«Venti! Devi sbrigarti Fulgur, altrimenti ti batterò ancora!» Rispose Letho ridendo. Ogni fendente portava la morte, lo scudo sempre nel posto giusto al secondo giusto e dove questo non bastava, un’armatura completa rendeva vani gli sforzi dei nemici.
«Invece di fare i bambini, concentratevi!»
Fulgur rise nuovamente, mentre con un pugno coperto d’acciaio e carico di elettricità fracassò elmo e cranio di un Senza Anima, facendo schizzare ossa e sangue sul campo di battaglia. «Tua moglie è tanto dolce a casa, quanto dura in battaglia!»
«Ormai la conosci da tempo, dovresti esserci abituato.»
«Ripeto, concentratevi! Sapete benissimo che questa battaglia non è normale.» Kira scoccò una freccia dal suo arco lungo che trapassò tre nemici in fila. I lunghi capelli castani apparivano scompigliati sopra la leggera armatura di cuoio borchiato, mentre scoccava frecce con velocità e precisione mortali.
Aveva ragione.
Era evidente che questa guerra era stata programmata in ogni minimo dettaglio. L’obiettivo dei Senza Anima era l’Imperatrice, diretta discendente della Prima Guida, e ovviamente a seguire sarebbero arrivati al suo unico figlio e primogenito, erede al trono imperiale. Eppure, stavano combattendo per mantenere semplicemente la posizione che avevano raggiunto, determinati e, nonostante le ingenti perdite che stavano subendo, non davano cenno di paura o cedimento. Stavano andando avanti così da svariati minuti.
«Fulgur c’è un problema, non vedo L’Imperatrice.» Disse d’un tratto Letho, guardandosi attorno.
«Dovrebbe essere al centro della formazione scortata da Dorgu e Telion.»
«Al centro della formazione nemica?»
Fulgur rise. «Ma cosa dici? Al centro della nostra ovviamente!»
«Allora qualcosa non quadra…» Letho sembrava allarmato e Fulgur e Kira si girarono nella sua direzione.
Aveva visto bene: l’Imperatrice era completamente circondata dai Senza Anima e con lei i due Grandi Protettori e l’Imperatore.
Buona parte dell’esercito aveva notato la situazione e ora i Protettori dell’Anima stavano aggredendo con più forza e coraggio il nemico, che non accennava a cedere. Erano disposti a perdere centinaia di vite piuttosto che rinunciare al piano.
«Ma come cazzo è potuto accadere? Dobbiamo correre a…»
«No…» La interruppe Fulgur. «Voi dovete guidare questo lato, se lo lasciate rischiamo di subire un grosso danneggiamento alla formazione. Ci penso io.»
«Ma Fulgur, ti servirà una mano…»
«Ho detto di no! Proteggetevi e portate l’esercito alla vittoria. Ha deciso di fare la sua mossa ora e io posso… devo
fermarlo.»
Letho e Kira sgranarono gli occhi. «Perché proprio ora?» Chiese il cavaliere mentre falciava nemici con rabbia maggiore.
«Perché è il momento migliore, nessuno se ne renderebbe conto in mezzo alla battaglia. Proteggetevi se le cose si dovessero mettere male, buona fortuna!» Fece un sorriso tirato ai due amici e poi aggiunse «Cazzo! Mi ha leggermente irritato.»
Detto ciò, scattò verso il suo obiettivo mietendo vittime, lanciandosi nel bel mezzo dell’esercito nemico. I suoi occhi si stavano colorando completamente di giallo e dal suo corpo iniziarono a scaturire piccoli fulmini. Ogni movimento provocava un leggero sfrigolio, ogni passo lasciava impronte bruciate sul terreno, i nemici troppo vicini venivano folgorati all’istante.
Avrebbe messo la parola fine a questa farsa.
Terra, Italia, Toscana. 2001 d.C., primavera, 24 aprile.
Da qualche anno ormai vivevano in tranquillità. Si aspettavano ci sarebbe stata una reazione immediata e invece nulla. Non avevano più ricevuto ordini o informazioni e, per questo, avevano sempre vissuto sull’attenti, pronti ad ogni minimo movimento ritenuto strano.
Ma mai nulla.
Soldi e beni di prima necessità continuavano ad arrivare senza problemi e a lungo andare si erano lasciati tutto alle spalle. Ora vivevano nella tranquillità, nell’idea che erano riusciti nel loro intento e che quindi non ci sarebbe stato mai più nessun tipo di problema.
Inoltre, il bambino cresceva ignaro di tutto, com’era giusto che fosse. Era intelligente, sveglio e molto socievole, tanto che fin dall’asilo si era sempre circondato di amici. Viveva felice ed era questo che contava per Alice e Giulio.
Era stata assegnata loro una piccola villetta in un paesino tra le colline toscane, lontano da occhi indiscreti e da possibili pericoli. Tutti gli abitanti del paese conoscevano i Conti, una gentile famiglia benestante trasferitasi cinque anni prima.
Erano riusciti ad ambientarsi completamente, ma senza dimenticarsi la missione: sorvegliare la Terra.
Un giorno il bambino sarebbe diventato un grande cavaliere, ma per ora contava che avesse il giusto affetto e che non gli mancasse mai nulla.
Sotto sotto speravano di non essere più richiamati all’ordine, soprattutto dopo aver avuto la fortuna di essere usciti
indenni da quella sanguinosa battaglia avvenuta poco tempo prima.
Non volevano che il piccolo potesse anche solo essere sfiorato dall’orrore che avevano dovuto vedere e dalla paura
di non sapere se sarebbe riuscito a tornare a casa.
Si stavano abituando a quella vita e non volevano lasciarla, era tutto ciò che avevano sempre sognato fin da quando si erano sposati legando le loro anime per sempre.
Dopotutto, non avevano più alcuna notizia, erano completamente fuori dal mondo.
Perciò perché pensarci ancora? Erano stanchi della guerra, avrebbero aiutato in altri modi se gli fosse stato chiesto. Non avevano scelto loro di entrare nell’esercito, ma era stata quasi un’imposizione dietro alla maschera del dovere e dell’onore.
Tutto ciò che desideravano ora, era vivere come una famiglia normale, crescendo un bambino sano e felice.
Capitolo I
Era partito presto quella mattina.
Terra, Italia, Toscana. 2016 d.C., primavera, 24 aprile.
La prima lezione che avrebbe dovuto seguire in università sarebbe stata matematica e il professore non vedeva di buon occhio i ritardatari. Fortunatamente i mezzi di trasporto non lo avevano tradito ed era arrivato addirittura in anticipo, evento più unico che raro. Non aveva ancora un suo mezzo personale nonostante avesse preso la patente ormai da due anni, ma muoversi con i mezzi pubblici non gli pesava. Era sempre stato abituato a spostarsi
con autobus e treni e per lui era ormai un rituale salirci, sedervisi e lasciarsi trasportare alla meta designata.
Certo, la meta era partecipare alla lezione di una materia che Leonardo non amava particolarmente, ma per l’indirizzo
che aveva scelto era importante e, inoltre, era il primo anno per lui e non voleva fare brutta figura.
Dopo la pausa aveva poi seguito la lezione di fisica, materia che preferiva molto di più. La professoressa era gentile e spiegava con semplicità e Leonardo trovava gli argomenti molto più interessanti. Le ore di fisica erano quelle che volavano via più velocemente per lui, e così fu anche quella mattina.
Ora si stava dirigendo verso il chiostro della sua facoltà dove si sarebbe incontrato con Nicholas e Nadia per mangiare un boccone e rilassarsi un po’. Erano amici cui era legato fin dalle elementari e con cui aveva condiviso gran parte della sua vita.
Quando arrivò, si diresse subito verso il tavolo in legno dove si sedevano tutte le volte che si incontravano per pranzare. Vide che i due amici erano già arrivati e stavano già mangiando.
«Ehi ragazzi!» Disse avvicinandosi.
«Eccoti finalmente! Scusaci, ma abbiamo cominciato senza di te.» Rispose Nicholas sorridendo.
«Avete fatto bene. Sapete che starei ad ascoltare la Professoressa Bini all’infinito e, siccome oggi si è dilungata, non ho potuto non approfittarne.» Leonardo poggiò a terra lo zaino ed estrasse i contenitori del cibo. Come quasi tutte le volte che si fermava a mangiare in università, si era portato un panino con affettato e salsa, qualche arachide, della frutta e, immancabile, il dolce.
«Ti capisco, ma il pranzo è una parte fondamentale della giornata.» Disse Nadia mettendo in bocca la prima forchettata di pasta al tonno che aveva portato e scaldato nel microonde.
«Certo, certo, ma diciamo che per il mio futuro forse è meglio seguire un quarto d’ora in più di lezione e mangiare
leggermente in ritardo.»
«Il solito guastafeste.» Disse Nadia, poi i tre amici risero.
«Voi invece? Tutto bene le lezioni?»
«Direi di sì. Aggiungici anche che ho iniziato per le dieci e che quindi ho potuto dormire più del solito. Direi che la giornata ad ora è ottima.» Rispose Nicholas.
«Anche io non posso lamentarmi, ma ciò che aspetto di più in assoluto da questa giornata è la sessione di oggi pomeriggio.» Aggiunse Nadia con un bagliore di eccitazione negli occhi.
«Hai ragione… dobbiamo riuscire a venire fuori da quella dannata giungla. Non so neanche più da quanti giorni siamo
incastrati in quel postaccio umido.» Continuò Nicholas.
«Si arriva subito al dunque eh?» Disse Leonardo con un sorriso.
«Beh, direi che è la cosa più importante di cui parlare in questo momento, non trovi? Ne va della vita o della morte nei nostri personaggi.»
«Nicholas ha ragione, anche se non dovete preoccuparvi: la mia nana barbaro e la sua ascia bipenne sono pronte a tutto.» Con un gesto teatrale, l’amica impugnò la forchetta a due mani la fece roteare sopra la sua testa.
«Semmai è pronta ad arrancare nel pantano mentre le scimmie le rubano le armi.» Ribatté l’amico.
«Ma sentilo! Perché il tuo nonmorto warlock invece sta facendo molto vero? Con le sue dannate magie nascosto nelle retrovie.»
«Ragazzi, calmi. Vi ricordo che siamo un gruppo.» Si intromise Leonardo.
Era sempre così. Quando la discussione si spostava su Dungeons & Dragons ognuno voleva disegnare il proprio personaggio come il migliore anche se poi era il gruppo unito la vera forza.
Era anni che Leonardo giocava ai giochi di ruolo e quasi sempre insieme a Nadia e Nicholas. Lei una nana barbaro pronta ad abbattere qualsiasi nemico con la forza della sua ira, lui un nonmorto warlock che con il giusto tempismo carbonizzava sul posto qualsiasi minaccia attaccasse il gruppo. C’erano però anche Beatrice con il suo firbolg druido, probabilmente l’unico personaggio completamente a suo agio nel bel mezzo della natura selvaggia, e Martina che
teneva in piedi il gruppo con la sua umana chierica. Anche se ogni tanto lei e il nonmorto avevano qualche problema di sinergia.
Infine, c’era Leonardo con il suo umano guerriero. Lo aveva creato come un personaggio di allineamento abbastanza neutrale, ma sempre pronto a proteggere i suoi compagni o chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto.
Non gli interessava fare il paladino, troppo schierato e troppo attaccato ad un ideale. Preferiva essere più libero di scegliere le sue azioni e di potersi muovere come meglio la sua coscienza credeva.
Insomma, per la gioia di Stefano, la loro guida del gioco, erano un gruppo bello animato.
Concordavano però tutti sul fatto che quelle fossero alcune delle ore più belle passate insieme agli amici.
«Gruppo o no, dobbiamo muoverci. Tra un’ora comincia la sessione e non voglio rischiare di perdere il treno.»
Continuò Nadia mentre metteva via i contenitori del pranzo.
«Lasciami almeno finire il panino!» Disse Leonardo, prendendo un grosso boccone del suo pranzo. Nadia sbuffò. «Il treno parte tra meno di un quarto d’ora.»
«Purtroppo, devo dare ragione a Nadia questa volta. Sei arrivato in ritardo di quasi quindici minuti su una pausa da mezz’ora.» Continuò Nicholas, mentre imitava l’amica mettendo via il contenitore della lasagna fatta in casa da sua madre.
«Va bene, va bene.» Disse Leonardo sospirando e rimettendo tutto nello zaino per poi alzarsi nuovamente in piedi.
«Mangerò mentre siamo in movimento.»
«E bravo il nostro guerriero.» Concluse Nadia sorridendo e picchiettandogli sulla spalla. Così si diressero verso la stazione con passo spedito, mentre Leonardo finiva il suo panino.
Riuscirono a prendere il treno e poco dopo partirono per tornare verso casa. Li aspettava un viaggio abbastanza corto, trentacinque minuti circa e sarebbero arrivati. Poi, una volta scesi, avrebbero preso l’autobus che si fermava a qualche metro dalla casa di Stefano dove si sarebbero trovati per giocare.
Come sempre, Leonardo si godette il viaggio in tranquillità, mentre Nadia e Nicholas discutevano su come uscire da quella giungla che teneva intrappolati i loro personaggi ormai da giorni.
Guardare fuori dal vetro del treno era rilassante. Quasi ogni giorno vedeva le colline dell’entroterra toscano scorrergli davanti agli occhi e ogni volta si perdeva in quel fantastico paesaggio, indifferentemente dal clima che si sarebbe presentato.
«Sei d’accordo Leo?» Chiese Nicholas.
La domanda lo colse alla sprovvista, riportandolo sul treno. «D’accordo con… con cosa?» Chiese.
«Leo, concentrati! Ci servi anche tu per trovare una via di uscita.»
«Si Nicholas, hai ragione… ma il mio guerriero oltre a difendervi con la spada pronta in pugno non può dare una
grossa mano in questa situazione.»
«Ed è per questo che faremo fare tutto a Beatrice e al suo druido. Se non mi sbaglio ha un potere che le permette di
ascoltare le piante, o qualcosa del genere. Ci porterà fuori in un batter d’occhio.» Continuò entusiasta Nadia.
«Sarà una bella sorpresa per Stefano. Secondo me lui pensava di tenerci incastrati lì per un bel po’.» Disse Leonardo.
«Sarà veramente bello vedere la sua faccia.» Concluse Nadia.
I tre amici risero e poi passarono il resto del viaggio parlando del più e del meno.
Verso l’ora di cena, Leonardo era tornato a casa.
Aveva passato tutto il pomeriggio insieme ai suoi amici e si era molto divertito.
Alla fine, il piano che avevano in mente era riuscito sotto lo sguardo attonito di Stefano. Questo li aveva salvati da altri giorni e giorni di vagare in quel mondo umido e piovoso, perdendo del tempo che avrebbero dovuto spendere per trovare il nemico finale.
Certo, erano passati dalla padella alla brace. Usciti dalla giungla si trovarono in un’enorme città abbandonata piena di nemici che avevano già assaggiato la lama del guerriero di Leonardo. Ora però si trovavano circondati e dovevano trovare un modo per riuscire a trovare il tempio principale. Ma a quello ci avrebbero pensato la settimana dopo, quando si sarebbero ritrovati per un’altra sessione di gioco.
Aprì il cancellino verde, entrò in giardino, lo chiuse dietro di sé e si diresse verso casa.
Le scarpe dei suoi genitori erano fuori dalla porta d’entrata, segno che erano tornati dal lavoro.
Appena varcò l’uscio, un delizioso profumo gli avvolse il naso; perciò, si tolse le scarpe e poggiò a terra la borsa con all’interno i manuali del gioco di ruolo e gli appunti dell’università, si mise le ciabatte e si diresse immediatamente in cucina.
Sua madre stava togliendo il cibo dal forno, mentre canticchiava. I lunghi capelli neri dondolavano frenetici sulla
schiena mentre si spostava da un punto all’altro della cucina.
«Ciao mamma!» Disse Leonardo.
La donna si girò di scatto con gli occhi marroni sgranati. «Leo! Mi hai spaventata!» Sospirò e poi sorrise. «Sei arrivato giusto in tempo. Forza, siediti che c’è pronto.» Aggiunse tornando a concentrarsi su ciò che stava facendo.
«Mmmm, che buon profumo! Qualcuno qui ha cucinato qualcosa di buono!» Disse il padre di Leonardo mentre entrava nella stanza e si dirigeva verso Alice per darle un bacio. Portava lo stesso colore di capelli e di occhi della donna, anche se i primi erano più corti e i secondi si trovavano dietro ad un rotondo paio di occhiali.
«Qualcosa di buono come sempre.» Disse Alice.
«Ovviamente!» Rispose subito Giulio sorridendo, mentre aiutava a preparare i piatti.
«E com’è andata oggi?» Chiese poi Giulio a Leonardo mentre si sedeva al tavolo con la mamma.
«Molto bene!» Rispose il ragazzo mandando giù un boccone di carne che si sciolse in bocca. «All’università tutto tranquillo e con i miei amici oggi ci siamo divertiti moltissimo.» Guardò sua mamma. «Molto buono mamma, complimenti.»
«Grazie.» Disse Alice sorridendo. «E chi ha vinto tra di voi?»
Leonardo sospirò. «Mamma, te lo dico sempre, nessuno vince. Sono giochi di ruolo, si collabora.»
«Quindi vince il gruppo.»
«Non fa una piega il ragionamento di tua mamma.» Si intromise il papà.
«Sì, beh… possiamo dire di sì.» Concluse Leonardo sorridendo.
La cena continuò mentre parlavano di come erano andate le giornate lavorative dei due genitori, di cosa avrebbero fatto durante l’estate in arrivo e se era il caso di far controllare l’asciugatrice che da qualche giorno faceva dei rumori strani.
Alla fine della cena, Leonardo andò in stanza per preparare tutto ciò che gli sarebbe servito per il giorno dopo. Ci impiegò circa un’ora e poi decise di cambiarsi ed andare a fare il giro di corsa che faceva ogni sera.
Stefano e Nicholas, che di solito lo accompagnavano, purtroppo avevano degli impegni. Qualche volta anche Martina si univa al gruppetto, ma si era stortata la caviglia il giorno prima mentre tornava a casa dall’università.
Aveva comunque deciso che sarebbe andato a correre anche da solo.
Era rilassante e soprattutto, con la musica nelle cuffiette, si permetteva di immaginare attorno a sé mondi lontani, in cui nella maggior parte dei casi lui era l’eroe acclamato dal popolo.
Sarebbe poi tornato a casa a farsi una doccia, e avrebbe passato la serata giocando con il suo computer personalizzato per il gaming. Aveva un personaggio da far salire di livello e non vedeva l’ora di riuscirci.
La sua stanza era un perfetto covo nerd. Sopra la testata del letto, Narsil e Glamdring si incrociavano in un duello infinito. Le librerie erano piene di libri in stile fantasy o fantascienza, insieme a film classici di quei generi. Un paio di vetrinette nell’angolo della stanza, mettevano in mostra le miniature che aveva dipinto e che stava dipingendo per un gioco di strategia da tavolo. Il pc da gaming e tutto il corredo erano il pezzo forte della stanza.
Guardò la sveglia della Lego poggiata sul comodino. Erano quasi le nove.
Indossò la tuta, il marsupio e le scarpe da jogging. Collegò le cuffiette al telefono e fece partire la sua playlist, poi scese di corsa dalle scale salutando i genitori e uscì di casa.
Aveva deciso di seguire un percorso leggermente più lungo del solito, per approfittare delle giornate che iniziavano ad allungarsi. Non sarebbe stato via molto di più, un’ora e mezza invece che solamente un’ora, giusto il tempo di passare per il parco centrale del paese ad osservare quel cielo stellato di inizio primavera, che non era intaccato neanche da una nuvola.
Entrò dal cancello quando il buio era calato e, raggiungendo il centro del prato, si fermò con la testa rivolta verso l’alto, incantato. I fiori attorno a lui avevano cominciato a chiudersi per dormire fino alle prime luci dell’alba del giorno seguente. Una leggera brezza gli smuoveva i corti capelli castani nello stesso modo in cui faceva oscillare le fronde degli alberi.
Rimase immobile a naso in su per qualche minuto, senza quasi respirare, e per un attimo gli sembrò che la luna stesse ricambiando lo sguardo.
Era uno spettacolo fantastico, che alcune volte si concedeva. Lì, da solo, si sentiva parte attiva dell’universo, come se
fosse in grado di spostare un pianeta con un dito.
Guardò l’orologio.
A breve sarebbe passato il custode per chiudere il parco, così, a malincuore, si indirizzò verso l’uscita.
Fece qualche metro, quando sentì un ramo spezzarsi poco distante dietro di lui e immaginò l’anziano volontario che si avvicinava per chiedergli di uscire.
Decise di anticiparlo e sorridendo si girò.
«Buonasera, stavo per uscire non si…»
«Oh no, stavi già per andartene?» Lo interruppe una voce profonda.
Di fronte a lui si trovava un uomo vestito di un’armatura nera. Gli mancava solo l’elmo, e questo permetteva al ragazzo di fissare due occhi neri, circondati da corti capelli e una leggera barba dello stesso colore. Non aveva più di cinquant’anni e portava dietro la schiena uno spadone alto quasi quanto lui.
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