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Il sapore della vendetta

IL SAPORE DELLA VENDETTA
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Consegna prevista Febbraio 2024
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Sun è stata rapita, è sola incatenata e ferita. Sa che deve rimanere lucida e non ha molto tempo, deve ragionare in fretta. L’unico modo è chiudere gli occhi e rivivere ogni momento che l’ha portata a quel punto. Grazie alla sua determinazione e la capacità di attaccarsi alla vita a tutti i costi riesce a non cedere, a sopportare violenze sia fisiche che psicologiche. Ancora una volta sarà con l’aiuto della squadra di Jason Platter, ormai diventata la sua famiglia, che riuscirà a tirarsi fuori dai guai grazie ad una rocambolesca azione di salvataggio ai limiti del tempo. Sfruttando l’esperienza vissuta e insegnamenti acquisiti dopo l’arrivo in Florida, riesce ad arrivare alla soluzione di un intricato caso di contrabbando e di omicidi.

Perché ho scritto questo libro?

Questo è il secondo romanzo di un progetto più ampio che parte dal primo intitolato ‘L’odore del mare e la calibro 9’, e che prevede un totale di 5 opere ognuna delle quali si concentra sui 5 sensi citati nei rispettivi titoli. L’idea è quella di raccontare il percorso di crescita della protagonista, che si arricchisce grazie agli insegnamenti acquisiti tramite le esperienze vissute e gli intricati casi che si troverà di volta in volta a dover risolvere.

ANTEPRIMA NON EDITATA

1

Non riusciva a rendersi conto del tempo trascorso. Non capiva se fuori fosse giorno o fosse notte, se a passare fossero infiniti minuti oppure cortissime ore. Era stordita, aveva un forte mal di testa e il caldo non aiutava. Aveva provato a raccogliere le forze e urlare più forte che le riusciva battendo sulla parete; quando si rese conto che non sarebbe servito a niente si arrese, chiuse gli occhi sfinita, disperata e si accasciò sul pavimento. Si sentiva soffocare e a tratti il panico tentava di prendere il sopravvento. Inspirava profondamente cercando di contenere l’affanno, faceva fatica a concentrarsi a causa dell’adrenalina che la paura mandava in circolo. Ma alla fine ci riusciva, riusciva a riprendere il controllo. Sembrava avesse trovato il modo per allontanare quella terribile sensazione e, in quella circostanza era già qualcosa.

Sola, legata con pesanti catene, poteva fare ben poco; tuttavia decise di provarci e     tentò di sopravvivere nel solo modo che conosceva: in attesa che succedesse qualcosa, iniziò a pensare alle situazioni che più l’avevano fatta stare bene, tenendo la mente occupata e lontana dal presente, riviveva i momenti che avevano cambiato il significato della sua esistenza. C’erano momenti difficili e momenti da dimenticare, ma c’erano anche momenti belli ed intensi. Quest’ultimi non erano molti ma esistevano, ed erano recenti. I ricordi e le sensazioni legate ad essi erano ancora vividi. Tutte le sofferenze e ogni tipo di tragedia vissuta, erano gli episodi della vita che l’avevano resa la persona che era, l’avevano modellata e forgiata per affrontare ciò che era successo in seguito alla fuga dal suo paese nativo. Scavando bene nel disordine delle zone più recondite del cervello, Sun

era riuscita a trovare ricordi felici, anche se alcuni parevano sbiaditi come vecchie foto.

Il sistema funzionava: ricordare, rivivere. In quel modo riusciva a non lasciarsi andare, a non arrendersi. Finché il corpo respirava, doveva assecondarlo e ricordarsi che era ancora viva, e nel rispetto dello sforzo che stava facendo, lottare per rimanerci.

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La sensazione che stava provando era terribile, per usare un eufemismo, e la circostanza in cui suo malgrado si trovava, faceva sembrare tutti i suoi orrendi trascorsi, inezie. Era in trappola, legata come un animale. Il guaio in cui si era cacciata questa volta, le aveva fatto comprendere davvero quanto tempo ed energie era stata in grado di sprecare a rimpiangere decisioni e situazioni che non sarebbero potute andare diversamente da come erano in effetti andate.

È incredibile come l’essere umano sia in grado di sprecare energie e tempo prezioso per motivi frivoli e superficiali. Se ne rese conto solo in quel momento, solo quando sentiva che la vita le stava sfuggendo via; come quando si cerca di contenere l’acqua tra le mani: impossibile trattenerla, scivola via senza controllo e quella andata perduta non si può più recuperare.

Aveva sete, una gran sete. Le labbra e la bocca erano arse. Il posto era chiuso e senza finestre, non c’era alcuno spiffero d’aria né uno spiraglio di luce a darle sollievo, sudava ed era disidratata. La mente proiettava immagini di acqua in tutte le sue forme a partire dalla pioggia. Non era mai stato così forte il desiderio di godersi uno di quei meravigliosi temporali pomeridiani, ogni tanto lasciava che la pioggia la inzuppasse da capo a piedi con il viso rivolto verso il cielo come segno di sfida. Riusciva a vedere davanti a sé con chiarezza ruscelli scroscianti, copiose cascate che sfociavano in grandi laghi, e poi il mare, era come se fosse talmente vicino da poterlo toccare ma, non poteva arrivarci, qualcosa glielo impediva: era in preda alle allucinazioni.

A distrarla da quel pensiero fu il rumore di una porta di metallo, poi sentì dei passi pesanti avvicinarsi veloci. Era entrato qualcuno ed era ormai vicino, ne avvertiva la presenza. Non poteva vedere a causa della benda sugli occhi stretta intorno alla testa, ma poteva udirne il respiro affannoso e l’odore acre che emanava, poi il tonfo di un oggetto al suo fianco. Chiunque fosse lì in quel momento, aveva lasciato cadere qualcosa e se le allucinazioni non le stavano giocando un brutto scherzo, udì il suono dell’acqua sbattere tra le pareti di un contenitore, immaginò una bottiglia. Rimase immobile per alcuni lunghi istanti, in attesa che succedesse qualcosa, era tesa e il cuore batteva all’impazzata perché non aveva idea di cosa volessero farne di lei.

Dopo un attimo di esitazione sentì i passi allontanarsi e un rumore forte, metallico, la porta si chiuse provocando un rimbombo. Attese di essere di nuovo sola e ancora con le mani legate tentò di capire cosa avessero lasciato cadere sul pavimento. A tastoni riuscì ad individuare una bottiglia di plastica, piccola, da un quarto di litro. Con non poca difficoltà e qualche movimento contorto l’afferrò e bevve un po’ di quell’acqua che ebbero la clemenza di lasciare. Non ce n’era abbastanza da permetterle di dissetarsi: la quantità  necessaria per mantenerla in vita.

Era una vera e propria tortura, qualcuno si divertiva a tenerla in quello stato, in bilico tra la vita e la morte.

Dal momento in cui l’avevano presa, era stata costretta a tenere una benda sugli occhi per un tempo che non era stata in grado di quantificare, perché era rimasta priva di sensi e non riusciva a rendersi conto del tempo che era passato. La terribile esperienza del suo matrimonio con il capo di un’organizzazione criminale in Italia, le aveva insegnato molto, ma soprattutto aveva imparato sulla propria pelle a capire come agivano quel tipo di persone: sapeva per certo che se ancora respirava, era per un valido motivo. Morta, non sarebbe servita allo scopo. Se non fosse stato così, a quel punto l’avrebbero già  ammazzata. Facile. Veloce. Un colpo di pistola alla testa e per certa gente non era certo un problema sbarazzarsi di un corpo. Soprattutto in quella zona, la Florida è piena di paludi, nessuno avrebbe trovato più il suo cadavere: cibo per gli alligatori. Di Sun, non ne sarebbe rimasta alcuna traccia. Volevano qualcosa da lei, avrebbero chiesto un riscatto probabilmente e, solo dopo aver ricevuto informazioni oppure soldi o entrambe le cose, se ne sarebbero sbarazzati, per non lasciare testimoni o per il gusto di farlo, perché era gente spietata a cui non importava niente della fine che avrebbe fatto una volta raggiunto lo scopo.

Non aveva molte informazioni, ma era certa di essere sola lì dentro, non aveva idea di dove i rapitori l’avessero nascosta, ma dopo un po’ di tempo, a causa della cecità forzata, i sensi si acuirono e si concentrò per capire qualcosa sul luogo in cui si trovava. L’aria era impregnata di odore di pesce, di salsedine e di carburante. Riusciva a sentire i rumori che arrivavano dall’esterno, c’erano voci maschili e riuscì a distinguere i suoni inconfondibili di motori di grandi e di piccole cilindrate, i quali andavano e venivano con grande frequenza. Associando odori e rumori concluse che si trattava di imbarcazioni di ogni dimensione, potevano essere yacht, traghetti per turisti, pescherecci o imbarcazioni di fortuna che trasportavano clandestini provenienti da Cuba.

Quando riprese i sensi era sola, stordita, al buio ed era legata con delle fascette di

plastica ai polsi e alle caviglie. Più tentava di fare forza per slegarsi, più le fascette le tagliavano la pelle. Più forzava, più la ferita si faceva profonda. Poco dopo divenne insopportabile, il bruciore aumentava ad ogni piccolo movimento.

Successivamente entrò di nuovo qualcuno, non era passato molto tempo. Il rumore che faceva ad ogni passo, produceva un forte rimbombo. Lo sentiva avvicinarsi svelto, e quando si fermò ci fu di nuovo silenzio. Ma era lì, lo sentiva: era in ginocchio accanto a lei, poteva percepire il suo respiro vicino alle orecchie. Le sue pesanti scarpe produssero uno scricchiolio nel momento in cui si piegarono. Davanti a lei sentì ‘tac, tac’, un rumore secco e sordo, subito dopo la sensazione di sollievo, le caviglie erano libere. L’uomo era ancora troppo vicino, sentiva il suo battito regolare, il quale con un movimento rapido si alzò e l’afferrò per le braccia dolenti obbligandola a alzarsi in posizione eretta. Lei faceva fatica a muoversi, era stata ferma per troppo tempo e aveva le gambe indolenzite. Le legò la catena ad una caviglia, che a sua volta era assicurata ad un tubo verticale che percorreva tutta la parete metallica. Poi se ne andò. Senza alcun commento, senza dire una parola. Le lasciò un paio di metri di movimento, le mani sempre legate dietro la schiena in modo che non fosse possibile togliersi la benda sugli occhi. La benda le impediva di vedere il volto del rapitore, ma sapeva che lo scopo era di farla sentire spaventata, impotente e disorientata, si sarebbero sbarazzati di lei prima o poi e, essere riconosciuto non era una grosso problema.

Sfinita si sedette sul pavimento freddo e umido. L’unico sollievo. Le maledette zanzare non andavano più neanche a cercare altrove, c’era lei e bastava per tutte. Dopo i vani tentativi iniziali non provò più ad urlare. Voleva credere, aveva bisogno di credere che sarebbe arrivato il momento di agire prima o poi e doveva risparmiare le energie, doveva tenere duro nella speranza che qualcuno la trovasse.

A quel punto, seduta e abbandonata a se stessa rimpianse ogni giorno, ogni momento, compreso il più brutto passato con Tyler Stone, soprattutto dopo la partenza da Clearwater.

Si appoggiò con la schiena alla parete, abbandonò la testa all’indietro afflitta, e cominciò a pensare a ciò che la manteneva in vita in quel maledetto tugurio.

2

Ricordava tutto nel dettaglio, ogni tipo di sensazione provata e, richiudendo gli occhi era come se fosse proiettata nel passato. Il primo posto dove la sua mente l’aveva portata era nella sua stanza al Safety Residence. Quel posto, aveva il potere di farla sentire al sicuro nonostante tutto, come se dentro quelle quattro mura fosse invulnerabile. Fissava il soffitto sdraiata sul suo letto, teatro di ricordi meravigliosi. Nell’angolo, un quadrato del controsoffitto aveva attirato la sua attenzione, si differenziava dagli altri perché era spostato dal suo alloggio in maniera impercettibile, ma lei riusciva a vederlo. Un sorriso malinconico nacque sul suo volto. Lì, lei e Tyler avevano nascosto i soldi che aveva preso all’ex marito quando era scappata dall’Italia. I ricordi di Tyler affioravano alla mente, tutto glielo ricordava, era inevitabile. Si voltò su un fianco, come se cambiando posizione, avesse potuto cambiare anche il pensiero. Dopo aver scorto il letto vuoto, il suo già pessimo stato d’animo peggiorò. Era certa che prima o poi sarebbe ritornata a Clearwater, ma mai che l’avrebbe fatto da sola. Sun e Tyler avevano dei progetti: sarebbero dovuti tornare al residence e ritornare alla normalità con Jason e i suoi uomini, dopo la chiusura di un capitolo terribile e triste, speravano di voltare pagina e liberarsi di tutto ciò che era successo. Erano riusciti a disfarsi per sempre di Roberto Bruno: l’uomo a capo dell’organizzazione criminale che era andato a cercarla dall’Italia per ucciderla, lo stesso uomo che qualche anno prima aveva ingenuamente sposato. La sua morte segnava un limite: la fine della sua vecchia vita. Avrebbe dovuto auspicare un nuovo inizio insieme a Tyler Stone, l’uomo che le aveva salvato la vita, e di cui si era perdutamente innamorata. Ma niente di tutto questo accadde, niente fino a quel momento, era andato secondo i piani. I ricordi la proiettarono ancora più indietro, quando la speranza divenne rassegnazione, e le circostanze l’avevano obbligata a tirare fuori la forza necessaria per andare avanti, da sola. Subito dopo la morte di RB, l’ex marito malavitoso di Sun, erano sollevati, erano riusciti ad assaporare qualche attimo di serenità, e questo aveva dato loro speranza. Avevano seguito il consiglio del vice sceriffo Josh Camble, di sparire per un po’, giusto il tempo di sistemare le cose in modo che nessuno di loro venisse coinvolto nella maniera sbagliata, era proprio quello di cui avevano bisogno. Data la situazione, sarebbe stato facile commettere un errore e distorcere una verità talmente complicata: la vittima era l’ex marito della donna il cui attuale compagno era colui che lo aveva pestato a sangue prima che egli si sparasse. Troppo facile. Lo sceriffo cercava un colpevole ed era noto che Tyler Stone non gli era mai andato a genio.

Dopo quel consiglio si dileguarono a bordo della Bad Boy nel giro di un paio di giorni. All’inizio del loro viaggio a dire il vero, le cose non erano andate poi così male. Erano ottimisti e avevano grandi progetti, ma quel viaggio non andò come avevano sperato. Visitarono tutta la parte sud del Paese. Andarono dalla Florida alla California a cavallo della Bad Boy e riuscirono a vedere posti straordinari, senza però, mai liberarsi di tutte le cose terribili che erano successe. Non riuscivano mai ad allontanare il dolore che li perseguitava, era come un’ombra oscura che li seguiva ovunque, alla luce e anche al buio. Non potevano vederla ma, era tangibile, ne sentivano forte la presenza, era dietro le loro risate, i loro pianti e le arrabbiature. Non c’era modo di separarsene. Non avevano mai perso il contatto con Clearwater, sentivano Jason e i ragazzi con costanza, all’inizio anche tutti i giorni. Non c’era mai un vero motivo per cui sentirsi così spesso, si parlava di cose di poco conto, del tempo, delle cose che avevano visto, di moto, Sun sapeva che quello era l’unico modo per non perdere del tutto il contatto con la realtà. Essere stati obbligati ad andare via da casa, all’inizio, sotto molti aspetti era stato il sistema perfetto per prendere le distanze da tutto ciò che era successo. In quel modo si sentivano sollevati

dall’obbligo di affrontarne le conseguenze, per questo né lei né Tyler avevano fretta di rientrare. Ma le cose erano cambiate. Man mano che il tempo passava, Tyler trovava sempre una scusa per evitare le telefonate, che di conseguenza erano diminuite, e le conversazioni erano ridotte al minimo indispensabile. Li chiamavano tanto per rassicurarsi che stessero bene e per non perdere del tutto le loro tracce. Ogni giorno che passava Tyler diventava sempre più taciturno e sembrava non riuscisse a trovare pace. Era nervoso e scattava per ogni piccola cosa. Le risse erano diventate più frequenti, per futili motivi e in qualsiasi luogo, dal pub al supermercato e, spesso lei aveva l’impressione che

lo infastidisse anche la sua presenza.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Adriana Dimasi
Mi chiamo Adriana Dimasi, ho 45 anni e vivo da sempre nella provincia di Torino. Oltre alla famiglia e al lavoro ho due grandi passioni: scrivere e viaggiare. I miei viaggi hanno come destinazione perlopiù gli Stati Uniti, dove sono inoltre ambientati i miei romanzi. Sono organizzati in autonomia, per evitare i luoghi più turistici, cerco di vivere il più possibile on the road per lasciarmi ispirare da situazioni, luoghi e persone, per poter trasferire le mie esperienze e far vivere i miei personaggi in modo più realistico possibile. Scrivere è sempre stato un modo per evadere dalla realtà di tutti i giorni, divertendomi a creare fatti, situazioni e interazioni ispirandomi alle esperienze vissute. Nel 2017 ho pubblicato il mio primo romanzo: 'L'odore del mare e la calibro 9'. 'Il sapore della vendetta' è il titolo del mio ultimo lavoro.
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