di comprare almeno dieci copie da un edicolante che conosceva da anni, sperando che magari raccontandogli che le aveva chieste suo figlio volesse fare la figura dell’amicone e gli avrebbe fatto pagare la metà, se non addirittura regalate. Nel frattempo però, era ancora impegnato nel suo desiderio erotico chiamato Los Angeles.

Aveva già fatto alcuni brevi viaggi di ricognizione, riuscendo a malapena ad avere il tempo per disfare le valigie. Ma quella era stata una visita di un mese e sentiva come se alcuni dei semi che aveva sparso in precedenza fossero fioriti. Sapeva di non essere l’unico al mondo ad apprezzare tanto la California, ma si chiedeva sinceramente se la sua storia d’amore non fosse la più bella. “C’è qualcuno che ama il succo fresco delle arance di Santa Monica quanto lo amo io?”. Ci pensava ogni mattina, quando faceva colazione bevendone due bicchieri che accompagnavano un toast. E lo stesso faceva con la lattuga. Chi aveva mai sentito parlare di una lattuga che aveva mai sentito di una lattuga che aveva così tanto morso, spezzettato e scricchiolato sotto i denti? Amava condirla con dell’olio e berci insieme un buon vino, anzi, un ottimo vino. Solo se avevi sfortuna scendeva sulla soglia del buono. In qui viaggi tracannava vino come acqua e questa era un’altra cosa: non si ubriacava mai a Los Angeles, non importava quanto dovesse bere. Alla maniere di molti newyorchesi, aveva parlato un po’ troppo affettuosamente dei ristoranti di New York sull’aereo per Los Angeles, e senza rendersene conto stava sminuendo i ristoranti di qualsiasi altro posto. Il tizio accanto a lui che fino a quel momento era stato piuttosto gioviale. Abbassò improvvisamente il tono della voce, sembrando improvvisamente minaccioso, quasi crudele mentre chiese “In quali ristoranti di Los Angeles sei stato?”.

“Ti ho offeso?” disse Larkin.

“Mi stupisce, tutto qui”, disse lui. Poi chiese se fosse stato in questo e in quell’altro posto nominando almeno una dozzina di locali senza aspettare un riscontro da Larkin che alla fine rispose di non aver mai sentito parlare di questo locale e di non essere mai riuscito a prenotare in quell’altro.

Il tizio, prima amichevole, gli rivolse ora il sorriso più sottile al mondo e si mise comodo guardando fuori dal finestrino alla parte opposta a Larkin.

A Los Angeles provò alcuni dei suggerimenti del tizio, e doveva ammettere che fossero ottimi, nonostante la durata della cerimonia della preparazione durasse di più dell’effettiva degustazione. Una cameriera si avvicinava, faceva un piccolo inchino e diceva qualcosa come “Sono Debora Johnson, e per stasera sarò la tua cameriera! Ed ecco qui la tua speciale forchetta per la tua prima volta nel nostro locale…”. Se qualcuno ci avesse mai provato in un locale di New York, la maggior parte dei suoi amici, e

probabilmente lo stesso Larkin, avrebbero passato l’intera serata pensando all’assurda presentazione del cibo, figurarsi se gli avessero dato anche la forchetta speciale. E si sarebbero sbagliati. Ma non potevi ammettere di apprezzare le elaborate presentazioni con forchetta speciale annessa, a New York. Ma a Los Angeles, lì sembrava sempre tutto a posto.

Ma più dei ristoranti, i cinema, le case, era il fatto stesso di esserci arrivato. Amava vestirsi nell’ombra fresca della sera per poi decidere di rimanere mezzo vestito, potevi farlo, se eri a Los Angeles.

Larkin non era tipo da fare viaggi simili, ma una volta ne fece uno diretto in una antica città muraria nell’Asia Centrale. Era probabilmente il primo viaggio in aereo che qualcuno faceva in quel posto del mondo dimenticato da Dio e da qualsiasi altro dio di altre religioni. Era lì a spese proprie, senza che la troupe ne sapesse niente, solo per dare un’occhiata alle location e alle scenografie di un suo soggetto, e nel giro di pochi giorni era di nuovo al JFK di New York. Non ne aveva parlato con nessuno e non voleva convincere nessuno di questo. Ma la sensazione intensa, vertiginosa, solitaria e pulsante di trovarsi da solo in un posto del genere era altrettanto profonda di quella che provava quando si avvicina alla striscia nel bagno squallido di qualche locale.

La luce pulita e bianca della Sunset Strip lo stupiva da sempre: lo stupiva il lento e costante via vai dei ragazzi, drogati dai led, stupiti dalla brillantezza dei manifesti che pubblicizzavano i fine settimana da passare al lago Tahoe, che là in alto, di fronte ad un enorme manifesto di Marlboro-Man, sembravano film proiettati per un pubblico di nuvole. Larkin si chiedeva come era possibile creare delle immagini così grandi, sorprendenti e chiare.

Era consapevole naturalmente, che parte del fascino era dato da lui e non dalla California. Amava dire che quando arrivava a ovest non c’erano mai problemi, ma solo in California sentiva di poterlo dire ad alta voce. Diceva che le persone imbronciate erano dei musoni, che un’esperienza sfortunata era un brutto viaggio, arrivando a descrivere una donna sorridente come una donna esplosiva. C’era sempre qualcuno per con lui in quei momenti che potesse rispondere con una smorfia di sorriso. A New York, la pressione era troppo alta per avere un momento libero da sprecare inventando degli stupidi nomignoli. Lì se la poteva cavare con una frase passivo aggressiva stando attento a pizzarla tra parentesi.

In California James Larkin non aveva debiti, matrimoni falliti, ansie da prestazioni per lavori non conclusi. Bastava lasciarlo una giornata a New York senza far niente si sarebbe sentito lo stomaco sottosopra. In California c’era sempre il giorno successivo per andare avanti con il lavoro. C’era sempre un sacco di tempo. Avrebbe sentito i rulli di tamburi dall’eccitazione nel momento in cui sarebbe salito sull’aereo diretto verso Los Angeles. Quaranta minuti su un aereo per qualsiasi altro posto sembravano infiniti punto ma un viaggio di cinque ore fino a Los Angeles erano un lusso.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Daniel Caria
Daniel Caria nasce a Ceva nel 2004 e cresce nella provincia di Savona in Liguria dove studia Media, Comunicazione e Società all'Università degli Studi di Genova. Dal 2023 ha auto-pubblicato due raccolte di racconti, "Piccoli Spazi" (2023) e "Primo Semestre: frammenti di un giovane jazz" (2024). Prossimamente, insieme a bookabook verrà ufficializzato il crowdfunding del suo primo romanzo "Grandi Storie Di Un Piccolo Uomo".
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