L’ultimo duca in carica, quello con la maledizione del lupo mannaro, aveva più di duecento anni, perché la malattia nella sua mostruosità ne rallentava notevolmente l’invecchiamento. Egli si era visto passare davanti ben quasi quattro generazioni, vedendole morire. Parte delle morti erano dovute anche a causa della sua maledizione.
Il padre fece promettere ai suoi sudditi più stretti e fidati, che avrebbero protetto il figlio maledetto, mantenendolo nascosto al resto del mondo. Per questo la plebe e la casta erano così unite, perché legate da una cruda e terribile verità.
Il vento soffiava e la neve cadeva insistente in grossi fiocchi.
Fortunatamente le terre del castello non erano troppo vaste, oltre ad essere contornate da mura in pietra alte più di quattro metri, costruite sempre per lo stesso motivo. Mantenere il segreto. Arrivarono in fondo al campo, dove un piccolo boschetto si allargava ed una casupola di legno coperta quasi totalmente dalla neve si prostrava dinanzi alla fitta vegetazione di alberi verdi e bianchi.
Le orme terminavano proprio al suo interno, dal quale però sembrava essere vuota. Il gruppo si fermò ad una decina di metri dal capanno. Attesero fermi sul posto per diversi minuti in balia del vento e della neve che cadeva insistente, osservando scrupolosi ogni singolo punto di quel piccolo edificio semi diroccato. Per ben due volte il vento si placò, dando loro la possibilità di ascoltare meglio nel silenzio delle prime luci del giorno, qualche particolare rumore di una possibile presenza al suo interno.
Nonostante gli sforzi, nessuno captò nulla. la distanza era ancora troppa. Eppure da dentro due occhi fissi ma nascosti li osservava nella loro riflessione e tentennante attesa.
“Le tracce finiscono lì, deve essere per forza al suo interno” borbottò a voce bassa uno del gruppo.
“qualcuno dovrebbe entrare, magari è svenuto a terra”.
“Potrebbe, ma dobbiamo essere comunque prudenti, forse è il caso di aspettare che salga il sole, saremo più sicuri del suo ritorno alla forma umana”.
Attesero che il sole si alzasse ed il cielo si schiarisse di più, anche se le nuvole creavano una barriera grigia uniforme.
Da dentro il capanno gli occhi si mossero in quel buio ed un rantolo di dolore si avverti fino a fuori.
“Avete sentito anche voi?” domandò uno di loro “Il nostro padrone è lì dentro ed ha bisogno di noi” continuò poi, scattando in direzione del capanno ed affondando pesantemente nella folta neve. segui la scia che la bestia aveva lasciato.
“Aspetta! Dove stai andando? Non è prudente andare da soli! “ gli gridò qualcuno da dietro.
L’uomo arrivò, senza dare ascolto al richiamo alle sue spalle, all’apertura del capanno. Anche se la luce cominciava a rendere il giorno sempre più vivido, all’interno della casupola di legno incombeva ancora l’oscurità. L’uomo vi entrò con metà corpo, avanzando lentamente con una gamba e fermandosi sulla soglia per adattare la vista alla poca luminosità, nella speranza di vedere meglio. Nel contempo anche il resto del gruppo si stava avvicinando per raggiungerlo.
Una voce fioca e rantolante pronunciò nel buio la parola “Qui”. Il vassallo riuscì a malapena a cambiare espressione sul volto in direzione della voce, che una forza improvvisa lo afferrò dentro. L’uomo gracchiò un grido soffocato, mentre i suoi compagni quasi a pochi metri da lui si fermarono all’istante.
Rumori violenti ed urla smorzate udirono da fuori il capanno, poi in un istante un corpo volò fuori dalla capanna, rompendo una parete di legno ed atterrando poco lontano sulla neve fresca. Schizzi di sangue colorarono il bianco candido ed uniforme.
Gli uomini colti impreparati e dopo aver seguito il volo di quel corpo, si guardarono a vicenda per poi direzionarsi verso la casetta.
Un secondo uomo, come un lampo ne uscì, balzando sopra il più vicino di essi, rovesciandosi tra le sue braccia. Era sporco e chiazzato di sangue sia nelle mani che in viso. Era nudo e fissò il suo il suo salvatore negli occhi, mormorando tremolante “Ho freddo”. Il vassallo fu spaventato per un attimo, ma nel riconoscere il proprio padrone nella sua forma umana, chiamò appresso gli altri compagni.
“Presto aiutatemi! venite con una coperta, dobbiamo avvolgerlo!”
Il conte si accasciò su se stesso chiudendosi e svenne, probabilmente stremato e privo di forze. Venne immediatamente avvolto in grandi lenzuola per proteggerlo dalla neve e dal gelo, poi mentre una parte del gruppo iniziò a dirigersi verso il castello, due dei vassalli rimasti indietro si avvicinarono a quello che oramai era il cadavere rotolato nella neve.
Aveva smesso di nevicare ed i due dopo aver confermato la risoluta morte, incrociarono gli sguardi per un istante, consapevoli che uno dei due avrebbe da lì a poco, dovuto portare la brutta notizia alla famiglia del povero defunto.
“Forza rientriamo anche noi, torneremo a recuperare il corpo più tardi. A questo povero cristiano spetta una degna sepoltura”.
«Accidenti che caldo!» borbottò Michael, appoggiandosi allo schienale della sedia.
Alissa gli sorrise dall’altra parte del tavolino. Anche lei seduta.
Lui la guardò gonfiando le guance, poi buttò fuori tutta quanta l’aria che ne contenevano, mostrando una buffa espressione.
Michael ed Alissa erano una coppia di giovani ragazzi. Lei dal fisico asciutto e sportivo, con lunghi capelli lisci castano chiari che il vento si divertiva a spettinare. Un viso acqua e sapone, occhi verdi ed un bellissimo sorriso smagliante. Lui altrettanto atletico, occhi chiari e biondi capelli ritti portati spettinati. Erano innamorati l’uno dell’altra già da diversi anni. Si erano messi insieme nell’ultimo anno delle superiori, che avevano frequentato entrambi nello stesso istituto, anche se in sezioni diverse.
Ora, dopo qualche anno nel mondo del lavoro, al di fuori di esso passavano le giornate come fanno la maggior parte dei ragazzi della loro età. Avevano mantenuto anche del
i legami con alcuni ex compagni di banco, e proprio in quel momento ne stavano aspettando due, per poter organizzare le ferie estive tutti insieme.
Si erano accomodati fuori da un bar del centro, nei tavolini dell’area esterna, per poter godere del sole estivo.
Dal traffico lungo la via poco distante da loro, alcune macchine stavano per scontrarsi. Una delle vetture inchiodò bruscamente in centro strada e volarono pesanti battute di clacson.
I due ragazzi osservarono la scena dalla loro postazione al bar, poi Michael afferrò una mano di Alissa, avvicinandosi ed appoggiando gomiti e braccia sul tavolino.
«Ma perché non ce ne andiamo noi due soli da qualche parte, in un posto tranquillo ed isolato e scappiamo da questa città caotica?».
Alissa era ancora distratta dal traffico.
«Hai visto quello, che manovra si è fatto? Ormai stava creando un incidente».
«Ma come… io ti sto parlando di noi due e tu mi smorzi il discorso per quel deficiente!».
Lei si girò verso il ragazzo, mostrandogli il suo sorriso e guardandolo con aria di chi non aveva ascoltato, poi con tono dolce gli rispose; «Amore! Lo sai che non possiamo andarcene noi due soli. Per quanto mi piacerebbe tantissimo, starmene da sola con te…» continuò accarezzandogli il viso «…ma abbiamo promesso agli altri che saremmo andati via insieme questa volta».
«Tu… l’hai promesso alla tua amica del cuore, non io!» sbuffò Michael.
Alissa alzò gli occhi al cielo.
«Ok, sono stata io… sei solo invidioso che io e Lisa siamo legatissime e comunque non sono anche amici tuoi?» concluse, sgranando i suoi occhi azzurri.
I due avvicinarono i visi e si baciarono amorevolmente.
«Ehi piccioncini! Lo sapete che voi due siete eccitanti quando vi baciate… a dir la verità solo Alissa è eccitante. tu Michael non rientri nei miei gusti» borbottò una voce alle loro spalle.
I due spasimanti staccarono le labbra, ma i loro sguardi rimasero fissi l’uno sull’altra.
Alissa sorrise per poi rispondere; «Ciao Carlo».
«Era ora che qualcuno di voi si facesse vivo» si espresse invece Michael, voltandosi verso l’amico.
Carlo era un nuovo amico del gruppo. Non veniva dalle scuole come gli altri ma era un collega di lavoro di Michael ed in poco tempo avendo conosciuto anche i loro amici, era entrato a tutti gli effetti a far parte del gruppetto.
Carlo era un ragazzo bruno dall’aspetto intellettuale, anche se in realtà non lo era, con occhialini sottili ed una barbetta leggera ma curata che gli univa le basette, passando solo dal mento.
«Avevamo un orario, mi sembrava, ma voi ve la prendete sempre comoda».
«Sono solo in ritardo di 15 minuti e non mi sembra di essere l’ultimo» si difese il ragazzo.
«Siediti Carlo, io vado al banco a prendere da bere, voi due volete qualcosa?» domandò Alissa.
«Io un caffè, grazie».
«Io amore vorrei qualcosa di dissetante».
«Ok, ci penso io» concluse la ragazza, mentre si dirigeva verso l’ingresso del bar.
«Certo amico, che la tua ragazza è sempre una gran topa».
«Carlo, sei il solito fine» lo ammonì Michael, guardandolo storto.
L’amico non sembrò turbato dalla ripresa e continuò a controbattere sulla questione.
«Ricordami che se un domani vi lascerete, io sarò il primo a provarci con lei».
A quel punto Michael si fece una risata. «Tu… con Alissa? Non durereste nemmeno una settimana».
«Come sarebbe a dire?».
«Dai ammettilo Carlo, Tu vedi le donne solo per una cosa sola… il sesso! Ed Alissa non è una fatta per te».
«In che senso, scusa, non le piace quando fate sesso?».
«Certo che le piace! anche se non facciamo l’amore, non sesso come lo dici tu. Ma non intendevo dire quello».
«Ed allora dove sta il problema? Non capisco. Chi di voi due non è fissato con il sesso?” domandò ingenuamente l’amico.
Michael scosse la testa, svolazzando con le mani “Mm, qui l’unico fissato sei tu! Alissa è una ragazza dai forti sentimenti ed a bisogno di avere accanto qualcuno che pensi a lei, non solo per farci l’amore, ma che la desideri anche in altri modi, capito?».
“Quali sarebbero questi altri modi? insomma io dico… guardala! Non mi dire, che a te non viene voglia di spogliarla ogni volta che ce l’hai tra le braccia?».
Michael rimase a fissarlo basito. «Non mi offendo, perché sei un mio amico, ma se fossi stato qualcun altro avrei dovuto prenderti a schiaffi… sei un caso perso comunque».
Lui si strinse nelle spalle. Ancora non riusciva a carpire il significato di quelle sue prime parole.
Michael si voltò verso il bar. Con tutto quel parlare della sua splendida ragazza, gli venne in mente di che fine avesse potuto fare, visto che tardava tanto a ritornare dal bar. Eppure sembrava non ci fosse gente all’interno a quell’ora della giornata.
La vide arrivare con gli altri due amici ritardatari che mancavano all’appello.
«Alla buonora!» borbottò quasi sottovoce. Carlo lo sentì ed uscendo dai suoi ragionamenti, volse lo sguardo anch’egli verso il bar. Uno affianco all’altro camminavano in tre
Alissa era la prima a sinistra e portava un vassoio con sopra delle bevande. Al centro l’amica del cuore, Lisa. Ragazza di statura leggermente più bassa di Alissa, ma di costituzione appena più robusta. il suo punto di forza, che non poteva non balzare agli occhi, era il suo seno prosperoso degno di un’attrice hard. Portava i capelli corti a caschetto di un biondo tinto.
Sul lato destro, l’unico uomo del gruppetto, era un ragazzone di nome Pietro dalle spalle larghe ed il mento squadrato da duro, ma dall’animo gentile.
Arrivarono al tavolo dei due ragazzi e ci fu uno scambio generale di saluti. Baci per le ragazze e stretta di mano per i maschietti.
Lisa andò prima a salutare Michael, per poi passare a Carlo, il quale nell’attesa, dopo aver salutato l’amico Pietro, era rimasto seduto ad ammirarla. Quando la ragazza arrivò da lui e si chinò per scambiare il saluto, quest’ultimo rimase incantato davanti a tanta scollatura ed a quello che ne conteneva.
«Quando hai finito di guardarmi le tette, possiamo salutarci» gli disse la ragazza in tono ironico. Carlo alzò gli occhi ed incrociò quelli di Lisa, che lo stava fissando divertita, vista la sua espressione incantata di fronte a tanta abbondanza. Il ragazzo arrossì.
«Scusami Lisa, ma non potevi indossare un vestito meno appariscente… così mi prendi in contropiede».
«Mica ho pensato alla tua sensibilità, quando mi sono vestita stamattina» precisò la ragazza «Allora, lo vuoi questo bacio oppure no?».
Si scambiarono finalmente il saluto. Alissa intanto aveva appoggiato il vassoio del beveraggio sul tavolino e si era seduta sulle ginocchia del suo amato.
«Forza ragazzi, accomodatevi che dobbiamo parlare di cose serie» disse Michael.
«Ehi! Un momento, guarda che le tette sono una cosa seria!” lo interruppe Carlo.
Le due ragazze risero, mentre gli altri due si scambiarono uno sguardo di sconforto.
Da dentro il bar nella penombra, uno sconosciuto osservava il gruppetto. Li osservò per lungo tempo durante tutti i loro ragionamenti e discorsi che fecero durante quel periodo seduti al tavolo, nel cercare di organizzare una vacanza tutti insieme.
Chiamò la barista, avendola vista recuperare dal loro tavolo i bicchieri vuoti e le chiese gentilmente di preparare un altro giro di un qualcosa di dissetante e fresco da portare nuovamente al tavolo dei cinque ragazzi.
Chiese di servirli direttamente in loco, lasciando detto che erano offerti.
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