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Il serpente arrotolato – Marionettista ovvero il libro infinito

Il serpente arrotolato - Marionettista ovvero il libro infinito

La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Marzo 2024
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Cos’è la mente umana e quanto può essere facile manovrarla? Quali relazioni comporta il cambiamento in cui può precipitare quando i lumi del benessere si spengono e i campi vergini dell’Io si dispiegano? Quale tragedia della vita scavalca le vette della coscienza e sconfina oltre di essa e quale evento può seguitare le azioni di una donna che collassa nella follia di una condizione distorta dal Fato?
Non troviamo risposte a queste domande, scivoliamo in un pozzo profondo e sentiamo rimbombare il nostro nome nel tic che riecheggia goccia dopo goccia; i marosi della distruzione ci travolgono, i rami di una selva oscura si infittiscono e modellano un tetto impossibile da scoperchiare, e quando ci svegliamo al suono melodico della morte, capiamo che la nostra vita non è nostra; il nostro mondo è quello che creiamo, non quello in cui viviamo.

Perché ho scritto questo libro?

C’è stato un momento in cui ho sentito il bisogno di dire qualcosa e dare forma alla mia immaginazione. Le mie storie rappresentano ciò che mi spinge a seguire questa strada: esprimere il pensiero attraverso le parole e le idee. Il Marionettista è un libro che mi ha accompagnato per dieci lunghi anni, per questo posso dire senza smentita che sia cresciuto e cambiato con me. Da qui ho iniziato a cucire trama e ordito che lega i personaggi degli altri manoscritti del ciclo del Serpente Arrotolato.

ANTEPRIMA NON EDITATA

[…] E poi c’era Ferdi, il piccolo di casa Giuliani. Un ragazzo minuto di undici anni, dai capelli di bronzo e gli occhi colmi di fiducia, che trascorreva tutto il tempo a giocare con la sorellona malgrado non ci fosse una cernita variegata di passatempi che potevano escogitare in quel luogo.

Ma quel giorno non importava perché la terra aveva cominciato a tremare come se fosse sconquassata dalla marcia di migliaia di colossi, e tutti uscirono dalle case, si accasciarono sul terriccio in posizione prona e attesero con le mani al riparo della testa.

Dopo alcuni minuti il mondo tornava in stato di quiete. Gli scampati si alzarono, si guardarono con mutua apprensione e poi cacciarono un sospiro di sollievo. Il peggio era passato. O questo era ciò che credevano.

Da lontano pervenne un sibilo che evolse in un riscontro foriero di sciagure e gli abitanti all’unisono voltarono il capo nella sua direzione per assistere a uno spettacolo unico: una gragnola di meteoriti occupò la porzione di etere visibile oltre le nubi. Era una raffica che durò pochi secondi e alcuni transitarono così vicini da risultare grandi come montagne. Poi accaddero due cose: fasci di luce eburnei inflazionarono in bande e pieghe come tappeti volanti e tortili di una scala a chiocciola, anche se molti l’avrebbero descritti con smalti difformi – potevano essere verdi, rosse, arancioni e trascinavano la medesima coda –  spessi come decine di treni affiancati ma percepibili il momento di un battito di mani; poi cabrarono ed esplosero formando un cerchio infilato da una striscia simile a una freccia che imbrocca il bersaglio. Ci fu un colpo ma nessun suono prima dell’impatto, solo un fischio seguito da una detonazione; infatti dopo qualche secondo arrivò l’onda d’urto: i vetri delle case implosero, alcune vennero schiacciate, altre divelte e scaraventate ai confini della regione. Per centinaia di metri si estese una conca che aveva la sagoma di un palmo.

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La voce del tornado si abbatté sulla cittadina di Oltre come un rombo di tuono e senza preavviso ululava a un sole moribondo e alle nuvole di malva che continuavano a infittirsi. Gli edifici più diroccati girarono su loro stessi e andarono in mille pezzi. La pressione suscitò le altre abitazioni che ascesero sulla sommità del gorgo e vennero catapultate lontano; altre riuscirono a reggere nelle fondamenta ma furono devastate ai piani superiori.

E poi, ancora una volta come se una forza surreale avesse evocato il bel tempo, il cosmo iniziava a placarsi. La volta perse le sfumature policromatiche e passò dal rosso sangue al pomodoro, per poi dissolversi sull’albicocca e fermarsi infine sul rosa pallido. Il sole tornò a galleggiare attorno a un bagno di scintille e raggi molli come miele diluito nel latte, l’aria si fece più calma e la tensione scemava. Le nuvole si raccolsero come foglie in un prato: erano basse, ferrigne, turgide e increspate. Si erano ammucchiate e accartocciate in un grappolo occupando solo il diametro della città di Oltre; il cielo sopra di essa appariva come un cervello, ma restava scoperto mirando al di là della corteccia. Era possibile intravedere le cellule che si illuminavano e perfino un funicolo spiralato che prolungava come midollo spinale verso il coccige della Terra. I superstiti uscirono inibiti e impacciati sollevandosi dai ruderi, ma quando il velo sfilò dagli occhi scorsero un uomo all’orizzonte avvicinarsi al traino di insolite creature…

[…]

Si accesero dei lumi sull’architrave alle spalle dell’uomo adesso più esplicito. Indossava dei sandali di paglia e un paludamento di seta con ampie maniche su cui tintinnavano sonagli e campanelle. Somigliava a una casacca da giullare con colletto arricciato e una zimarra nera che intabarrava un camicione, esente da toni appariscenti, ma frazionato in bande orizzontali nere e canute; portava dei baffi arrotondati in spirali e un pizzetto che incurvava verso un naso che poteva spostare con la lingua; aveva delle ammaccature contigue alle meningi, capelli villosi e crespi come una macchia di inchiostro e bianchi alla radice.

Non si mosse per cinque minuti esatti. Dalla pietra ambrata partì un raggio cilindrico di fuoco bianco che vaporizzò un contingente di 50 uomini. Non rimase nulla, fu come se fossero dissolti o non fossero mai esistiti. Eppure nessuno, fra gli scampati, si accorse dell’accaduto.

La curiosità aveva raggiunto livelli di ebollizione e altercava con lo sgomento indotto dai pupazzi accovacciati ovunque, in posizione fetale, reliquie di legno naufragate nella paranoia di chissà quale iniquità artistica: occhi scintillanti, capelli fluenti, labbra inarcate in perenni sorrisi; corpi da infanti, abiti vistosi e puntini di barba sull’epidermide dei modelli più grandi.

Alle spalle del vecchio, pressappoco al centro della cabina, si ergeva una porta chiusa con un manico in ottone a cui si accedeva tramite una palanca e tre scalini. Il pannello era liscio, tinto di azzurro e splendeva nel meriggio come se fosse cosparso di cera. Priva di muri che la reggessero, era attraversata da cortine perlate che gonfiavano sul vertice e scendevano soavi a coprirne i montanti. Avevano una consistenza analoga a pelle umana, ma sottile come la membrana testacea di un uovo.

Provenivano delle voci da quella porta, ma erano distanti e omologhi a echi o lamenti. Per un eccentrico gioco di luci, l’anta era molle come una bandiera e più tangibile era l’idea che dall’altro lato ci fosse qualcuno, forse altri replicanti con il dono della parola.

A un certo punto l’uomo aprì gli occhi che sfolgorarono come fanali in galleria. Uno era piccolo e d’ebano, l’altro era grande il doppio e marmoreo; insieme davano l’intuizione di essere osservati da due individui distinti. Nei suoi modi c’era una gravità ma al contempo parsimonia ed eleganza e una calma così profonda che confortava e metteva a proprio agio.

Quando aveva iniziato a parlare, tutti tacquero e piantarono i piedi come tuberi. […]

Dal quarto livello si riusciva a passare al vaglio l’intero Abisso. Shirley scorse il Pozzo che dall’apice infilava i gironi e cadeva in linea verticale per tutto il Precipizio. Le regioni erano sì anelli, ma avevano subito una torsione che le aveva rese eliche discendenti, collegate per mezzo di una propaggine che declinava alle spalle del Condotto come un tornante montano. Ogni spira aumentava di ampiezza in termini di superficie, e la quarta rilevava un’estensione doppia in confronto alla prima e donava alla struttura una foggia elicoidale e conica, rastremata verso l’alto. Sparse ovunque vi erano piattaforme semoventi o altre connesse a guide, binari e stantuffi che permettevano ai tiranni del Borro di ramingare comodamente.

Le mura che circuivano quel luogo erano di ghiaccio e dall’aspetto nebuloso, plasmate come il bulbo di una clessidra spezzata e davano un’ulteriore parvenza di luce. Avevano spessore e densità incalcolabili dato che spingevano la vista oltre i limiti della demarcazione percepibile.

Il tappo che chiudeva la Voragine era una base che espandeva su un’area infinita. Il soffitto a volta profilava come un velo pendulo, una formazione muscolo-membranosa che prolungava dorsalmente assieme alle altre pareti di un palato molle.

E poi, come se una stregoneria l’avesse tenuto nascosto, comparve il serpente cosmico che si arrotolava intorno al Pozzo come un’elica di DNA. Era un creatura monumentale, così immensa che cercare di riportarne le dimensioni sarebbe illogico. Posso dire che tutti gli esseri che ti ho riportato sarebbero potuti salire sulla schiena e occuparne comunque una minima parte. Qui pascolavano giganti colossali e proliferavano alberi e altra flora e fauna; a dire il vero sembrava che ognuno dei titani crescesse da un fiore appena sorto.

Per fortuna sembrava sopito, era figurato di tante squame quante sono le stelle nel firmamento e il ventre era coperto di sangue incrostato. Data la solennità era realistico che avesse deciso di palesarsi a sua discrezione solo in questo momento, ovvero che l’Essere superno che lo controllava l’avesse mantenuto invisibile per l’occorrenza. L’unico modo per scappare da quel posto era risalendo per il Condotto; ma l’adito era sbarrato dalla testa del serpente e nessuno sapeva dove si sarebbe approdati una volta fuori, né avrebbero rischiato di svegliarlo. Del suo corpo non si riconosceva una fine perché dove doveva esserci la coda spuntava una seconda testa che finiva nell’ultimo accesso: il Vuoto sulfureo. Mentre i quattro recinti erano comunicanti e, come già detto, gli abitanti si potevano spostare secondo le contingenze, il Vuoto era una camera a tenuta stagna.

Nessuno tra gli astanti, compresa Shirley, notava che sia il Pozzo centrale che la ruota e le eliche mulinavano lentamente (si trattava di un moto così graduale che era quasi impossibile da percepire); né sapevano se fosse la rotazione del Perno a innescare quella della corona e delle spire o viceversa, o si muovessero in maniera indipendente ovvero sincrona, né chi avesse iniziato a muoversi per primo. E per il momento non è importante scoprirlo. […]

“Bill, lascialo stare… quello è fuori di testa, non vedi? È più matto del mio cavallo!” disse Jesse spalleggiandolo mentre il corsiero scalciava e nitriva.

“Oh Jesse, anche tu qui?” disse il Marionettista; la calca continuava a sopire, a silenziare nel rombante mutismo, sguardi rivolti verso quella porta che non voleva sapere di riaprirsi.

“Ma perché non parla più nessuno? Cosa è successo?” e così dicendo accadeva che altre coppie di uomini e donne cascavano al suolo come soldati giocattolo.

“Bill, Bill, sali sul palco e darai una risposta alle tue domande” la sua faccia divenne scarnita come quella di un bue in stato di putrefazione, e mentre favellava ritraeva le labbra rendendole affusolate per scoperchiare la sequela dei suoi denti di cui non si vedeva la fine.

“Non vengo da nessuna parte!” disse, ignorando la mano che Jesse gli aveva poggiato sul braccio. Fu l’ultima volta che avrebbe provato la sensazione di un contatto sulla pelle. E fu l’ultima volta che ebbe modo di sentirlo vicino.

“Hai un bel caratterino”

Lo guardò e Billy ebbe l’impressione di essere osservato tramite due lanterne con lumi accesi nel corpo vitreo. Nel suo stomaco devono bruciare le fiamme di due fuochi, pensò, e i suoi occhi, se di occhi si trattasse, sfavillavano di quelle luci che si rivolgevano all’universo come camere chiuse di un focolare.

I cavalli della cricca arretrarono, quelli del Marionettista sibilarono ancora una volta e i parassiti alieni si mossero e riaprirono le palpebre. Garrivano, fremevano, concitavano e spingevano febbrilmente e nella dilatazione che rendeva la cute perspicua si intravide perfino un sorriso. Billy iniziò a rabbrividire e trapelare e presto ebbe la percezione di secernere colla. Scrutò i denti intrecciati, quelle pupille intersecate e provò un’emozione che non aveva mai provato: terrore.

“Sei sicuro di non voler provare, Bill?” disse il Marionettista spostandosi di lato per scoprire la porta.

“Cos’è?”

“L’ingresso del tuo mondo, Bill” lui ridacchiava sempre.

“È questo il mio mondo!” disse Bill, provando a muovere le mani.

“Il tuo mondo è dentro di te. È nella tua testa, Bill”

“Smettila di chiamarmi Bill!”

“Non è questo il tuo nome?”

Un falco lacerò il silenzio della volta. La compagnia cercò di alzare il capo ma i loro occhi inchiodavano la porta.

“Sì, ma-ma sm-smettila”

“Che ti prende, Bill? Perché stai sudando?” i suoi bulbi rifulsero come la gola di un drago.

“Perché fa mo-molto ca-caldo”

“No, Bill, non è così” disse il Marionettista, scosse il capo e arrotolò il baffo con un dito.

Billy visionò quelle mani, contrasse il labbro e il suo volto saltò parecchi stadi dal disgusto all’orrore.

“Avanti, vieni qui, sali. Su, vieni Bill… vieni” disse il Marionettista e il piglio del suo volto era rinnovato: solchi sulle guance e occhi cadenti che smagliavano di luce nevata. Del vapore usciva mentre sproloquiava e fumi neri dal naso avevano tessuto un bozzolo intorno al corpo.

“Sì, Bill, sali sul palco” disse la marionetta. Aveva ancora il capo chino e la bocca chiusa.

“Ehi, Maria, ti sei svegliata!”

La copia grottesca di un essere umano aveva riaperto gli occhi e spiccato le lenze che la trattenevano al carro.

“Sì, mio Signore. Mi sei mancato” e girando il collo emise un trillo raschiante e simile a una risata elettronica. Il Marionettista la avvicinò e le disse qualcosa sottovoce. La faccia e il sogghigno del burattino passarono prima sul malvivente e poi di nuovo al Marionettista. La bocca si spalancò in un ventaglio e questa volta il suono che scaturì era raccapricciante: un borbottio simile a ossa che strusciano e denti che vorticano in un frullatore. Gli altri fantocci presero vita e issarono per mezzo di fili invisibili. C’erano donne, uomini, bambini, vecchi e neonati, tutti aleggianti attorno al loro sovrano nel promiscuo abitacolo del carro. Billy si vide impallidire e trepidare quando tutte le marionette si arrestarono e puntarono i loro sguardi senz’anima al suo indirizzo.

“Vieni, Bill, vieni” incitavano con timbri compositi; strascicanti, esanimi; versi fatui di corpi senza ingegno. Tutti ingabbiati in quegli anni strappati via e ibernati in contenitori di legno. Si muovevano come se nuotassero in una corrente ascensionale ed emettevano un brano acquoso. Poi volteggiarono e rimasero a galleggiare a testa in giù. Il cervello restò lì, irremovibile, ma si estese oltre il diametro della città. Ingrandiva a dismisura e si gonfiava come schiuma da barba sulla guancia del firmamento.

“Avanti, Bill, varca quella porta. Varca la porta. Vola con noi. Varca quella porta. Vieni con noi Bill… varca la porta” continuavano a dire, e veleggiandogli intorno come spettri rilasciavano quel rumore umido, mantenevano il corpo al rovescio e roteavano il capo come una banderuola. Allungavano le dita e raspavano il collo zufolando all’orecchio uno alla volta: varca la porta, quando Bill, succube dei sensi e non più padrone del suo corpo, mosse i passi in direzione della ribalta, facendosi largo fra tutti quegli spettatori irrigiditi nel loro stato di infinita contemplazione, e salì. Il Marionettista sorrise avviluppato dalla schiera dei suoi accoliti, strinse la morsa sulla maniglia, tirò il pannello che si aprì in un guaito e i drappeggi si slacciarono e velarono l’ingresso. Questa volta, però, erano diventati come paramenti liturgici durante l’avvento ma mantenevano lo stesso moto ondivago nonostante l’immobilità dell’aria. Quando le aveva sfiorate, Billy non aveva percepito alcuna sensazione al tatto come se stesse oltrepassando una nebbiolina lucente sfumata da una brezza. Si mosse ad agio e sentì delle voci analoghi a canti di sirene – voci di donna avrebbe detto. Poi si voltò verso il Marionettista che annuiva con aria rassicurante, quindi valicò la soglia e scomparve.

2023-06-05

Aggiornamento

Buongiorno a tutti, mi presento: io sono Luca, ho 30 anni e vivo a Reggio Calabria. Sto scrivendo questo articolo perché voglio condividere la mia esperienza e il percorso che mi ha portato qui, oggi, a presentare il mio manoscritto “Marionettista ovvero il Libro Infinito” adesso in crowdfunding su bookabook.

Parto col dire a tutti voi una sola parola: Grazie!

Ci tenevo a ringraziarvi per il sostegno perché avete deciso di dedicarmi qualche minuto del vostro tempo e per questo ve ne sono grato.

Si dice che per realizzare un grande progetto siano necessarie almeno 10000 ore di lavoro assiduo. Io non so quantificare il numero di ore spese per costruire questo libro, ma posso usare altre unità di tempo. Il Marionettista nasce da un’intuizione avuta tanti anni fa, era il 2013. Pensate, sono trascorsi dieci anni! Dieci anni: un terzo della mia vita. Avevo sviluppato l’high concept e poi l’avevo messo da parte perché stavo lavorando ad altri elaborati, però posso affermare che da quel momento questa idea ha continuato a fare a spallate con gli altri testi. È evoluta e man mano che scrivevo ho creato dei collegamenti che legano i personaggi del primo ciclo che ho denominato Il Serpente Arrotolato, il quale  conterà 5 manoscritti, il secondo, invece, ne avrà 7 suddivisi sempre in cinque volumi, ma avrà un nome differente. Questo è il primo libro su cui ho messo mano, un anno prima dell’inizio del Marionettista. In questo caso la genesi è stata improvvisa, direi istintiva. Ricordo ancora che una sera avevo aperto un vecchio pc, avevo preso posto sul tavolo del salone e avevo iniziato a scrivere.

– Che stai facendo?, mi aveva detto uno dei miei fratelli, Enzo, il più grande.

– Scrivo un libro, gli risposi.

– Tu? Tu stai scrivendo un libro?, e calcò deciso sul tu.

–Eh.

– Bah, in bocca al lupo, disse scettico, spense la sigaretta che stava fumando e ritornò nella sua stanza. Pensavo che sarebbe stata una passione effimera (in quegli anni stavo ancora cercando la mia identità,  stavo provando la qualunque, ma dopo qualche giorno l’adrenalina della novità si spegneva come un fiammifero. Volevo capire cosa fossi e cosa volessi fare nella mia vita; dove volevo arrivare, chi volevo essere. Insomma, cosa mi piaceva e cosa mi rendeva felice). Ero iscritto a un corso di laurea triennale in Scienze Economiche, che poi ho continuato fino alla Magistrale conseguita fra l’altro a pieni voti, ma questa passione per la scrittura non si è mai spenta, anzi si è alimentata e giorno dopo giorno è diventata un incendio. Non è stato semplice accostare gli studi accademici a quelli letterari, ma ce l’ho fatta. Ho studiato decine di libri che insegnano l’arte della scrittura, come sviluppare un dialogo, come incastrare le sottotrame, creare un personaggio e la sua caratterizzazione, come scrivere un incipit di impatto, i colpi di scena, i flashback, il ritmo, il mondo sensoriale, come gestire suspense e tensione, insomma tutto ciò che concerne una buona prosa, a questo ho affiancato e dato sfogo alla mia immaginazione e alla fine ho raggiunto il mio obiettivo. Questi manuali sono stati d’aiuto, certo, ma una cosa, anzi due, sono state imprescindibili per migliorare. Sapete cosa? Leggere e scrivere. E poi di nuovo scrivere e leggere. Leggere e scrivere e ancora e ancora e ancora. Quindi, ho iniziato a scovare i libri che si avvicinavano al genere che avevo scelto (fantasy) e mattone dopo mattone ho costruito la mia fortezza di carta. Non avevo ancora una libreria e adagiavo i manuali in una struttura che accoglieva uno stereo degli anni novanta. L’altro mio fratello, Dario, era affascinato da questi propositi e un giorno lasciò su questo – chiamiamolo mobile perché non saprei dargli una definizione più puntuale –  alcuni libri di mia mamma (lei era una lettrice assidua), tra cui Robinson Crusoe (lo sto guardando in questo momento. È un’edizione vecchia, datata 1993, nella quarta di copertina si vede ancora il prezzo ovviamente in lire: 18000).  Dario è stata la persona che maggiormente mi ha guidato e spronato quando ero piccolo e non volevo studiare (il che spiega il tu diffidente di Enzo). È stato colui che con me non si è mai arreso e ha dato tutto se stesso affinché capissi l’importanza della conoscenza. Quando tutti avrebbero lasciato perdere, lui non l’ha fatto e ha continuato a pungolarmi. Sul finire delle scuole superiori gli avevo detto che non volevo iscrivermi all’università e lui ovviamente mi aveva rimproverato e persuaso a cambiare idea. Non sapete quanto ancora oggi sia grato per questo, di quel giorno e di come la mia vita sia cambiata. Sapere è potere.

Dicevo, apro questo pc e inizio a scrivere spinto da un impulso e ispirato dalla storia di un videogame che mi intratteneva da bambino (e poi dicono che i videogiochi non insegnino nulla). Dapprima la trama era scarna, il protagonista non aveva spessore e il fine non aveva senso, ma poi con il passare dei giorni, dei mesi e degli anni ho notato che ampliava come una mongolfiera. Pensate che nella prima stesura avrei dovuto terminarlo in un solo libro, poi è diventato una trilogia, poi cinque volumi, poi mi sono accorto che era ancora troppo lungo e allora ho mantenuto i cinque volumi ma li ho suddivisi in sette libri.

Questa macro storia l’ho sempre riconosciuta come Tra Bene e Male, ma ho pensato a quest’altro titolo: Boreàs e il Grande Re Drago. Che ve ne pare? Ah, una cosa: il Grande Re Drago è il Marionettista, infatti nel racconto si autoproclamerà in questo modo e con tanti altri appellativi, fra cui l’Arcano, l’Occulto, il Re d’Ombra, etc. Boreàs (nella prima versione si chiamava Bèsar), invece, imparerete a conoscerlo un po’ alla volta, lo sentirete nominare parecchio nel primo ciclo, a spizzichi e bocconi riceverete qualche dettaglio relativo al suo personaggio che ovviamente sarà approfondito nel secondo ciclo essendone il protagonista. Tra Bene e Male ha quindi sette sottotitoli: Creazione, Evoluzione, Corruzione, Possessione, Perdizione, Redenzione, Ascensione.

Perché Il Serpente Arrotolato? È una figura fondamentale che apparirà in tutti i libri, ma avrà manifestazione concreta solo nell’ultimo, Ascensione. Ma è anche un concetto che ho snocciolato a grandi linee nel prosieguo della storia principale del Libro Infinito e dei racconti.

Ma torniamo al Marionettista.

Come dicevo l’idea è nata un decennio fa, ma poi ha subito un cambiamento perpetuo e posso dire che sia cresciuta con me. Sapete quante cose succedono in questo arco di tempo? Quanta ricerca, quante notti insonni, quanta indecisione (quali parole usare? Quali tagliare, dove metterle, in che posizione; quale periodi troncare, cosa aggiungere. Come sviluppare quel personaggio. Deve avere gli occhi azzurri? Ma non sarebbe banale? Ha un vezzo? Cosa lo caratterizza? E i dialoghi?). Vedete? Dietro c’è un lavoro a dir poco maniacale, e ho tralasciato tanti elementi per non tediarvi. Un’idea deve essere coltivata. Mi piace immaginarla come il nocciolo di una pesca da cui si sviluppa la polpa e la buccia. Quel nocciolo non deve essere buttato via, ma deve essere piantato a sua volta affinché nasca un altro albero di idee.

Dovete sapere che questo libro ha già avuto una prima pubblicazione nel 2017 e portava questo nome: Il Marionettista – la tragica storia di Ferdi Giuliani. Ero arrivato troppo presto. Non eravamo abbastanza maturi (sì parlo di me e del mio libro come se fossimo un noi), c’erano evidenti errori nella trama, nei dialoghi, nelle descrizioni. Era acerbo e io non ero pronto, avevo bruciato le tappe, ma questa volta no. Negli anni seguenti il mio impegno è stato certosino. Ho approfondito, ho continuato a studiare, ho seguito corsi, l’ho migliorato nella storia generale e nei dettagli ho usato il cesello.

La trama orizzontale è molto semplice: 5 ragazzi si incontrano nella piazza del loro rione per raccontare alcune storie, ognuna delle quali ha, ovviamente, una sottotrama che riporterò a breve. È semplice, dicevo, ma non è come sembra e il finale sarà un pugno nello stomaco e darà un significato al secondo titolo: Il Libro infinito. Vorrei anticipare qualcosa ma non posso. Il Marionettista è un viaggio da fare insieme. È un’avventura. È un luogo da scoprire, è il tragitto che ci lega. Tutte le decisioni che ho preso nella mia vita mi hanno portato qui, adesso, a scrivere queste parole, così come le decisioni che avete preso voi vi hanno portato a leggerle.

Un libro così lungo e complesso non si scrive da solo e prima di realizzarlo c’è molto studio dietro. Non starò a dirvi quante volte ho riletto il Marionettista e quante volte promettevo che quella sarebbe stata l’ultima. E invece no, riprendevo da capo perché non ero soddisfatto, ero indeciso e ho continuato a lavorarci su a tutte le ore. Mi svegliavo nel cuore della notte perché balenavano altri spunti. Allora acciuffavo il telefono e li riportavo rapidamente nelle note prima che il sonno e la confusione del risveglio improvviso li trascinassero via. Tenevo un occhio chiuso mentre digitavo e infatti al mattino seguente dovevo interpretare quello che avevo scritto. Voglio rendervi partecipi sul numero di note, legate ai miei libri, che sono presenti nel mio cellulare in questo momento: 77888. Esattamente. Avete letto bene, 77888. Senza considerare le altre decine di migliaia che ho già riportato e che sono servite per la realizzazione del Marionettista, e le agende, i quaderni, i taccuini scritti fino all’ultima pagina con tanto di disegni (osceni) che stazionano in alcuni cassetti in attesa di essere ripresi. A un certo punto, a causa di tutto questo, il nostro è diventato un rapporto di amore e odio.

Quanti libri ho letto per essere qui? Beh, migliaia e quel mobile non riusciva più a contenerli, quindi ho dovuto rimediare. Mi ripeto, ma credo che sia necessario sottolinearlo: non sono state solo letture passeggere, ma li ho studiati, analizzati, più volte. Ho compreso il pensiero dei vari autori, chi più, chi meno, mostri sacri della letteratura che chiamo maestri perché indirettamente mi hanno insegnato molto. Tra questi non posso che annoverare Poe, in primis, Lovecraft, Lansdale, Tolkien, Matheson, Ligotti, Rowling, Blatty, Dickens, Calvino, Pirandello, D’Annunzio, Shirley Jackson. Sono solo alcuni. Ma il libro che mi ha fatto avvicinare all’horror è stato Misery, del re (di nome e di fatto) dell’horror moderno: Stephen King. Credo che Misery sia la sua opera migliore. Eppure, sapete qual è il mio libro preferito in assoluto? Frankenstein. Vi prego, leggete Frankenstein! Solo un’informazione: Mary Shelley quando lo scrisse aveva 18 anni. Ripeto: 18. Così, per dire. Aveva 18 anni e ha scritto un libro di cui ancora oggi ne stiamo parlando dopo oltre due secoli. Incredibile, vero?

L’ultima che ho nominato è Shirley Jackson, ultima ma non per importanza. Lei è stata una scrittrice straordinaria, la sua influenza è stata così travolgente che uno dei personaggi più importanti del mio libro ha il suo nome, e per la marionetta che guida il carro del suo padrone, ho tratto ispirazione dal racconto “Il burattino”. Lei ci ha lasciati l’8 agosto. In questo giorno io e la mia ragazza, Desirée, ci fidanziamo. Desirée è nata il 7 ottobre. Vi invito a cercare qualcosa su questa data. È sempre legata a uno scrittore, uno che è nominato poc’anzi. Ah, un’ultima cosa: se non fossi stato un maschietto, sapete che nome aveva scelto mio padre? Credo che sia superfluo dirvelo. Il libro si trova in crowdfunding su bookabook, come dicevo, e in soli tre giorni abbiamo raggiunto il 30% dell’obiettivo di duecento copie preordinate. Non avrei ottenuto questo risultato se non fosse stato per lei e per la sua famiglia. Non finirò mai di ringraziarla e di ringraziarli. Tutto questo è per lei che mi ha sostenuto con pertinacia, ha sempre creduto in me e ha combattuto per me. Spero che tutti voi abbiate una persona così nella vostra vita, perché se avete una persona così al vostro fianco sarete felici e non fallirete mai qualunque cosa decidiate di fare.

Detto questo, vi riporto qui sotto una parte dettagliata della sinossi.

I protagonisti del romanzo sono 5 ragazzi: Francesco, Evandro, Riccardo, Dario e Ignazio. Francesco, fisicamente nerboruto nonostante la giovane età, è un ragazzo goffo e timido, fedele ai suoi amici e con una memoria ferrea; Evandro è un ragazzo ignorante ma con un carattere forte e coraggioso, pronto a difendere i suoi compagni da due balordi, gli Scarti, che stavano sradicando a calci la staccionata della villetta. Porta con sé due racconti, La stanza, la vicenda di un uomo incatenato nel buio di una topaia che nella consapevolezza della sua situazione comprende quale sarà l’epilogo della sua esistenza e riuscirà a farsene una ragione; e Il Marionettista: storia principale da cui il libro prende il nome; Riccardo e Dario sono due fratelli nati a distanza di un anno ma così simili da sembrare gemelli. A differenza di Evandro sono eleganti nel vestiario e nel portamento e ostentano una loquela ricercata nonché un vezzo che l’amico non sopporta. A causa di queste differenze si ritroveranno a battibeccare per tutto il tempo, ciò nonostante Evandro prova una grande ammirazione nei loro confronti, soprattutto quando affondano con le parole i due balordi sopracitati. Evandro non se la cava altrettanto bene e viene malmenato fino all’arrivo di Francesco che li manda via contusi e piagnucolanti. Ignazio è minuto e con un leggero ritardo mentale, ha una scarsa memoria e soffre d’asma. Leggerà le sue storie tramite un albo a cui è legato più del nebulizzatore. Evandro è un ragazzo ribelle e irascibile e per placare la rabbia sfrutta una pallina antistress a forma di cervello e si ritroverà a infastidire una donna impazzita che nel rione è nota come la palombara. Lei, tuttavia, pare non curarsi di lui perché impegnata a molestare i pedoni alla ricerca di un figlio che ha perso. Trascorre il tempo a piangere e urlare, ma riesce a calmarsi quando i piccioni la accerchiano e le danno attenzioni. Lei per ringraziarli sparge il pane e comunica con loro in gru! gru! pieni di gioia. 

A seguito di due racconti (l’Albero, un uomo affonda nella melma della sua condizione, braccato da un albero che prende vita e assume le sembianze di un mostro che lo divora e lo relega in un altro mondo;  e Adieu monsieur – narra le vicissitudini di un ragazzo depresso che si ritrova a compiere un viaggio infinito che potrà porre fine in un solo modo), Evandro scova una gatta in fin di vita che piange accanto al suo cucciolo ucciso a calci dagli Scarti. Decide di seppellirlo e portare con sé la mamma. Si spoglia del giubbotto smanicato e lo avvolge come una coperta intorno a lei: la sua faccia è annientata dal dolore, respira a fatica, il petto si contrae come un mantice arrugginito e gli occhi si aprono a stento. Il tempo risulta incerto, inizia a cadere una pioggia fredda e i cinque amici decidono di trovare riparo all’interno di una casetta costruita nell’aiuola centrale della piazza. Dopo aver preso posto decidono di leggere un altro racconto, La foresta di Hoia-gahara: è questa la dimensione in cui viene esiliato il protagonista del secondo racconto, costretto a vagare ramingo nel buio di una selva popolata da spettri, apparizioni demoniache e bambole. Al termine, sentono le urla di una ragazzina che viene molestata da un signore senza una gamba: è una loro amica, Giulia. Accorrono per salvarla dal padre molesto e ubriaco e Francesco, innamorato di lei, cerca di darle conforto dalle lacrime e dalla sofferenza che manifesta. Giulia è una bambina semplice, snella e dai lineamenti delicati (è negli occhi di tutti che da lì a pochi anni avrebbe fatto stragi di cuori). Per renderla partecipe e farle dimenticare quanto accaduto, gli amici raccontano altre due storie: La casa degli orrori, una donna violentata da un demone scopre l’indomani di essere rimasta incinta dell’anticristo, e La danza della morte: che succede alla cittadina di Rottod? Perché i cittadini hanno iniziato a ballare, mordersi e colpirsi con dei bastoni? Chi è la dama che volteggia in mezzo a loro? E che cos’è quella gigantesca massa gelatinosa che si è formata con i resti dei loro corpi ridotti in poltiglia?

Dopo questi, Giulia decide di tornare a casa mentre le condizioni della gatta peggiorano. Evandro è devastato dall’angoscia e dalla consapevolezza di ciò che è costretto a fare, e per non pensarci chiede di leggere un’altra storia. Ignazio gli va incontro e, scartabellando il plico, sceglie un racconto che lo farà sussultare e chiedere aiuto al nebulizzatore, Smiley, il cane albino: un professore di etica amante degli animali trova un cane abbandonato in un parco e decide di portarlo con sé. È una fiera splendida, forte e sagace, grande come un lupo, con un mantello perlaceo, gli occhi vermigli e i denti umani. 

Evandro è distrutto per ciò che ha fatto, quindi chiede ai suoi compagni di alleviarlo con un altro racconto e loro lo accontentano con I bambini dagli occhi porpora: una storia ad incastri di uomini manovrati come burattini che si ritroveranno a combattere soggiogati dal volere di bambini alieni.

Evandro decide finalmente di leggere la sua storia, dopo vani tentativi durante la serata: nella cittadina di Oltre, l’arrivo del Marionettista ha turbato gli animi di tutti. Il volgo impietrito ha varcato la porta dei desideri reconditi, abbandonando la vita terrena nella staticità di corpi che non conosceranno tramonto. Tutti, tranne Ferdi.

Ma chi è Ferdi?

Questo è quanto per ora. Io rinnovo i miei ringraziamenti se siete arrivati fin qui e vi lasciò con una frase che rappresenta l’emblema del mio libro:

VARCA LA PORTA

A presto, il vostro Luca                                                        

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Ciao a tutti, ho iniziato da poco a leggere la bozza. Che dire, complimenti! Dialoghi da grande autore, ritmo incalzante, eccezionale gestione della suspence e scelta delle parole certosina. È stata una grande sorpresa!

  2. (proprietario verificato)

    Non sono solita leggere questo genere di libri, sono più orientata ai romanzi o alla narrativa in tutte le sue sfaccettature ed ero molto scettica nell’intraprendere un tipo di lettura che pensavo mi avrebbe annoiato. Invece iniziando a leggere mi sono appassionata alla storia cosi minuziosamente curata,tesa a tenere il lettore incollato alla lettura, alla scrittura forbita usata e a Bill e ai suoi mondi. È sorprendente come l’unicità dei vocaboli usati ti trasmettano la cura e la passione che ha avuto Luca nello scrivere questo libro. Davvero stupefacente. Se è stata una scommessa credo che lui l’abbia vinta! Che sia l’inizio di una lunga serie di racconti del Marionettista!

  3. Carmen Modafferi

    (proprietario verificato)

    Ho già iniziato a leggerlo…che dire….abbastanza sorprendente! Si vede che Luca Ielo ama davvero la letteratura. Utilizza termini particolarissimi e che potrebbero sembrare difficili, ma ho notato che la cosa bella della sua scrittura è che bisogna leggerla un po’ tutta di un fiato. Potrebbe da un primo impatto apparentemente sembrare che non si capisca il senso, ma, a mio parere, il suo libro non va letto piano pensando ad ogni singola parola, poiché tutte le parole magicamente si legano tra loro. Davvero bravo! Promette benissimo! E gli auguro un gran successo!

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Luca Ielo
Sono Luca, ho 30 anni, vivo a Reggio Calabria e possiedo una laurea magistrale in Economics. Sono appassionato di letteratura e scrittura da sempre e se devo ricordare una persona che mi ha influenzato a seguire questa strada, nominerei la mia maestra di italiano. Lei è stata fondamentale per la mia crescita e a piccoli passi mi ha fatto entrare in questo mondo meraviglioso. Avevo dieci anni quando ho scritto il mio primo racconto che parlava del rapporto tra un bambino e il suo amico immaginario. Trovo interessante notare che abbia utilizzato questo concept per sviluppare la trama del mio secondo libro: L'Uomo. Il connubio di studi accademici e letterari non è stato semplice, ma ad oggi posso affermare che i miei sforzi siano stati ricompensati perché ho sviluppato un ciclo di storie che ci terrà legati per tanti anni.
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