La cosa abbastanza curiosa fu l’estrema tranquillità con cui si preparò a compiere quel gesto. Luca non si era minimamente chiesto se stesse facendo qualcosa di sbagliato. In quel momento, nella sua mente, c’era solo un obbiettivo: portare a termine la sfida. Se avesse avuto un barlume di lucidità in più, forse, Luca si sarebbe ricordato che cinque anni prima, quando Sandro raccontò loro la storia del cugino Filippo che tirò un sasso proprio a quella finestra, lui stesso si era indignato per il fatto. La ritenne un’azione vile, all’epoca, tipica degli stronzi. Ora invece, mentre soppesava il sasso nella mano destra, la storia si stava ripetendo ma a parti invertite.
Dopotutto, era piuttosto normale. Cose simili avvenivano tutti i giorni attorno a lui, in tutto il mondo: la matricola bullizzata che diventa il veterano bullo; lo specializzando sfruttato che diventa lo strutturato sfruttatore; il neo assunto che copre le mancanze del superiore che poi diventa il capo assenteista e così via… fino al giovane ragazzo per bene che diventa stronzo. Quel ruolo era lì ad attenderlo, a portata di sasso. Perché stronzi si diventava, non ci si nasceva. Tutto qui. Ognuno doveva recitare la propria parte, anche a 15 anni (quasi 16). La ruota stava girando e il cerchio si stava chiudendo. Perla stessa lo pretendeva: “Largo ai giovani, dunque. Che le nuove leve si facciano avanti”, sussurrava nell’inconscio.
Luca prese la mira. La distanza era molto meno proibitiva questa volta. Lanciò il sasso dritto per dritto in direzione del vetro e stavolta non lo mancò. Lo centrò in pieno, spaccandolo esattamente nel mezzo. I frammenti scrosciarono a terra e il frastuono si perse nell’ambiente, ma se anche fosse risalito verso le abitazioni più in alto, nessun residente avrebbe dato peso a un vetro rotto dalle parti di casa di Lucia.
Il resto della comitiva vide tutta la scena da lontano. Al boato della finestra infranta, tutti si accucciarono istintivamente.
«Che botta, cavolo», disse Ciop a bassa voce.
Rimasero tutti fermi e in silenzio, Luca compreso, in attesa di un qualche tipo di segnale. Ma non avvenne nulla. Nessuno strillo, nessun rumore, nemmeno il più piccolo movimento. Lucia non era in casa: via libera.
«Guardate», disse Viviana. «Sta andando!»
Diversi metri più in basso, Luca infilò una mano nello squarcio del vetro, girò la maniglia dal lato interno e aprì la finestra. Poi salì sul davanzale e in poche mosse atterrò sul pavimento della casa di Lucia.
Il soggiorno era piuttosto disordinato ma non tanto quanto si sarebbe aspettato. Accostò le ante della finestra dietro di lui, senza chiuderla del tutto. La luce che entrava dai vetri non era molta ma bastava per delineare i profili di alcuni mobili, sedie ecc.
Accese comunque la torcia di Sandro ed ispezionò l’interno dell’abitazione. Il cerchio di luce andava ad illuminare gli anfratti, in cerca di risposte ai tanti miti che ruotavano attorno al nome di Lucia. Non c’erano cadaveri, né macchie di sangue e questo era già parecchio.
Il fascio di luce si spostò sulle pareti. Notò un orologio a lancette che segnava le 00:45. Più in basso un calendario di Frate Indovino. Continuò a scorrere con la torcia ma un dubbio lo assalì quasi subito. Per cercare conferma tornò indietro al calendario. Non si era sbagliato, c’era qualcosa di strano in effetti: il calendario non era del 2004 ma di ben 14 anni prima. La pagina era quella del giugno 1990. Notò un cerchio rosso attorno al giorno 21, un giovedì. Non comprendendone il significato, Luca proseguì oltre.
Nel lavandino macchiato, c’erano un paio di piatti sporchi. Sul ripiano da cucina un coltello, forse lo stesso che Lucia teneva incartato quel pomeriggio in montagna. La superficie del piano continuava fino al frigorifero. Luca, non senza timore, lo aprì. La luce fredda dell’elettrodomestico lo illuminò interamente. Luca tirò un sospiro di sollievo notando che al suo interno non c’era nessun gatto, né intero, né a pezzi. Anzi, il frigo era abbastanza desolante e semi vuoto. C’era giusto qualche verdura, un pezzo di formaggio con tracce di muffa, un piatto con della pasta avanzata, due uova e poco altro. Nel freezer c’era poca roba e nemmeno tra la carne surgelata notò qualcosa che potesse ricondurre ai gatti. Seppur con fatica, il ragazzo si convinse di una cosa: Lucia era a posto per quanto riguardava il mistero dei felini.
Lasciò perdere la cucina e proseguì nel resto della casa. Ci stava prendendo gusto e man mano che passavano i minuti si ricredeva sulla gara indetta da Sandro. Il suo amico ci aveva preso anche quella volta, non c’era altro da aggiungere.
Alle sue spalle vide un piccolo corridoio che conduceva a tre porte. Due di queste erano aperte, quella di fronte chiusa. La sua testa, ovviamente, gli disse di provare subito con la centrale. Abbassò la maniglia ma la porta non si mosse minimamente. Provò a forzare un po’ ma non ci fu nulla da fare. Era chiusa a chiave. Non era il caso di prenderla a calci. Si accontentò di controllare le altre due stanze. Una era il bagno e quindi la scartò immediatamente dalle sue curiosità. L’altra era la camera di Lucia. C’era un letto semplice con una brandina a rete metallica. Il resto dello spazio era occupato da un comodino, un armadio guardaroba, una cassettiera e uno scaffale vuoto. Sul comodino, sotto una vecchia abat jour senza lampadina, c’era una cartellina. Si avvicinò e notò che al centro della cartellina c’era una grande L scritta con un pennarello. Il raccoglitore conteneva molti fogli con appunti, scritte e cancellature.
Luca non fece in tempo a leggere che il suo cellulare prese a vibrare, facendolo trasalire. Era Ciop e la cosa lo preoccupava alquanto. Il cuore cominciò a pompargli forte nel petto. Poteva sentirne il rimbombo all’interno della stanza. I respiri si fecero più pesanti. Non poteva far altro che rispondere.
«Pronto?»
«Luca, lascia…» disse la voce di Ciop ma durò solo un secondo. Un suono metallico la distorceva. Le parole del suo amico non erano più riconoscibili.
«Ciop? Ragazzi? Non capisco niente.»
Le frasi dall’altro capo del telefono venivano alterate. Era come ascoltare il nastro smagnetizzato di una cassetta.
«Ora… davanti… corri…» Le poche parole udibili uscivano dall’apparecchio con la fretta tipica del terrore. Luca capì che qualcosa lì fuori non stava andando per il verso giusto. Così attaccò e infilò il cellulare in tasca. Prima di fuggire, afferrò la prima cosa che gli venne in mente per portare a termine la sfida: la cartellina di Lucia con gli appunti interni. Corse fuori dalla stanza ma facendo quel movimento fece cadere diversi fogli dal lembo aperto del raccoglitore. Vide le pagine scritte spargersi a terra ma non c’era tempo per riprenderle e sistemarle. Tornò in salotto e proprio in quel momento una chiave si infilò dentro la serratura della porta di ingresso. Impulsivamente, Luca spense la torcia e si accovacciò sotto il tavolo. La porta si spalancò verso l’interno e la sagoma di Lucia apparve sull’uscio, illuminata da dietro dalla luce esterna. Nella mano sinistra teneva il corpo di un animale, probabilmente morto. Lo guardò meglio: era un gatto.
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