Pompei, 35 d.C.
Servilia, una schiava intelligente e dal cuore gentile, vede le sue speranze di libertà andare distrutte dopo che la sua amata padrona, Augusta, muore prima di avere la possibilità di liberarla. La figlia di Augusta, Catula, non potrebbe essere più diversa dalla madre: è lunatica, violenta, dispotica e sembra davvero intenzionata a rendere la vita di Servilia un inferno. La sola possibilità di salvezza potrebbe essere Rufinus, fratello di Catula e legittimo erede del patrimonio lasciato da Augusta, ma da anni vive in terre lontane. Nel tentativo di richiamarlo a Pompei, le vicissitudini che Servilia si troverà ad affrontare cambieranno la sua vita per sempre.
CAPITOLO I
35 d.C.
Servilia piangeva sotto la logora coperta che le copriva a malapena la parte superiore del corpo.
Cercava di non singhiozzare per non svegliare gli altri, non avrebbe permesso che la vedessero così fragile e indifesa. Aveva lottato molto per dare l’impressione di essere una ragazza forte, quasi insensibile, e non voleva essere smascherata proprio in previsione di un giorno così importante.
Il collare che le aveva imposto Catula le dava fastidio, lo sentiva pesante, come un macigno, con la medaglietta dondolante; le lacrime che non riusciva a fermare con la mano scivolavano giù fino a impregnare il pesante cuoio, facendole venire un’irritazione alla pelle.
Si rigirò nel letto, dando il viso alla parete.
Sapeva che non avrebbe potuto scendere al piano inferiore, a loro era stato proibito fino al mattino successivo, ma avrebbe voluto rimanere per un attimo sola con lei, stringerle ancora una volta la mano, come faceva ogni mattina, e augurarle buon viaggio, ma, a meno che non avesse voluto guadagnarsi una bella punizione, non le conveniva muoversi da lì.
Si ridestò bruscamente dal sonno che l’aveva rapita, le guance ancora bagnate.
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Era mattina, molto presto, si poteva intravedere l’alba che faceva capolino lentamente dai tetti delle case.
Anche Apollo questa mattina non vuole far sorgere il Sole, pensò mentre si stirava la subculae con le mani, così da togliere le grinze della notte. Prese la supparum e la indossò distrattamente, fermandola con le logore fibule sulle spalle.
Catula aveva una vera ossessione per le acconciature e Servilia lo sapeva bene. Prese il vecchio e ondulato ferro a V e, con destrezza, si fece una crocchia, lasciando pendere qualche ricciolo ribelle qua e là. La cascata di ricci scuri l’aiutava nel compito, e con il tempo aveva imparato a essere veloce.
Di lì a poco in casa ci sarebbe stato fermento, doveva tenersi pronta. Non sapeva ancora quale compito l’attendeva, ma sapeva che le cose da fare sarebbero state tante e, con il cuore ancora gonfio di tristezza, scese le scale. Poi si fermò.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, non sapeva dove andare. Si guardò attorno, fece qualche passo e si ritrovò dove si recava ogni mattina, da che aveva memoria.
«Servilia, cosa ci fai impalata davanti alla porta?»
Servilia trasalì, riconoscendo nella penombra la voce di Livia.
«Non so dove andare» rispose bisbigliando la ragazza.
«Vieni con me.» Livia la prese per un polso.
Nel silenzio più totale si sentiva solo il tintinnare fastidioso delle loro placche picchiare contro l’anello di metallo.
«Questo maledetto collare è davvero insopportabile» disse Livia tra i denti. «Sembra quasi che stesse aspettando il momento giusto per affibbiarcene uno» aggiunse con voce indignata. «Guarda la tua pelle, appena puoi vai in cucina e spalmaci sopra una goccia d’olio, migliorerà.»
Servilia guardò la donna, già avanti negli anni, con il suo portamento fiero, mai piegato davanti a nessuno, e le sorrise, anche se le riuscì difficile.
Si fermarono davanti a una porta, la ragazza trattenne il fiato. Non aveva mai svegliato Catula e la cosa la agitava.
Livia si mise l’indice sulle labbra, intimandole il silenzio. Lei obbedì, iniziò a vagare con lo sguardo, mentre si torceva le mani dietro la schiena. Finalmente scorse un viso amico: suo fratello Canius era impegnato ad accendere il braciere nella stanza principale, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare gli abitanti della casa, e in un posto come quello, ogni rumore veniva amplificato.
La ragazza osservò le fiamme divampare in un attimo e il bagliore del fuoco illuminare a tratti irregolari le pareti della stanza.
«Servilia, entra!»
Valentina Melet Perez (proprietario verificato)
Delizioso ritrovarsi in mezzo le strade di una Pompei che non avevo immaginato in quel modo…e ricordare quanto siamo fortunati oggi con le nostre libertà. Bellissimo romanzo.
Roberta Bonvecchio (proprietario verificato)
Libro fantastico, coinvolgente, sarcastico e veritiero. A lettura iniziata non si riesce più a smettere, macinando pagine su pagine e lasciandoti la voglia di sapere come si conclude. Non c’è parola scritta che deluda, al contrario ti affascina e ti trasporta in un passato lontano come in un sogno ad occhi aperti. È un libro che non deve mancare nella libreria di casa!
Walter Falzoni (proprietario verificato)
Questo è un libro avvincente, appassionante, ricco di colpi di scena e di una trama ricca e fitta ma mai noiosa, un libro che si legge tutto di un fiato e alla fine si vorrebbe che continui all’infinito. Il tutto contornato da una Pompei ricca e viva, che si scosta dalla solita città ricordata solo a causa dell’edizione del Vesuvio. Super consigliato a tutti quelli che cercano qualcosa di più in un libro.
Erica Zoncada (proprietario verificato)
Un libro emozionante che ti trasporta dentro la storia conivolgendoti come se lo stessi vivendo in prima persona. Servilia una donna forte determinata ad ottenere la sua libertà senza piegarsi.
Buona lettura… E buon salto nel passato. 😍