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Il Segreto dell’Angelo

Il Segreto dell'Angelo
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Consegna prevista Luglio 2023
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Un “Arcangelo”, Gabriel e un “Demone”, Lucia, esiliati a Buenos Aires, nel 2001, all’insaputa l’uno dell’altra, per rimediare agli errori commessi. Gabriel ha abbandonato di propria volontà il Paradiso mentre Lucia è stata scagliata sulla Terra. Entrambi, pur ignorandolo del tutto, possiedono un pezzo del mistero da sciogliere, il nome e la data di morte dell’essere umano per il quale battersi e da portare con sé e dovranno collaborare, una volta incontratisi, per poter portare a termine la missione. Possono un angelo ed un demone, anime incarnate, sole, sbalestrate, abbandonate dai rispettivi “principali” riuscire in un compito simile? E sarà un incarico di salvataggio o di dannazione per entrambi? E se il loro nuovo lato umano prendesse il sopravvento, facendo sperimentare emozioni e sentimenti? Ci sarebbe o meno un rientro? Tornano i protagonisti de “Il Segno dell’Angelo” in un sequel ricco di suspence, libero arbitrio, scelte, dubbio, sentimenti, competizione, poesia e… Immortalità.

Perché ho scritto questo libro?

La storia mi ha cercata: nella mia mente c’era un disegno, che abbracciasse l’esistenza di creature umane e non, in perenne equilibrio sopra il dubbio di mondi troppo incredibili per poter essere compresi. Sono così tornati alcuni dei protagonisti del fortunato romanzo “Il Segno dell’Angelo” in un’avventura completamente nuova ed indipendente, necessaria per la stesura del terzo ed ultimo capitolo della saga, laddove ogni mistero sarà svelato ed ogni esistenza troverà il proprio compimento.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Libro di Luce

L’incontro

Buenos Aires, 27 marzo 2001, martedì pomeriggio

-Oh, no, dannazione, che cosa mi hai fatto fare??

Lo strillo acuto, spaventato, della donna grassa al suo fianco le fece comparire un sorrisetto all’angolo delle labbra, che Lucìa si affrettò a nascondere.

-Io non ti ho fatto fare proprio niente… – Le rispose, in una nuvola di vapore. Il clangore dei macchinari per lavare a secco ed appendere la biancheria della grande tintoria dentro alla quale lavorava da quasi un mese, attutì e quasi si inghiottì le sue parole.

Meglio così.

-Come sarebbe che non mi hai fatto fare niente? – Riprese quella, con la faccia sudata e gli occhi stravolti dal terrore. –Ti ho chiesto un consiglio su quale prodotto usare e tu mi hai detto…

-Appunto – Terminò Lucìa, dandole le spalle – era solo un consiglio. Niente di più.

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-Ma…Ma… – Balbettò l’altra, tergendosi il sudore con il polso e sventolandole sotto al naso una camicetta di seta bianca con una vistosa macchia di un brutto color senape appena sotto al colletto: più la donna strofinava più la macchia si allargava; il tessuto ormai era rovinato, non c’era più niente da fare.

Lucìa scrollò le spalle e dedicò nuovamente la propria attenzione all’asse da stiro enorme, metallico, minaccioso, che le si distendeva di fronte e sul quale allungò stancamente un braccio: la pila di indumenti, nella cesta ai suoi piedi, sembrava non finire mai. Per fortuna anche in quel luogo di rumore, vapori e bollore che, per molti versi le ricordava l’Inferno, il posto dal quale proveniva lei, c’era ancora la possibilità di compiere il male, di quando in quando. Gli esseri umani, con il loro libero arbitrio, erano talmente semplici da traviare: bastava un consiglio, una parola detta a mezza voce; la loro coscienza era così leggera, i loro principi talmente poco consistenti che un semplice soffio di vento era sufficiente a farglieli volare via in un colpo. Con quella grassona, Almeida, ad esempio, era stato facile: lei aveva poca, pochissima voglia di lavorare e quella maledetta camicia tutta seta e volant avrebbe significato almeno 20 minuti buoni di attività, tra il lavaggio fatto come si deve, il vapore, le pieghe e lo stiro. Lucìa aveva preso la palla al balzo: c’era quel prodotto, quello che il padrone aveva detto di non usare perché non ancora testato, che prometteva meraviglie su di ogni tessuto. Almeida avrebbe potuto mettere la camicetta con il prodotto innovativo a mollo ed uscire a fumarsi una proibitissima sigaretta e, al ritorno, avrebbe avuto la camicia pronta, la sigaretta fumata e 15 minuti di pausa pagati come se fossero stati lavorati. Era un piccolo imbroglio, una truffa insignificante, roba da dilettanti e questo Lucìa lo sapeva bene ma, in attesa di capire quale diamine potesse essere la sua missione, forse questo ed altri “lavoretti” simili avrebbero potuto far pendere l’ago della bilancia dalla sua parte, non appena fosse giunto il momento e qualcuno si fosse preso la briga di tirare le somme, analizzando il suo lavoro da demone bandito e desideroso di essere reintegrato. E, finalmente, i neri cancelli per lei si sarebbero aperti di nuovo.

-Sei una stronza! – Almeida le si avvicinò di colpo e la sorprese, strattonandole i lunghi capelli neri con forza e facendola cadere rovinosamente a terra.

Puta! – Esclamò un’altra voce di donna, prima di sputarle sul viso.

Con gli esseri umani non sapeva proprio come fare, pensò Lucìa, lanciando fiamme dai suoi due occhi neri e tentando di difendersi e di scrollarsi di dosso quel donnone di oltre 30 chili più pesante di lei, che continuava a tirarla di qua e di là, chiedendo giustizia per il torto subito. Se soltanto fosse stata ancora il demone che era, l’essere nero, immortale, la gazza del malaugurio, quella che, all’inferno, assoldava i propri segugi e li mandava giù, sulla terra, a mietere anime, senza provare né pietà né rimorso, gliel’avrebbe fatta vedere, ad Almeida e a tutte quelle altre sventurate ed inutili formiche che le si stavano affollando attorno, pregustandosi lo spettacolo di una rissa senza esclusione di colpi: le avrebbe polverizzate, smembrate, distrutte, schiacciate sotto al tacco dei propri stivali; sarebbe bastato un suo sguardo per farle rantolare e soffrire ad un livello tale che ognuna di loro avrebbe invocato la morte, piuttosto che continuare a percepire, nel corpo e nell’anima, un tale dolore.

Ma Lucìa non era più un demone, non era più niente; il segugio che aveva arruolato per l’ultima missione, uno dei più letali, aveva fallito: si era innamorato e, lungi dal portare a termine il proprio compito e ritornare ai neri cancelli portandosi dietro l’anima in bilico per il quale era partito, era rimasto sulla terra, graziato, nascosto, da qualche parte, con l’essere mortale che ne aveva fatto, suo malgrado, un uomo quasi perbene.

Satana non aveva gradito, naturalmente, la conclusione di quella storia: sebbene fosse giunta un’altra anima, inattesa ma sempre nera, ai cancelli infernali, non era stata sufficiente a riparare il danno: la perdita di un segugio, di un’esistenza dannata che si era convertita ed aveva ottenuto, dal Dio dei Viventi un’altra possibilità, questa cosa, inaspettata, incredibile, indecente, quasi, le era ricaduta direttamente sulla testa.

Lei aveva scelto quel segugio in particolare, garantendo per lui, per il suo operato, per la preda, che avrebbe condotto con sé, con la propria eternità infernale, come succedeva sempre. Solo che le cose non erano andate come previsto e Lucìa era stata bandita, scagliata giù, lontano, sulla terra, da sola, senza poteri, senza perle, senza alcuna indicazione né sesto senso. Si era risvegliata bocconi, in un vicolo, con la faccia in una pozzanghera e le mani piene di tagli, un biglietto tra le dita e niente a proteggerla da tutto quel brulicare di vita che le si era fatto attorno. Ci aveva impiegato dei giorni per comprendere, per accertarsi delle proprie condizioni: era umana, maledizione, un’insulsa, inutile creatura, una di quelle che, solitamente, lei ordinava di schiacciare senza nemmeno prendersi la briga di guardare in faccia, era stata privata dei propri poteri e spedita giù, in un altro inferno. Qualcuno si aspettava qualcosa da lei, probabilmente entro un tempo definito. Ma i giorni passavano e non succedeva nulla.

Gironzolando per la città, una metropoli che aveva conosciuto ma di cui faticava a ricordare il nome, aveva compreso come ciò che su quell’enigmatico biglietto che si era ritrovata tra le dita stava scritto, altro non fosse se non il nome di un quartiere; evidentemente la preda, la missione, o qualsiasi cosa lei avesse dovuto fare, doveva trovarsi lì, per forza.

Così ci era andata, ci andava quasi tutti i giorni, aveva incominciato a tenere d’occhio qualcuno, a farsi raccontare delle storie. Lavorava alla tintoria durante la giornata, veniva pagata in nero, ogni sera: i soldi erano pochi, miserevoli, bastavano a malapena per circuire le persone, per convincerle ad avvicinarlesi ed a parlare con lei; i mortali sembravano tutti molto diffidenti, c’era qualcosa, forse nel suo aspetto, oppure nel tono di voce o chissà, forse era il loro sesto senso che li metteva in guardia intimando loro di non rivelare troppo e di mantenere le distanze.

Con le belle o con le brutte maniere, ciò che, fino a quel momento, aveva ricevuto, era stata qualche proposta, un paio di battute acide, una marea di parole irripetibili perfino per un demone, o meglio, ex demone quale lei era ma niente che si potesse definire anche lontanamente una pista.

In mano non aveva assolutamente nulla.

-Che succede qua? – Tuonò la voce del signor Agustin. A quell’inaspettata esplosione gutturale, le mani di Almeida si immobilizzarono, smettendo di tirare. –Tornate al lavoro! – Sentenziò dopo un secondo l’uomo, minacciando sia Lucìa che Almeida con il proprio grosso pugno chiuso.

-Questa perra…- Iniziò Almeida che, evidentemente, non ne voleva sapere di lasciar perdere; Augustin non la fece nemmeno terminare.

-Tu e tu…- Le indicò entrambe, torreggiando su di loro con lo sguardo acceso di un cerbero in vena di fare festa. –Ragionate forse col culo? Che vi è preso? Oggi non verrete pagate! Niente dinero per nessuna di voi due! Questa camicia… – Riprese, afferrando il capo gualcito e macchiato tra le mani – adesso è una mierda, nient’altro che questo! E la cliente dovrà essere rimborsata… Userò i vostri soldi per farlo. E adesso levatevi dai piedi, se volete tornare al lavoro qui domani mattina! – Tuonò infine, ansimando leggermente

Almeida si alzò faticosamente da terra.

-Non finisce qui! – Le sibilò contro, come un serpente velenoso pronto a sferrare il proprio colpo mortale. Proprio in quel momento, il campanello sulla porta trillò, annunciando l’ingresso di un cliente all’interno del negozio e le altre ragazze iniziarono a vociare, dimentiche della rissa, di Lucìa, di Almeida e del signor Agustin.

-Eccolo! Puntuale come sempre! – Sussurrò qualcuna.

Madre de dios, quanto è sexy! – Biascicò un’altra, facendo da contraltare alla collega e toccandosi rapidamente sulla fronte con una sorta di sghembo segno della croce.

-Oggi tocca a me servirlo! – Esclamò Conchita, un’altra insignificante creatura, aprendosi due bottoni della pesante uniforme blu da lavoro; il suo seno prominente sussultò, cercando di saltar fuori da quella grossolana costrizione di stoffa e la ragazza sorrise, umettandosi le labbra con la lingua.

Buenas tardes señor– Disse, sospirando e sgomitando in modo che le altre contendenti si facessero da parte.

-Villana! – Sussurrò qualcuna ma fu costretta a lasciarla passare, così Conchita guadagnò la cassa, il bancone e l’attenzione momentanea dello sconosciuto.

-Il solito? – Domandò lei, con voce flautata.

Lucìa si sollevò a sua volta e si sporse a guardare: riuscì a cogliere un profilo biondo, un naso regolare, un mento rotondo ed una pila di stoffa chiara che volteggiò per un secondo in aria prima di afflosciarsi sull’asse di legno che fungeva da supporto per la biancheria da consegnare.

-Sì, gracias – rispose quell’uomo; più di qualche donna sospirò leggermente, come se costui fosse stato Juan Domingo Perón redivivo in carne ed ossa e desideroso di andare fuori a cena con una qualsiasi di loro e non semplicemente un comune mortale con un mucchio di biancheria puzzolente sottobraccio.

-Passerò giovedì sera a ritirarle, se per voi va bene…

Conchita si portò una mano alla gola ed annuì, deglutendo a vuoto. L’uomo non rispose nulla e scomparve, uscendo a passi ampi dallo stretto spazio antistante la porta di ingresso.

-Giovedì sera sarò io di turno! – Tuonò Almeida e nessuna delle altre ebbe il coraggio di contraddirla.

Lucìa osservò le colleghe spegnere i sorrisi e tornare, a capo chino, dietro i ferri e le lavatrici, il vapore si inghiottì i loro fremiti e, per parecchi minuti, nessun suono umano si aggiunse ai cigolii ed agli sbuffi meccanici degli elettrodomestici al lavoro e le venne quasi da sorridere: il desiderio, in quello spazio angusto, era palpabile e vibrava nell’aria, in attesa di scatenarsi. Tutte quelle donne, con le loro vite grigie, invisibili, mogli, sorelle, madri, che lavoravano senza sosta per guadagnare due pesos buoni per far loro acquistare appena qualche genere di prima necessità. Tutte si facevano il segno della croce alla sera, andavano in chiesa, crescevano i loro bambini e sognavano vite segrete, erotiche, elettrizzanti, avventure di una notte che con il loro Dio avevano poco a che fare e anche con i loro mariti e compagni. Bastava un bellimbusto qualsiasi, dall’aria vagamente tenebrosa e sofferta a fare mettere le ali ai loro fragili cuori; le creature umane erano talmente semplici e prevedibili! Lucìa ci pensò su ed il sorriso le si allargò sulle labbra marroni e piene: la lussuria era uno dei sette vizi capitali e forse, sulla bilancia dei misfatti, pesava di più di rabbia e qualche tirata di capelli. Squadrò le altre donne, con i fazzoletti in testa e le fronti imperlate di sudore, alle prese con gli effluvi di altri corpi, intente a restituire una forma ad abiti sgualciti e privi di colore, come le loro esistenze anonime, che le rendevano insoddisfatte e grigie, piene di bruciature di ferro sulle dita e di ferite sui cuori, finchè il suo sguardo non si posò su Margarita.

Era una ragazza giovane, non ancora trentenne, diceva di avere un compagno e due bambini, una famiglia complicata dall’alcolismo dell’uomo, che spesso la percuoteva tanto da farla arrivare al lavoro con un occhio pesto. Ecco, si disse Lucìa, Margarita era la candidata ideale: era tenera ed ingenua al punto giusto e, della vita, non doveva aver mai visto niente di più della propria casa e di quella maledetta tintoria, carina, tutto sommato, silenziosa ma l’aveva notato quel rossore che le aveva illuminato le guance, quando lo sconosciuto belloccio aveva fatto trillare il campanello dell’ingresso. Margarita doveva avere dei sogni, questo era certo e quei sogni avrebbero anche potuto perderla. Era un gioco da ragazzi per una come lei, un demone che, nei secoli, aveva visto un’eternità di sangue e stragi e furore, sarebbe stata una passeggiata e, probabilmente, l’avrebbe fatta avanzare di qualche punto, prima della resa dei conti. Bastava uscire, tanto più che il padrone aveva appena intimato a lei e ad Almeida di sparire per quel giorno, pedinare l’uomo, rubargli il portafoglio, carpire qualche informazione e convincere Margarita a presentarsi ad un incontro combinato, per restituire all’uomo il maltolto e il gioco era fatto. Forse Lucìa non riusciva a capire gli esseri umani ma il desiderio, quello, lo aveva sempre percepito e quelle donne non facevano alcuna differenza: bramavano altre vite, sognavano avventure e lei le avrebbe accontentate. Perché il demonio era così, accontentava sempre, solo che chiedeva qualcosa in cambio, erano le regole. La fedeltà di Margarita, il suo infelice talamo, in cambio di una storia d’amore e sesso che avrebbe potuto perdere entrambi, perché no?

Lucìa non sprecò il tempo a sciogliersi il fazzoletto dal capo, né a cambiarsi l’uniforme da lavoro, tanto più che non aveva molti altri abiti, non c’erano stati né il tempo né i denari per acquistarli e scivolò, silenziosa, fuori dal negozio, sul retro.

La caccia stava per cominciare.

Fiutò l’aria, cercando di orientarsi, facendo qualche ipotesi e saggiando il terreno; puntò lo sguardo a destra ed a sinistra finchè non lo riconobbe, quell’uomo che sarebbe stato il suo viatico per l’inferno: camminava a passo svelto, fendendo la folla, diretto da qualche parte a Est, verso il quartiere di San Nicolàs, a testa bassa, in maniche di camicia. Era facile tenerlo d’occhio anche a distanza: una macchia bianca in mezzo alla moltitudine di colori che caratterizzava Buens Aires e i suoi abitanti e più passava il tempo e la luce cedeva il passo alle tenebre della sera, più quel candore, nella mente di Lucìa, si trasformava per tingersi del rosso di un enorme bersaglio rotondo che lei non avrebbe potuto mancare.

Di anime nere, in questo mese di dannazione terrestre, ne aveva conosciute a bizzeffe ma che se ne poteva fare? Era impossibile tenerle d’occhio tutte quante senza avere un’indicazione temporale, anche solo un minuscolo indizio su quello che sarebbe potuto essere il loro destino: aveva incrociato sfruttatori e papponi, ladri e spacciatori, prostitute, aguzzini, killer seriali, ogni genere di immondizia che cresceva e brulicava, fuori controllo, sotto i ponti della città e nelle oltre cento stazioni della metropolitana, el subte come la chiamavano affettuosamente gli argentini, ma non era ancora riuscita farsi un quadro completo. Non aveva idea di quanto tempo dovesse durare quella sua speciale punizione e se fosse sufficiente mietere un’anima nel momento esatto della propria morte, farla cadere dall’equilibrio di un’esistenza tutto sommato retta al baratro di un peccato da cui non sarebbe stato possibile recedere; magari ne servivano due, oppure tre o forse di più. Forse avrebbe dovuto restare sulla terra per anni, a convincere, bisbigliando, a portare quelle ignobili creature al male, del resto, la vastità, l’enormità di ciò che era capitato, la conversione di un demone ad opera di un’umana, era talmente inconcepibile che, sospettava Lucìa, forse, qualsiasi cosa avesse tentato di fare lei, per riparare, non sarebbe comunque mai bastata.

Mierda! – Esclamò sottovoce: persa nei propri pensieri, stava quasi per lasciarsi sfuggire quell’uomo che, nel frattempo, inconsapevole del suo travaglio interiore aveva cambiato strada, svoltando a sinistra all’incrocio con la avenida Madeira e procedendo spedito verso la propria ignota destinazione.

Lucìa si riscosse e si concentrò: non sapeva spiegarsi il perché ma ormai, raggiungere quell’uomo e derubarlo era diventata una piccola ossessione, una cosa necessaria; in qualche maniera le sembrava di capire che quell’essere mortale potesse essere la chiave di qualcosa, che da lui potesse, in qualche maniera, dipendere il successo della sua missione, qualunque essa fosse. Adesso, guadagnando terreno a piccoli balzi, riuscì a portarlo tutto dentro il proprio campo visivo: schiena muscolosa, gambe agili, braccia ben tornite sotto la camicia bianca, colletto aperto senza cravatta, capelli più chiari di quello che le era sembrato al negozio, quando il neon impietoso e lampeggiante dell’ingresso lo aveva illuminato solo parzialmente e un portafoglio di pelle marrone che sporgeva leggermente, dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni.

-Il solito pollo…- Commentò Lucìa, quasi affiancandolo. Un bel pollo, non c’era nulla da dire a riguardo, con un orologio al polso, un pollo ricco, sicuramente più ricco di lei e di tutte quelle che lavoravano con lei alla tintoria ma anche un pollo idiota visto che, con tutto quel popò di bellezza e portafoglio addosso aveva deciso di virare, andando un po’ a casaccio, dirigendosi verso il porto, infilandosi in strade secondarie e non turistiche, dalle quali sarebbe potuto uscire completamente spennato.

La cosa cominciava a farsi davvero interessante…

Ad un certo punto, il pollo in camicia bianca si ritrovò attorniato da un gruppo di turisti giapponesi, evidentemente persi, che rumoreggiavano tentando di capire quale fosse la direzione da prendere per raggiungere il Teatro Colòn e Lucìa comprese che quella era la sua occasione: nella calca del momento, si avvicinò all’uomo tanto da andargli quasi a sbattere contro ed approfittò delle altre braccia tese, come le ali di decine di oche starnazzanti, per aggiungere anche la propria a quel folto gruppetto, infilando, con destrezza, la mano dentro la tasca posteriore dei suoi calzoni, nel tentativo di sfilargli il portafoglio sicuramente gonfio di soldi.

Fu un attimo.

Si sentì il polso serrare in una morsa dolorosa ed implacabile. Abbassò e rialzò il capo, mentre quella stretta proseguiva, imprigionandole le ossa e facendogliele scricchiolare, costringendola a voltarsi ruotando su se stessa, per finirgli malauguratamente di fronte e quella cosa successe.

Prima che lei se ne potesse rendere conto. Prima che il suo occhio trasmettesse la figura di quell’essere umano su, al suo cervello.

Una scarica elettrica. Potente, Inaspettata. Travolgente.

La mano dell’uomo si spalancò di colpo e lei cadde a terra, battendo malamente il fondoschiena sul selciato duro e viscido.

Madre de dios! – Esclamarono all’unisono.

2022-10-23

Evento

Evento digitale Ciao readers! Come promesso ecco l'aggiornamento misterioso... Lunedì 24 inizierà un contest che vi permetterà di vincere un buono amazon da 25 euro a settimana! Partecipare è facilissimo: basta acquistare una copia del mio nuovo romanzo "Il Segreto dell'Angelo" da questo link inviarmi un direct o un messaggio con il nome e cognome della persona che ha acquistato, attendere il messaggio di conferma, creare e postare una foto o clipArt, su istagram e/o facebook che, a vostro parere, potrebbe diventare la copertina del romanzo stesso, taggare me e la campagna e fare passa parola! Ogni domenica a partire da domenica 30 novembre e fino alla fine della campagna, la foto che avrà ricevuto più likes tra facebook e istagram risulterà la vincitrice del buono! A breve pubblicherò sui miei canali social il regolamento per intero... Nel frattempo lustrate i vostri obiettivi e preparatevi a vincere! Naturalmente anche chi ha già preordinato le copie può partecipare, postando la propria foto e taggando me e la campagna a partire da lunedì 24. Una foto per una settimana! Più copie acquistate più foto avrete la possibilità di postare! Il contest è valido sia per acquisti del libro in versione cartacea che in ebook! Fatevi sentire! Aspetto le vostre immagini! E passate sempre parola! Annap
2022-10-18

Aggiornamento

Buongiorno amici lettori! La mia campagna ormai è entrata nel vivo... 89 giorni all'obiettivo.... Già quasi 50 copie sono state preordinate ma 150 sono ancora in attesa. Vi volevo ringraziare per l'affetto e l'amicizia che mi avete dimostrato in questi primi 11 giorni di campagna. La stima che sento, nei miei confronti, mi fa sperare che il mio sogno si possa avverare! Ebbene sì, c'è la posso fare! Ovviamente con il vostro aiuto... Perché non è finita qui! Condividete il link della campagna e passate parola ai vostri amici readers: più persone verranno a sapere della campagna più probabilità ci sarà di raggiungere insieme il goal. A breve vi informerò di un'iniziativa, legata alla campagna, che vorrei organizzare e alla quale avrò il piacere di invitare ognuno di voi quindi... Restate sintonizzati su di me e sui nostri Angeli! Buon martedì a tutti! Annap

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Annapaola Prestia
Sono nata a Gorizia 42 anni fa ma il mio amore per la scrittura ha radici molto lontane: ho scritto il mio primo racconto a 6 anni e ho proseguito, scrivendo, in classe, romanzi su pirati e donzelle, per tenere compagnia alle amiche. Nella vita sono una psicologa ma anche la fondatrice di una StartUp innovativa che si occupa di anziani, la moglie di Michele e la mamma di Riccardo e Stella. Ma sono, nel cuore, una scrittrice. Sino a oggi ho pubblicato alcuni articoli scientifici e manuali, per lavoro, oltre a parecchie novelle e due romanzi a puntate per le riviste italiane Intimità e Love Story. Poi sono arrivati i romanzi e i premi letterari… “Caro Agli Dei…”, Albatros Edizioni, “Stelle in Silenzio” , Europa Edizioni, “Ewas”, Abel Books e “Il Segno dell’Angelo”, Armando Curcio Editore, primo romanzo della “Trilogia degli Angeli” di cui “Il Segreto dell’Angelo” è il secondo volume.
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