Leonardo è un uomo in apparenza tranquillo, anche se molto timido e insicuro. In realtà, negli anni, è diventato sempre più diffidente verso i legami e i sentimenti.
La sua relazione con il mondo tende ad essere superficiale: cambia spesso lavoro, non ha amicizie importanti e con le donne non instaura rapporti duraturi. Le amarezze dell’adolescenza hanno scavato un solco nella sua anima, solco che si è acuito con la scomparsa della madre.
Un episodio drammatico cui assiste per caso segnerà una svolta nella sua vita dando inizio a un graduale cambiamento. Sullo sfondo della calda estate milanese, che si alterna a quella genuina della campagna toscana e poi ancora ai colori del Mar Ligure, una serie di rivelazioni inaspettate lo porterà a riscoprire affetti ed emozioni sopiti ma in fondo mai abbandonati, offrendogli la speranza di un futuro migliore, da affrontare finalmente senza averne paura.
Perché ho scritto questo libro?
“Il cielo color fragola” contiene diversi spunti autobiografici. Racconta una storia come tante, dove destino e casualità sembrano spesso due facce della stessa medaglia.
Ho cercato di dare tutto me stesso per mettere a nudo le fragilità del protagonista del romanzo, che in fondo sono le mie e di tante altre persone che non di rado rischiano di sprecare la propria vita nascondendosi dietro al paravento dei rimorsi, non immaginando quanta bellezza vi sia “là fuori”…
ANTEPRIMA NON EDITATA
Ho tanti fratelli che non ho conosciuto e che non conoscerò mai. Siamo tutti figli di una notte magica e irripetibile.
17 giugno 1970: Italia-Germania 4-3. Ogni volta che la tv ripropone le immagini di quella partita provo a immaginare cosa accadde, alla fine del secondo tempo supplementare, tra mio padre e mia madre. E mi rivedo lì, rannicchiato in un angolo nascosto della nostra vecchia casa di ringhiera, ad assistere al mio concepimento, mentre la voce emozionata del telecronista scandisce uno per uno i nomi dei calciatori azzurri, eroi immortali di un’impresa sportiva incastonata nella storia.
Ho rivisto tante di quelle volte il gol che ha reso leggendaria quella notte, da conoscerne a memoria il più piccolo dettaglio: il passaggio laterale di Boninsegna, il tocco morbido e preciso di Rivera, la palla che rotola lentamente in rete e Maier, il portiere della squadra tedesca, che in ginocchio impreca e batte i pugni sul manto erboso.
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Chissà che cosa sarebbe successo, se la palla fosse finita sul palo o tra le braccia del portiere. Probabilmente sarebbe cambiato il destino della partita e anche il mio, e forse non sarei mai nato, al pari dei miei tanti fratelli sconosciuti.
Ma io credo che “Destino” sia solo il nome d’arte che qualcuno ha voluto attribuire alla casualità.
Magari l’Italia avrebbe vinto ai calci di rigore o magari no, e mio padre, in un impeto di passione consolatoria, l’amore con mamma lo avrebbe fatto ugualmente e… eccomi qui.
Sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa quella notte: Gemma non c’era, aveva dieci anni e viveva con i nonni nella casa di Cormons, in Friuli. Fosse stata anche lei a Milano, quel 17 giugno, chissà. Forse i dadi sarebbero caduti sul tavolo in modo differente, sviluppando tutta un’altra trama.
Otto mesi e diciannove giorni dopo Italia-Germania sono nato io, e oggi compio quarantun anni.
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