Viaggiare, dunque, nel modo in cui ho tentato di esprimerlo sopra, è quello che amo, la mia più grande passione e, oserei pure, la mia “dipendenza”.
Proprio per questo, una mattina mi sono svegliato e ho pensato:
“Ce l’ho… Balcani!”…
Ma facciamo un piccolo passo indietro…
Da tempo, ormai, ogni anno programmo una settimana di ferie nel mese di novembre da dedicare a un viaggio: un po’ perché i voli non sono particolarmente cari, in questo mese, un po’ perché, da quando vivo in Inghilterra, il penultimo dei mesi dell’anno è tra i più deprimenti e piovosi da affrontare. Ma, se devo dirla tutta, semplicemente perché, al lavoro, non scatta in questo periodo la classica “faida” per le ferie… a nessuno, tranne che a me, interessa questo periodo per mettersi in movimento e così, da cinque anni, a novembre sono puntualmente “in viaggio”.
Anche in questa occasione, dunque, tante idee mi giravano per la testa. Avendo una sola settimana a disposizione, non volevo andare molto lontano e, allo stesso tempo, non volevo neanche sfruttare quei giorni per tornare a casa nella mia natìa Roma, che avrei comunque raggiunto subito dopo, per il Natale. Dopo avere per un attimo accarezzato l’ipotesi di Muskat, capitale dell’Oman (ci andrò, comunque, prima o poi), ed essermi interrogato su quali luoghi dell’Europa mi mancassero all’appello, alla fine la “rivelazione” è arrivata: “Polonia? No, troppo freddo. Russia? Visto troppo costoso e, anche lì, decisamente troppo freddo. Bulgaria? Mhmm, aspetta… Ce l’ho: Balcani!”.
Quella dei Balcani, in realtà, era una zona dell’Europa che avevo sempre voluto visitare, per via della sua posizione un po’ ai margini del Continente e per le prevedibili differenze culturali che ne potessero derivare ma, per un motivo o un altro, ancora non mi era capitato di farlo; dentro la mia testa, mi immaginavo già a visitare zone misteriose e dal passato burrascoso, a incontrare la popolazione locale molto meno avvezza al turismo di massa e con una forte influenza sia slava che turca; l’insieme dei Paesi dei Balcani, infatti, costituiva, in passato, lo Stato della Jugoslavia, ex repubblica socialista nata alla fine della Seconda Guerra Mondiale e che nei primi anni Novanta si è scissa, dopo una guerra civile, in vari Stati indipendenti che, ancora oggi, formando una sorta di puzzle, dal confine con l’Italia arrivano fino all’Albania e alla Grecia. Pensavo, allora, che proprio per la loro conformazione fisica, questi Paesi si prestassero bene al tipo di viaggio che avevo in mente, volto ad attraversare tutto il territorio dell’ex Repubblica Federale per sviscerare fino in fondo le varie differenze tra gli ex Stati che poi ne hanno portato alla scissione. Progettavo, dunque, di iniziare il tour da una città il più possibile all’estremità dell’area da visitare e di tornare in Inghilterra, dove vivevo a quei tempi, dal lato opposto rispetto a quello da cui ero arrivato. Certo, il periodo dell’anno scelto non era dei migliori: consultando, infatti, il sito della Farnesina, per accertarmi dei visti necessari (fortunatamente non ne occorrevano), avevo letto di possibili pericoli dovuti alle piogge autunnali. Ora, precisiamo che per la Farnesina anche una gita a Rocca di Papa presenta un certo livello di rischio e il consiglio è sempre quello di “evitare luoghi di assembramento, non uscire nelle ore del giorno più trafficate ed evitare di prendere i mezzi pubblici”; questa volta, però, la sua eccessiva prudenza, unita alla non proprio ottima qualità delle strade balcaniche, in particolare di quelle serbe e bosniache, delle quali avevo sentito parlare, non mi lasciava esattamente tranquillo, soprattutto in un mese così piovoso come quello che avevo scelto.
Esaminando su Google Earth la cartina dei Balcani, avevo deciso di arrivare a Belgrado, in Serbia, e poi da lì prendere un qualsiasi mezzo di trasporto, preferibilmente un treno, che mi avrebbe portato in ordine a Sarajevo, Zagabria e Lubiana, in un tragitto verso nord che avrebbe attraversato i principali Paesi dell’area, tralasciando però, purtroppo, Montenegro e Macedonia per mancanza di tempo oltre che per scomodità, non essendo, soprattutto il primo, ben collegato con gli altri Paesi. Ero ben consapevole che la parte più difficoltosa e “rischiosa” del viaggio sarebbe stata quella dall’inizio fino all’arrivo a Zagabria; da lì in poi, ero convinto, le strade sarebbero state migliori. «Dopotutto la Croazia fa parte dell’Unione Europea», pensavo, e la reputavo molto più “occidentale” della Serbia: una volta arrivato in Croazia, dunque, potevo considerarmi “salvo”. Avevo nel frattempo avuto un’altra bella idea, quella di non interrompere il viaggio al confine croato ma di proseguire fino in Italia per poter visitare finalmente Trieste, nei piani da sempre ma scomoda da raggiungere e lontana da Roma.
Dopo un’occhiata a Internet, mi ero reso conto della quantità di luoghi da vedere e di quelli che, molto probabilmente, avrei dovuto tralasciare per mancanza di tempo: Mostar, i laghi di Plitvice, Zara, Dubrovnik (Ragusa per noi italiani), Bled e altri ancora. Non potevo poi essere così sorpreso: l’area geografica che volevo visitare era molto ampia e richiedeva necessariamente più della misera settimana di tempo che avevo preventivato. Inoltre, occorreva sommare pure il tempo necessario agli spostamenti da un luogo all’altro. Tanto per darvi un’idea dell’efficacia dei collegamenti, non esistono treni che facciano la tratta Belgrado-Sarajevo o Sarajevo-Zagabria, ma soltanto autobus, i quali, per i suddetti viaggi, impiegano dalle sei alle otto ore. Anche per questo motivo avevo deciso di non affittare una macchina e di affidarmi, invece, a un autista che conosceva bene le strade e lo stile di guida del posto; inoltre, devo confessare che ho sempre odiato guidare (sarà che aver vissuto il traffico di Roma per trent’anni rende odioso guidare anche un triciclo) e così, quando viaggio, tendo sempre a scegliere i mezzi pubblici (almeno quando è possibile).
Non molte persone che conoscevo fino ad allora avevano fatto un viaggio del genere (magari questa cosa doveva farmi riflettere?) ma, parlando qua e là, avevo sentito pareri molto positivi su Lubiana e avevo quindi deciso di programmare due notti in questa città e altre due a Trieste, così da avere l’eventuale possibilità di raggiungere Venezia in giornata, se ne avessi avuto voglia. Va da sé che il quantitativo restante di giorni mi permetteva di rimanere una sola notte in ognuna delle altre città scelte ma, ahimè, mi costringeva purtroppo a dover sacrificare anche un sacco di tempo per gli spostamenti che, in particolare nella prima parte del viaggio, mi avrebbero rubato, sommando tutte le ore necessarie, praticamente un’intera giornata.
Più si avvicinava la data di partenza e più, mentre la mia mente disegnava scene di strade chiuse dal fango e collegamenti bloccati dal maltempo, si creava in me un senso di disagio. Possibile che mi fossi fatto influenzare così tanto dagli avvertimenti della Farnesina? In fondo non si trattava del mio primo viaggio e non era nemmeno la prima volta che leggevo gli avvisi allarmanti del nostro Ministero degli Esteri. Eppure, partire in quella settimana mi stava creando uno strano senso di inquietudine più che il solito eccitamento che precede ogni partenza; decisi, dunque, di non pensarci più… non potevo farmi condizionare in questo modo e, dopotutto, stavo per fare quello che più amavo: viaggiare.
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