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Il terzo sangue di Ester Jardim

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La casa della giovane Ester è minacciata dalla costruzione di una diga che costringerà lei e tutta la comunità a trasferirsi dalla foresta alla periferia della metropoli più vicina. Decisa a impedire che ciò accada, la ragazza parte per la Nazione, la parte ricca del pianeta, per chiedere a chi di dovere di rimettere a posto le cose. Sola e spaesata, cercherà l’aiuto dell’amico di penna Moris, abilissimo hacker e fiero avversario dei responsabili dei cambiamenti climatici, che ha deciso di vivere da recluso nella sua camera finché non tornerà a cadere la neve. Riusciranno insieme ad accendere la scintilla della più grande rivoluzione che si sia mai vista?

PROLOGO

«Veramente, non sono mai stato libero come adesso» borbotta Moris.

Con una mano si accarezza distrattamente i brufoli sul mento, con l’altra stringe il microfono stetoscopico che si è costruito con un bicchiere per ascoltare attraverso il pavimento quello che dice lo strizzacervelli al piano di sotto.

Il tizio è partito anche peggio del previsto, parlando di lui come di uno che si è autoimprigionato. Banalità.

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«Non vi nascondo che, in questa fase del suo disturbo, uscire da quella camera potrebbe spingere Moris a contemplare il suicidio.»

«Contemplare?» sbotta suo padre.

Moris se lo immagina che si protende verso il medico per prendere più peso nella conversazione.

«Altro che contemplare. Pensavo che quelli del distretto sanitario glielo avessero detto: quando abbiamo staccato la corrente per costringerlo a spegnere il computer, lui si è fatto trovare in piedi su una sedia, la cintura dell’accappatoio intorno al collo, bell’e pronto a saltare giù se avessimo insistito.»

Lo psicologo tace, poi starnutisce, poi si scusa, poi si soffia il naso, poi dice qualcosa, sicuramente di grave (abbassa il tono di voce e lo stetoscopio restituisce a Moris un suono indistinto, con qualche “O” e parecchie “E”).

«Per il momento, sì» risponde prontamente sua madre, qualunque fosse la domanda. Starà accarezzando il gatto per darsi un tono. Gli incontri con i medici sono molto duri per lei: si convince ogni volta che la clausura di Moris – «… Chiedo scusa, il genere di vita da lui scelto da quasi un anno a questa parte» – sia tutta colpa sua.

Trovano sempre il modo di dire che dipende dalla madre, si lamenta col marito alla fine di ogni seduta; e lui risponde: «Veramente non l’hanno detto, e comunque non proprio tutto». E si capisce che in verità lo pensa anche lui, una convinzione confortevole a cui non rinuncerebbe per niente al mondo.

Come al solito gli adulti non si sono detti nulla di significativo nell’ora buona di conversazione.

«Le dà fastidio il cane in giardino? Vuole che lo teniamo fermo?»

«Nessun fastidio, è solo che, come vi dicevo, sono un po’ allergico, se per voi fosse possibile dal prossimo incontro venire nel mio studio…»

«Impensabile lasciare Moris da solo» si precipita a dire sua madre prima che la proposta attecchisca nella testa del marito, che invece, come il dottore e persino suo figlio, pensa: A ben vedere Moris è sempre solo.

«Allora mi porterò qualche fazzoletto in più» dice il dottore con una gentilezza melliflua. All’istante Moris se lo immagina grasso e rubicondo, con una fede troppo stretta all’anulare e una minuscola ferita da rasatura sulla guancia (lui ha un foruncolo pronto a scoppiare nello stesso identico punto).

A noi che possiamo vederlo, lo psicologo sembra piuttosto giovane, non fosse per i capelli completamente persi per strada già da diversi anni.

Il ragazzo aspetta di sentire il motore dell’auto che si allontana, prima di buttarsi sul letto sollevando sbuffi di polvere e puzza di sudore. Quell’odore a lui non dispiace: è la prova che il suo corpo esiste ancora. Nonostante tutto. E lo aiuta a dormire: da quando vive in camera da letto, ha preso la strana abitudine di addormentarsi all’improvviso, nelle posizioni più strane e sempre per poco tempo. Perlopiù di giorno.

A tenerlo sveglio di notte ci pensano i messaggi dei complici delle sue imprese online, che a tutte le ore illuminano la schermata o gli fanno vibrare il tablet con richieste urgenti di password e proposte indecenti di hackeraggi irresistibili. Ma anche le partite a scacchi nel deep web con cui finanzia parte delle sue attività illecite (è di notte che vince, quando gli avversari insonni si lasciano fare una forchetta dopo l’altra e poi si convincono che non gli succederà più e implorano la rivincita e la rivincita della rivincita). Per non parlare degli insopportabili acuti del nuovo cane, Dobby, che da quando lui si è spontaneamente sequestrato in cima alla torre si è trasformato in un vero cane da guardia e abbaia a tutto ciò che si muove, lancette comprese.

Di giorno invece lo tengono sveglio le lettere, quelle che il postino consegnava puntualmente, e che lui ha letto e riletto, e adesso quelle che non arrivano più.

«Moris?»
«Che c’è?»
«Posso entrare?»
«Per?»
«Dirti una cosa.»
«Puoi dirmela da lì.»
Sua madre si schiarisce la voce. «È tornata indietro anche l’ultima lettera che hai spedito laggiù.»
Lo sapeva. Maledizione. Lo ha visto nelle foto dal satellite: la zona della foresta dove lei viveva cambiare senza rimedio nel giro di un paio di giorni; l’acqua impetuosa affogare terreni e case. Ogni due minuti i satelliti scattavano una nuova foto, e un altro pezzo era sparito sotto la marea fangosa.

Al pensiero che nessun altro al mondo assistesse in apnea come lui a quello spettacolo osceno, che nessun altro dedicasse tutto il suo cuore a testimoniare quell’immensa cancellazione, Moris aveva pianto silenziosamente, le lacrime che gli invadevano le occhiaie e gli rigavano le guance, senza nessuna diga che le rendesse in qualche modo efficienti.

Perciò, lo sapeva che anche questa lettera sarebbe tornata indietro. Lo sapeva. Ma fa male lo stesso. A un tratto, però, una curiosità: come mai i suoi non hanno parlato allo psicologo rubicondo delle lettere alla giovane india dall’altra parte del mondo? Non volevano esagerare con le stranezze?

Si alza controvoglia, apre uno spiraglio attraverso cui viene infilata la sua lettera rimbalzata contro il cemento armato di una diga nella foresta. Chiude la porta, stavolta a chiave, per affermare la sua opposizione al flusso degli eventi, che travolge le cose migliori, le case più fragili, e le storie ancora da vivere. Ispeziona la busta per controllare che non sia stata aperta, lasciando cadere alcune gocce di solvente sul risvolto per verificare che la colla sia ancora quella che aveva usato lui per chiuderla prima di spedirla. Poi la ripone nella scatola dove conserva tutte le lettere. Le lascia lì chiuse, a invecchiare un giorno alla volta insieme a lui.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. Giovanni Eruzzi

    (proprietario verificato)

    Un lavoro affascinante e coinvolgente. Ho divorato l’anteprima, lasciandomi trasportare nel mondo di Moris ed Ester. Ora non mi resta altro che attendere con trepidazione la pubblicazione per scoprire cosa intreccerà i destini dei due ragazzi. Complimenti, Serena!

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Serena Corsi
È nata a Reggio Emilia nel 1983, con tre quarti di sangue toscano. Ha pubblicato la biografia musicale “Lasciar suonare una farfalla. Storie di Andrea Papini, pianista” (AbaoAqu,2019) e “Donne di fiume e d’inchiostro” (Fernandel, 2020). Tutti gli altri romanzi che ha scritto le infestano i cassetti. Il suo libro preferito è “Amatissima” di Toni Morrison, che ciclicamente le scompare dallo scaffale.
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