Vanessa ha superato i trent’anni ed è in cerca di una nuova vita, per lasciarsi alle spalle un passato che l’ha ferita e le ha fatto perdere fiducia nelle persone. Nel nuovo palazzo in cui abita, dove arriva chiusa al mondo e inaccessibile, incontrerà delle persone che, suo malgrado, la faranno riaprire al mondo: Manuele, un ragazzo che maschera dietro un finto cinismo una vita difficile e che nasconde un segreto; Milena, persino più schiva e inarrivabile di lei, che vive in una costante paura.
E poi arriverà lui, Federico, l’uomo che tornerà a farle credere che, in fondo, esistano ancora persone che” valgono la pena”.
Il microcosmo che si muove intorno a lei, le storie degli altri, le loro fragilità, la spingeranno a interrogarsi sul dolore, e su come le persone scelgano di manifestarlo o di nasconderlo. Arrivata con l’idea che nessuno avesse sofferto più di lei, Vanessa dovrà giocoforza cambiare il suo pensiero, in un viaggio dentro se stessa che la porterà a molti cambiamenti.
Perché ho scritto questo libro?
Convivo da anni con un dolore che mi ha spezzata, mi ha cambiata, eppure è uno di quei dolori che non tutti capiscono, uno di quelli che, se lo racconti, la gente ti dà una pacca sulla spalla dicendoti “Vedrai che presto passerà!”. Provarlo mi ha fatto capire una cosa: il dolore degli altri non sempre ci è comprensibile, spesso può sembrarci persino esagerato, ma la sola cosa che dovremmo fare è rispettarlo. Questo libro non parla di dolore, ma di rispetto,
ANTEPRIMA NON EDITATA
Quando viviamo un dolore, pensiamo sempre che il nostro sia il più valido, il più meritevole di essere ascoltato, ma quanto spesso ci fermiamo ad ascoltare realmente il dolore degli altri?
Le persone vivono una costante lotta per emergere, anche nella sofferenza; diventa una gara a chi vive il dolore più grande, si fanno scale di dolore in base alle quali si ha il diritto o meno di lamentarsene pubblicamente o di guadagnarsi la compassione altrui.
E, seppur esternamente si dicano parole di conforto, di vicinanza, intimamente si è sempre convinti che non ci sia nulla di minimamente paragonabile al proprio dolore.
Quando ti colpisce, in realtà, il dolore non lo fa mai affinché tu ti possa mettere in competizione con gli altri; non gli importa di essere messo in gara. Arriva perché vuole metterti alla prova, esporti alle intemperie, denudarti delle tue difese. Spingerti fino al limite delle tue possibilità per capire ti lascerai travolgere o se lotterai per riemergere, sapendo di vivere quel che ti resta da vivere con lui come compagno di viaggio.
A volte ti sfida, solletica la tua sopportazione, si ripresenta, vivido e martellante, nei momenti più inaspettati, con un ricordo, un profumo, una parola, a memoria della sua eterna presenza. Come a dirti che non ti potrai mai liberare di lui.
Il dolore non è una cosa evitabile della vita; ciascuno di noi, sotto varie forme, lo ha sperimentato. In una vita che non ha scelto di vivere, in un addio che ha dovuto dare, in un tradimento subito. Si prova dolore quando si perde un caro, quando chi amiamo ci umilia e non ci accetta per ciò che siamo, quando ci sentiamo abbandonati.
E siamo tutti così intimamente egoisti e gelosi del nostro dolore da pensare che sia insuperabile. Anziché condividere il viaggio per imparare ad accettarlo, insieme, ne facciamo un elemento divisivo, spesso parliamo del dolore degli altri senza cognizione di causa, lo giudichiamo, solo perché non concepiamo che ci siano modi diversi di viverlo. Pensiamo fra noi “Come può essere così indifferente di fronte a un dolore del genere!” senza sapere veramente se chi lo vive si stia lentamente consumando dentro. Oppure lo sminuiamo, lo ridicolizziamo, pensiamo che non serva fare “tante scene per una cosa così”, avocandoci il diritto di ritenerlo più o meno meritevole di compassione.
Il dolore non è una di quelle cose che puoi scegliere di lasciare da parte, perché è lui che sceglie per te. Non puoi lasciarlo a casa quando ti prepari
per un viaggio, non decidi di non averlo più come decidi di tagliarti i capelli, o di raderti la barba. Lui ci sarà sempre, una volta che ha incrociato la tua vita. Che tu lo voglia o no.
E allora, cosa possiamo fare noi? Arrabbiarci, lamentarci, protestare dicendo che no, non ce lo meritavamo. Quale persona, del resto, pensa di meritarlo? Eppure, nessuno ne è immune. Siamo tutte vittime del dolore. Tutte anime che lui aspetta sulla soglia, in attesa di incontrarci.
Quindi, dal momento in cui non si può sfuggire al dolore, dovremmo semplicemente lasciare che lui viva con noi; che si sfoghi, quando ne ha bisogno. Che resti latente, quando lo desidera. Che si manifesti se ne ha voglia, o resti rinchiuso in qualche angolo del cuore se non vuole mostrarsi.
Non c’è un modo “giusto” di vivere il dolore. Non c’è un dolore giusto. C’è solo il dolore, ed è, in fondo, esattamente quello che ci rende umani e vivi.
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