Si sente spesso dire che “il tema è in crisi”, che “gli insegnanti di oggi non fanno più svolgere temi”, che “gli studenti non sanno più scrivere”, anzi, “non sanno nemmeno capire quello che leggono”. Affermazioni generiche, che in quanto tali contengono qualche nucleo di verità, ma che appaiono esagerate.
Partiamo però da un aspetto lessicale per cercare di fornire un’analisi più articolata e accurata. Forse si parla di “tema in crisi” o addirittura in via d’estinzione anche perché sia i docenti, sia i manuali scolastici, sia i documenti ministeriali usano ormai da diversi anni termini più precisi, più tecnici. Nelle antologie in uso nelle scuole troveranno dunque spazio il testo narrativo, descrittivo, argomentativo, espressivo-emotivo. E poi ancora diario, lettera, email, articolo di giornale, ecc. Insomma, i “temi” si assegnano ancora – basti pensare alla prima prova scritta degli esami di Stato che è sempre di italiano, in entrambi i gradi della secondaria – solo che vengono chiamati in modo differente a seconda della specifica tipologia testuale con cui ci si confronta.
I docenti di oggi fanno scrivere meno rispetto al passato? Dubito vi possa essere una statistica ufficiale: per averla bisognerebbe confrontare migliaia di registri di classe dei decenni passati, quando ancora erano cartacei, con quelli di oggi, ormai digitali. Possiamo però ipotizzare che sia vero perché, visto l’aumento esponenziale di progetti e altre attività didattiche non tradizionali, il tempo per la scrittura di testi nelle ore di italiano si è ridotto necessariamente.
Gli studenti di oggi scrivono peggio di quelli del secolo scorso? Anche qui, non è facilissimo fare un confronto. Ciò che è certo è che scrivere testi di media ed elevata lunghezza è considerata, dagli studenti, generalmente, un’attività noiosa, difficile e faticosa. In parte è sempre stato così, ma certamente l’abitudine a scrivere testi brevi e poco controllati, come succede sui social media e con le app di messaggistica istantanea, non facilita il lavoro degli insegnanti di italiano, alle prese con una “concorrenza” sempre più agguerrita e numerosa.
La rassegnazione e il disfattismo, comunque, non servono a nulla. Se si vuole che le persone in generale, gli studenti in particolare, diventino più bravi nella scrittura, occorre – è scontato, ma è giusto ribadirlo – che leggano, che percepiscano la lettura come un piacere e non una sofferenza, come una maniera per conoscere meglio se stessi e il mondo, e non un modo “per imparare l’italiano”. Occorre suggerire loro qualche tecnica, invece di limitarsi a dire “rispettate le regole grammaticali e seguite la traccia”: magari bastasse solo questo.
Le tracce, appunto: più sono stimolanti, maggiori sono le possibilità che gli studenti provino interesse ed entusiasmo per la scrittura e ottengano risultati sempre migliori, non tanto in termini di voti, quanto di efficacia comunicativa, affermazione di un’identità, di uno stile.
L’obiettivo del libro è insomma ambizioso. Ma gli anni di insegnamento mi hanno fatto capire che lo sforzo non è affatto vano. Scrivere può rappresentare – per gli studenti, ma non solo – un’attività soddisfacente e divertente, un vero e proprio gioco, che come tale richiede però pazienza, disponibilità alla fatica, coraggio, creatività, nel rispetto di alcune regole e tecniche di comunicazione.
Il testo narrativo-descrittivo
Il testo descrittivo. Presenta le caratteristiche di persone, animali, cose, ambienti, concentrandosi su un determinato momento. La descrizione di ciò che si vede in un quadro o in una fotografia è forse il modo migliore per fissare il concetto che ruota attorno a questo tipo di testo.
Le descrizioni possono essere oggettive e soggettive. Sono oggettive quando l’autore descrive la persona, l’animale o la cosa così come sono, senza dare giudizi personali. Se, ad esempio, voglio descrivere Sonia usando solo parametri oggettivi, posso dire che: “Ha 19 anni, gli occhi e i capelli castani, è alta 165 cm e pesa 54 kg. Le scarpe che porta, numero 35, sono di colore giallo. Pantaloni e maglietta sono di colore blu”. Si tratta di elementi che, se veri, sono indiscutibili.
Le descrizioni sono invece soggettive quando l’autore esprime delle opinioni, interpreta la realtà a modo suo, non nasconde il suo punto di vista. La descrizione soggettiva di Sonia potrebbe diventare questa: “Sonia è giovanissima, sembra una ragazzina del primo superiore. Ha degli occhi luccicanti e bei capelli. Non è alta ed è magra. Le sue scarpe sono piccolissime, molto appariscenti, i vestiti sono alla moda: tiene molto al suo look”. Come si può notare, questa descrizione è ben diversa da quella sopra, pur riguardando la stessa persona. Ciò avviene perché entra in gioco il punto di vista dell’osservatore: ecco allora che persino l’età è legata alle impressioni di chi descrive la ragazza.
Le descrizioni, generalmente, contengono elementi oggettivi e soggettivi, soprattutto se ci riferiamo a testi letterari. Un esempio potrebbe essere dato dalla frase: “Sonia ha 19 anni, ma ne dimostra 15. È simpatica, ha un aspetto molto grazioso, valorizzato dal giallo e dal blu, i colori delle scarpe e dei vestiti che indossa”.
Quando si produce un testo descrittivo, è necessario fare ricorso ai dati sensoriali, anche se non sempre possono essere utilizzati tutti contemporaneamente. I dati visivi riguardano colore, forma, grandezza, posizione, bellezza… I dati uditivi hanno a che fare coi suoni, i rumori. I dati tattili ci rimandano alla morbidezza, alla durezza, al peso, al tipo di superficie. Ci sono poi i dati olfattivi (odori) e gustativi (sapori).
In tutte le descrizioni è fondamentale fare ricorso agli aggettivi, qualificativi e non. In quelle soggettive può essere richiesto di usare figure retoriche quali la metafora, la similitudine, l’iperbole, ecc. (a esse è dedicato un apposito capitolo). Nelle descrizioni oggettive il lessico deve essere più tecnico, dunque molto preciso. Medici, ingegneri, architetti, scienziati devono essere molto oggettivi quando elaborano la descrizione di qualcuno o qualcosa.
Il testo narrativo. Rappresenta degli eventi, dei fatti, disponendoli in ordine di successione temporale, anche se ci possono essere delle eccezioni, visto che non sempre un fatto accaduto prima viene narrato all’inizio.
I testi narrativi più conosciuti sono: la cronaca, il racconto, il romanzo, la biografia, la favola e la fiaba. Ovviamente, i testi narrativi contengono anche delle descrizioni e le sequenze di natura riflessiva, spesso necessarie per comprendere bene come si sono svolti i fatti.
La cronaca. Può riguardare fatti avvenuti alla presenza dell’autore oppure accaduti ad altri. Più la cronaca è soggettiva, più spazio viene dato a riflessioni, sentimenti, stati d’animo, sensazioni personali, reazioni agli avvenimenti narrati. Un esempio di cronaca può essere rappresentato dal racconto di un viaggio d’istruzione. Rispetto alla relazione vera e propria, la cronaca ha uno schema meno rigido e più margine viene lasciato alla libertà creativa di chi la elabora.
La cronaca può essere reale, e il più delle volte è così, o immaginaria. Un esempio di cronaca immaginaria potrebbe essere realizzato attraverso la traccia: “Parla del viaggio d’istruzione ideale, ipotizzando di averlo davvero fatto”.
Il racconto. Il racconto è un testo creativo piuttosto corto o di media lunghezza. Si differenzia dal romanzo anche per un minore grado di complessità.
Il racconto può essere realistico, quando la vicenda presentata è verosimile o addirittura avvenuta realmente (gradi maestri, in questo senso, furono Pirandello, Verga, Guy de Maupassant, Carver…); oppure fantastico, quando il mondo rappresentato è immaginario e i personaggi sfidano le leggi della natura (pensiamo a Howard Philips Lovecraft, Mary Shelley, Herbert George Wells).
Scrivere un racconto di alto valore è un’impresa che riesce solo ai grandi della letteratura. Ma è importante conoscere i meccanismi essenziali che permettono a qualsiasi testo di questo tipo di funzionare in modo valido. Eccone alcuni.
- Bisogna scegliere bene la vicenda da raccontare, tenendo presente che l’obiettivo è essere interessante per chi legge. Lo spunto spesso arriva da un’esperienza realmente vissuta ma rielaborata.
- Il racconto deve avere un protagonista principale. Poi ci sono gli altri personaggi, ma è meglio che non siano troppi, per non appesantire il testo.
- L’autore del racconto deve sapere bene dove e quando si svolgono i fatti raccontati, non per forza, però, deve dire tutto quello che sa al lettore. Bisogna compiere delle scelte. Raccontare significa dire alcune cose e tacere su altre, esattamente come avviene nella vita quando parliamo di una vicenda con qualcuno.
- Il racconto generalmente si divide in tre parti: inizio, sviluppo, conclusione. Ci deve essere necessariamente un equilibrio iniziale che si rompe e la conclusione deve essere coerente con quanto scritto in precedenza.
- È importante che il racconto sia credibile. Perché lo sia, bisogna costantemente trarre spunto dalla realtà, anche quando parliamo di un testo fantastico.
- Un testo narrativo è fatto anche di descrizioni, dialoghi e riflessioni. Meglio privilegiare il discorso diretto: vivacizza il racconto, permette al lettore di conoscere meglio le caratteristiche dei personaggi. I dialoghi permettono di evitare lunghe e noiose descrizioni psicologiche.
- Ingredienti importanti del racconto possono essere la comicità e l’umorismo. Entrambi hanno a che fare con qualcosa di anormale, di inusuale di strano, di bizzarro, che fa scattare la risata in chi legge (per capire meglio i meccanismi e la differenza tra comicità e umorismo, si rimanda alle teorie di Luigi Pirandello ed Henri Bergson).
- Non è importante soltanto cosa si scrive ma anche come lo si scrive. Bisogna sforzarsi di essere originali, di affermare uno stile proprio, rispettando però le regole grammaticali.
La biografia. La biografia è un testo che contiene le informazioni più importanti della vita di una persona. Essa segue un ordine prevalentemente cronologico.
Le informazioni riguardano, anzitutto, il luogo e la data di nascita della persona di cui si parla, la sua famiglia d’origine (padre, madre, fratelli, sorelle) ed eventualmente quella formata in età adulta (moglie o marito, figli).
Uno spazio viene dedicato all’istruzione ed eventualmente alla formazione universitaria.
Le informazioni principali, però, riguardano la professione svolta dalla persona di cui viene composta la biografia. Se, ad esempio, si parla di un genio conosciuto in tutto il mondo come Albert Einstein, bisogna parlare di dove ha lavorato, di quali risultati ha conseguito, di quali teorie scientifiche ha elaborato, dei premi ricevuti, dei libri scritti, del pensiero, delle critiche ricevute, dell’importanza storica del personaggio, della sua influenza odierna.
Nelle biografie delle personalità più importanti non mancano di certo i riferimenti a fatti privati, dunque a episodi molto significativi della vita, come può essere un trasferimento, un problema di salute, la morte di un parente stretto, ecc.
È molto facile trovare nelle enciclopedie cartacee e soprattutto in Rete biografie di persone importanti. Basta cercare, ad esempio, sui siti di Wikipedia e della Treccani per avere innumerevoli esempi. La lunghezza del testo biografico può variare molto: essa dipende sia dall’importanza del personaggio, sia dalle informazioni che si hanno a disposizione nel compilarla.
Se la biografia è la scrittura della vita di un uomo diverso dall’autore del testo, l’autobiografia è quella scritta dall’autore stesso. In quest’ultimo caso, per redigerla, non bisogna per forza essere famosi! Chiunque infatti ha qualcosa da raccontare sulla propria esistenza e qualunque vita, se illustrata bene, può risultare molto interessante.
A differenza della biografia, l’autobiografia è da considerare un testo espressivo-emotivo, visto che l’espressione di sentimenti ed emozioni personali gioca un ruolo fondamentale in questo tipo di scrittura.
La favola. La favola è un testo narrativo scritto in modo molto semplice, in prosa o in versi. Protagonisti sono pochissimi personaggi, il più delle volte animali umanizzati, che hanno cioè vizi e virtù tipici delle persone. Lo scopo della favola non è solo intrattenere, ma soprattutto fornire una morale, cioè dare una lezione di vita su ciò che è giusto o sbagliato fare.
Nella favola, gli animali hanno in genere dei ruoli fissi: ad esempio, l’agnello rappresenta la bontà, l’ingenuità, la debolezza; la volpe l’astuzia; il lupo la prepotenza; la formica la pazienza e la laboriosità; la cicala la superficialità; il leone la forza; la tartaruga la lentezza e la tenacia, ecc.
In questo tipo di racconto breve non ci sono indicazioni precise su tempi e luoghi gli eventi si svolgono. Non è importante, dunque, la descrizione dell’ambiente, ciò che conta è indagare i comportamenti dei protagonisti per trarre una morale, un suggerimento su come agire bene nella vita.
La morale, appunto, può essere di due tipi: esplicita, quando è espressa in modo chiaro e netto (ad esempio, “bisogna lavorare molto e avere pazienza per ottenere risultati”); implicita, quando è il lettore a doverla ricavare, riflettendo attentamente sui comportamenti, le parole, le azioni dei personaggi.
Altre caratteristiche della favola spesso presenti sono: l’estrema brevità (a volte i testi sono lunghi appena un centinaio di parole), la semplicità delle frasi e dei dialoghi, i finali che spesso non sono positivi per il protagonista.
Questo tipo di testo ha origini molto antiche. Tra i primi a produrre favole ci furono Esopo e Fedro. Facendo un salto di parecchi secoli, grandi autori di favole che meritano di essere citati sono Gianni Rodari e Roberto Piumini.
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