Cos’è un desiderio? Quanto pesa su di noi la sua irresistibile attrazione? Ma soprattutto, fino a dove siamo disposti a spingerci per raggiungerlo?
Travolto da questi dilemmi vaga il nostro protagonista, senza ormai più un nome né un ricordo. Approdato per qualche strano motivo su un’isola disabitata, deve farsi strada attraverso l’insidiosa vegetazione del luogo, alla ricerca di significati nascosti e di ricordi che non vogliono essere trovati.
Tutto culmina in un incredibile gioco di specchi dove i riflessi illudono e confondono, mostrando la realtà e al contempo il suo opposto. L’ambigua duplicità di ciò che ci circonda non tarda nell’apparire come un circolo vizioso, labirintico, da cui è impossibile evadere.
Questa è una storia che spazia tra il reale ed il fantastico, un’odissea che attraversa l’inconscio narrando leggende e guerre sacre, le contraddizioni dell’esistenza e l’eterno dualismo dell’animo umano.
Perché ho scritto questo libro?
Tutto è nato da un’idea, o meglio, da un bisogno che è subito diventato desiderio, da un pensiero che era ormai maturo e che non aspettava altro per sbocciare. La scelta era una soltanto: far fluire ogni cosa nell’inchiostro e scrivere, dare vita e forma all’invisibile, affinché fosse possibile a chiunque (ri)specchiarsi tra le pagine di questo libro e, dunque, tra i miei pensieri. Tutto è disposto con una simmetria maniacale: ogni numero o idea trova un senso specifico all’interno del racconto.
ANTEPRIMA NON EDITATA
Estratto Capitolo V
[…]
Un essere perfetto era stato scavato nel marmo. Sul viso dai lineamenti graziosi e gentili spuntava un debole sorriso, proprio sotto a due occhi che sembravano pieni di vita. Il corpo snello e flessuoso, coperto da una veste, riportava tratti sia maschili che femminili, unendo in una perfetta sintonia i due. L’abito, trasparente e morbido, cadeva soffice lungo il corpo della figura e ne arrotondava le forme. Le mani erano giunte in preghiera e tra di esse era stretta l’elsa di una spada, la cui lama (resa con il marmo più lucido di tutta l’opera, tale da farla sembrare di metallo) era incastonata nell’altare. Ma l’elemento che rendeva quella statua unica era un altro: due candide ali si aprivano dalla schiena dell’essere.
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Ed ogni piuma, con ogni singola scanalatura, era stata scavata in modo impeccabile dallo scultore. Tanto parevano soffici e leggere quelle piume che mi chiesi quale uomo fosse mai riuscito a realizzare qualcosa del genere. La statua, immortalata nella sua purezza, sembrava potesse spiccare il volo da un momento all’altro e librarsi nel cielo come un uccello. Ma la magnificenza di un simile capolavoro non è esprimibile in parole semplici; solo io, che ero lì, so quale immenso splendore mi trovavo di fronte.
Scolpito nel marmo opaco l’angelo rifletteva debolmente i colori del tramonto. Vedevo il viso raffigurato con una cura attenta ed esemplare illuminarsi al chiaro di luna. Le guance leggermente levigate e lisce sembravano stessero perdendo quella vaga sfumatura crepuscolare. E proprio mentre il sole calava nel blu dell’oceano senza lasciare più traccia, la statua prese fuoco.
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