“Direzione?”
“Quattro gradi ziz fuori dallo standard”.
“Cioè?”
“Ci stiamo per schiantare su quel pianeta blu, capo”.
A guardarlo da fuori sembrava un pollo arrosto. E stava volando senza controllo verso l’atmosfera terrestre, con una lunga scia di fumo nero che usciva dai motori posti all’estremità delle cosce. Dal vetro (o almeno sembrava essere vetro…) della plancia di comando si poteva notare una certa agitazione da parte dei piloti.
“Quel maledetto Flitt me la pagherà cara non appena avremo risolto questo problemuccio!” Doke si agitava sulla scomoda poltrona di comando. “Situazione, Y!”
Y, in piedi accanto alla postazione di comando, guardava da un piccolo periscopio. Si girò verso Doke e fece spallucce, aggiunse tre smorfie con la bocca e si grattò il naso con tutte e quattro le mani.
“Così male?” esclamò Doke accigliandosi, ma Y si limitò a tornare a fissare lo schermo del periscopio.
“Ehi capo, non ti arrabbiare, ce la faremo” disse Sorry, agitandosi sulla pulsantiera di navigazione. “Chi poteva sapere che Shako non era Shako, ma era quel Flitt! Siamo fuggiti in tutta fretta, nessuno aveva il tempo di controllare… Neanche tu lo hai fatto!”
“Neanche io l’ho fatto, solido zuccone, perché non ne ho avuto il tempo…” rispose Doke, allungandosi verso il faccione tondo di Sorry, “…e non ne ho avuto il tempo perché stavo salvando tutte e sei le tue chiappe dal fuoco dei Flitt!”
“Grazie capo, non saprei come fare senza di te”.
Doke sbuffò.
“O.O, calcola la rotta, se ancora ce n’è una…”
“Stiamo entrando nell’atmosfera del pianeta” rispose O.O .
“Y, dammi una buona notizia e dimmi che quella è acqua dolce!”
Y dondolò la testa in segno negativo, senza staccare lo sguardo dal periscopio.
“Ah, ti pareva che ci fosse una buona notizia”.
“Se cadiamo nell’acqua salata, tempo qualche centinaio di glock ed esploderemo come bolle di sapone, Doke!”
“Grazie per avermi rinfrescato la memoria, Sorry”.
“Non cadremo nell’acqua, capo” intervenne O.O, concitato. “Se le ali non si incendiano prima, dovremmo atterrare su quello che sembra un centro abitato!”
“Bene, allora vediamo di non far bruciare questa vecchia carcassa!” esclamò Doke.
Poi ordinò, secco: “Ai posti di manovra!”
Era venerdì, e come ogni venerdì estivo a Booganville i negozi erano aperti, le giostre erano in città e i cinema all’aperto facevano il pieno. I coniugi Nash avevano deciso di godersi la serata e avevano lasciato i figli a casa, con la cena già pronta e la solita babysitter: l’anziana, ma efficientissima, signora Apricot.
“Dorme?”
“Già!”
“Da quanto ormai?”
“Alla televisione Scuola di Cucina è finito, e anche il telegiornale… direi due ore!”
“Allora possiamo uscire. Giusto, Luna?”
La ragazzina, che stava spiando il soggiorno dall’alto delle scale, ritirò la testa e tornò a guardare dentro la stanza.
“Sì, Theo, via libera” confermò.
“Bene, ho una fame! Mamma dovrebbe averci lasciato il roastbeef, giusto?”
“Sì… Bleah, lo avrà stracotto come al solito”.
“Come dice papà: sarà il solito meteorite. Va beh, finisco qua e andiamo!”
“Ma cosa stai guardando con quel telescopio? È un’ora che ci sei incollato!”
Theo si staccò dallo strumento e si rimise gli occhiali. “Beh, prima ho guardato la Luna, poi ho cercato Marte, ma… è difficile da spiegare, però… mi è sembrato di vedere un pollo!”
“Eh?” Luna fece una smorfia e si avvicinò all’obiettivo, allungandoci sopra le dita sporche. Nell’ultima mezz’ora era scesa due volte in cucina di nascosto e aveva sgraffignato due sacchetti di patatine appiccicose al formaggio.
“No, no! Non ti azzardare a toccarlo con quelle manacce unte!”
Troppo tardi. Luna si era già attaccata alle lenti e ora stava mettendo a fuoco, ungendo tutto il meccanismo. Theo la prese di forza, dall’alto dei suoi undici anni, e la tolse dal telescopio.
“Lasciami, Theo! Uffa, sei sempre il solito!”
“Non ti ho detto che non puoi guardare, ti ho detto di lavarti le mani! Ecco, guarda…” disse Theo, lasciandola vicino al bagno della cameretta e tornando al suo amato telescopio, “…ora è tutto unto. Mi toccherà smontarlo e pulirlo!”
“Esagerato!”
Nonostante le apparenze, Theo amava la sorellina e aveva una gran pazienza con lei. Però proprio non sopportava che toccasse le sue cose.
“Comunque io non ho visto nessun pollo!” continuò Luna dal bagno. “Come era fatto?”
“Beh, non ci crederai, ma non era proprio un pollo con le piume, la testa eccetera. Era più… un pollo arrosto volante!”
Il pollo spaziale era entrato nell’atmosfera terrestre senza incendiarsi e questo era già qualcosa. Bombo aveva rallentato i motori e aperto al massimo le valvole, mentre O.O aveva calcolato la rotta meno distruttiva. I viaggiatori dello spazio ora aspettavano solo lo schianto al suolo…
“Tempo?”
“Quattro glock all’impatto!”
Che nella lingua dei Murtag corrispondeva a circa tre minuti.
“Impatteremo contro un prefabbricato alieno, capo!”
“Un’abitazione?”
“Sembrerebbe di sì”.
“Y, informazioni su quella superficie? Possiamo renderlo più morbido usando i raggi di rammollimento?”
Y si schiacciò il mento con tre dita e con una seconda mano si lisciò la spalla, poi fece spallucce e tornò a guardare dal suo periscopio.
“Non funzionano. Ovvio, cosa chiedo a fare…”
“Argilla cotta, legno morbido e cartongesso” disse O.O in fretta, quasi a rassicurare Doke.
“Non dovrebbe essere così duro!” considerò il comandante dei Murtag, avvicinandosi al microfono radio. “A tutto l’equipaggio, ripeto, a tutto l’equipaggio, preparatevi all’impatto!”
“E come?” domandò Sorry.
“Legatevi a quello che trovate!” urlò Duke, irritato.
Tutti i Murtag obbedirono all’istante.
“Impatto tra tre… due… uno…”
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