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Il tormento dell’assassino

Il tormento dell'assassino
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Consegna prevista Agosto 2024
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Un enigma sul filo della follia.
Un conflitto con se stessi tra la ragione e la spietata, crudele istintività umana è ciò che affligge Hank Turst, un noto e rispettato membro della cittadina di Liamthon, una piccola e provinciale comunità dove il sole sorge splendente sugli steccati bianchi e sui giardini fioriti delle case disposte ordinatamente una accanto all’altra.
Una vita invidiabile per quel uomo di bel aspetto, dall’affascinante carriera, padre e marito eccellente, ma che nasconde un profondo segreto.
Il carattere solare di Hank lascerà il posto a ciò che non si vorrebbe mai essere.
Con le mani macchiate di sangue innocente nulla può più essere come prima.
L’eco della sua anima gli toglierà il fiato e lo farà sprofondare in un baratro di cupo terrore.
Solo nei momenti difficili si scopre la vera forza dell’anima o la debolezza della propria mente.
Un segreto custodito con discrezione, in grado di rompere tutti gli equilibri.
Un segreto da proteggere ad ogni costo.

Perché ho scritto questo libro?

Il tormento dell’assassino è un viaggio in un mondo dove tutto prende forma e vita, e si concretizza fino a quasi diventare palpabile e assaporabile; è un tuffo tra le righe scritto trasportata solo dalla penna che incide la carta, immersa fra parole ed emozioni guidata dall’amore per la scrittura. Un equilibrista sul filo della fantasia e della narrazione, Il tormento dell’assassino è ciò che dono a coloro che amano leggere bramosi di sapere qualcosa di più, sempre di più, divorando ogni pagina

ANTEPRIMA NON EDITATA

CAPITOLO 1

Hank Turst non aveva nessuna voglia di andare al lavoro quella mattina; il sole splendeva già da almeno un’ora sugli steccati bianchi che dividevano la sua villetta dalle case a fianco ed illuminava i tetti le cui tegole, che sembravano essere lucidate con cura da ambiziose mani, riflettevano un bagliore quasi accecante. Nei giardini le siepi perfettamente curate e tagliate settimanalmente si muovevano sotto la leggera brezza che soffiava da est, e la città di Liamthon si stava lentamente svegliando.

Sua moglie Maggie era una donna bella e seducente, di statura media, una corporatura armoniosa tendente all’esile ed una folta chioma di capelli mossi e bruni che le scendevano lungo la schiena. Nonostante fosse ormai una donna di circa mezza età attirava sempre lo sguardo ammaliato e compiacente di qualche uomo; se ne accorgeva passeggiando per strada, ammirando le vetrine dei negozi, o spingendo il carrello del supermercato per fare la spesa. Era una donna affascinante, carismatica ed intelligente, e suo marito era orgoglioso di lei.
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Come ogni mattina era già sveglia quando ancora il resto del vicinato poltriva sotto le coperte, abbracciando il cuscino e sognando di vivere chissà quale avventura.                                            

Aveva fatto il bucato, lavato i pavimenti e preparato la colazione per tutta la famiglia, e adesso stava impacchettando il pranzo per i loro due figli, Sheila di dodici anni e Connor di otto. Le piaceva svolgere la sue faccende la mattina presto in modo tale da avere il resto della giornata a disposizione.

Al suono della sveglia, che come ogni mattina poneva fine al sonno ristoratore dell’intera umanità, Hank respirò a pieni polmoni e si trascinò giù dal letto, indolenzito e svogliato.

Andò in bagno a lavarsi la faccia con l’acqua fredda nella speranza di trovare il coraggio di iniziare quella giornata impegnativa che lo aspettava, ma che lui non aveva alcuna voglia di affrontare. Si soffermò davanti allo specchio e ciò che vide lo deluse. Quei grandi occhi verdi che una volta erano il suo orgoglio, erano visibilmente segnati dalla stanchezza dei ritmi lavorativi eccessivamente frenetici, il fisico un tempo sodo e scolpito, invecchiando aveva perso la tonicità che faceva girare la testa alle ragazze del college, ed i capelli dapprima folti e robusti si stavano diradando lentamente sulle tempie.                                                                            

Si gonfiò il petto, fiero di essere l’affermato medico dentista che era, padre e marito modello e pavoneggiandosi in maniera quasi comica disse a bassa voce “Tutto sommato però, rimango pur sempre un bel uomo”. Rientrato in camera da letto si incantò davanti all’ armadio…quel grosso e sovraffollato armadio che conteneva indumenti di ogni genere e colore. Trascorse almeno dieci minuti a scorrere gli occhi tra bermuda, camicie estive con trame a fiori ma anche classiche, a maniche corte e a maniche lunghe, a tinta unita o a righe, cravatte, papillon, jeans, smoking, pigiami, tute da jogging, felpe, pullover, calzini… E dopo aver indugiato, anche troppo, decise di indossare un paio di pantaloni di tela blu e una camicia bianca, senza cravatta ne giacca. Si prospettava una giornata calda e l’idea di essere fresco e comodo lo sollevava.

Scese al piano di sotto dove i suoi figli erano a tavola che facevano colazione, o meglio si lanciavano i cereali giocando a far canestro l’uno nella tazza dell’altro. Sua moglie era girata di spalle che lavava le pentole usate per preparare le uova strapazzate che avrebbero mangiato Sheila e Connor a scuola, sbirciando solo con la coda dell’occhio il programma televisisivo che era sua abitudine guardare la mattina; muovendosi con passo felpato, Hank le si avvicinò di soppiatto e la baciò sul collo, come era sua abitudine fare… era il modo che preferiva per darle il buongiorno.                                                                         Assoporò il profumo della pelle di sua moglie, dolce e speziato, sensuale e delicato come sempre, sperando di portarsi dietro quel  ricordo per il resto della giornata. Prese una banana dal cesto della frutta e la divorò mentre si infilava rapidamente le scarpe, con una mano afferrava le chiavi dell’auto e con l’altra sollevava la sua valigetta.

“Accompagno io i ragazzi a scuola stamattina” gridò con la bocca piena rivolgendosi a Maggie che rispose con un cenno della testa e un ampio sorriso. La scuola dei ragazzi era dall’altro capo della città rispetto a Clark Able Street, il quartiere in cui vivevano ormai da anni, e per portarli a lezione Hank avrebbe dovuto allungare il tragitto che faceva per andare a lavoro solo di qualche isolato; ma essendo il titolare di se stesso un ritardo di qualche minuto non avrebbe creato nessun disagio.

Liamthon era una cittadina provinciale. Il traffico si intensificava solo negli orari di chiusura degli uffici rendendo quasi impossibile raggiungere l’altro capo del paese. C’era una sola via principale, Ramilghton Street, famosa per la smisurata quantità di semafori che la appestavano come fossero un’epidemia.                                                                                            

Ma orientarsi in quel piccolo centro non era affatto difficile perchè seguendo la Ramilghton, sulla quale erano disposti con un ordine quasi maniacale i negozi tipici di una piccola cittadina, il primo semaforo che si incontrava permetteva di svoltare raggiungendo le scuole e l’ospedale.                                                    Se invece si svoltava al secondo semaforo si imboccava Winona Boulevard, dove oltre a trovare il municipio e le poste, Hank aveva il suo studio dentistico. Dal terzo semaforo si imboccava Tampin Street che dopo qualche chilometro abbandonava l’asfalto lasciando il posto a un percorso sterrato che costeggiava il vecchio campo da baseball, andando poi a morire nel bosco che costeggiava il lago Turtletake. Il quarto semaforo infine consentiva di proseguire dritto o svoltare a sinistra imboccando così Clark Able Street, dove viveva la famiglia Turst.

Ogni casa aveva di fronte a sè un giardino più o meno decorato con fiori e cespugli, altalene appese ai rami degli alberi per divertire i piu piccoli, palloni giacevano abbandonati nell’erba in attesa di essere nuovamente calciati, cani che giocavano a scavare buche qua e la pur sapendo che sarebbero stati rimproverati dai loro padroni, e cassette della posta tutte identiche di forma ma che si distinguevano solo perchè erano in tinta con il colore della rispettiva abitazione… tutta questa conformità rendeva Hank quasi nauseato se si fermava a pensarci, e la cosa non era un fatto insolito.                                             Si sorprendeva spesso a fare questo tipo di riflessioni quando era alla guida della sua Chevrolet arancione brillante, forse più per passare il tempo che per altro. Il tragitto che doveva percorrere ogni giorno, soprattutto la mattina, gli sembrava infinito e terribilmente noioso, ma dopo quasi venti minuti di semafori rossi e incroci imbottigliati di veicoli indecisi sulla direzione da prendere, Hank raggiungeva il suo studio.

Era un dentista, e anche piuttosto bravo; aveva avviato la sua attività da quasi una decina di anni e ci era riuscito senza godere dell’aiuto di nessuno, ma da qualche mese divideva lo studio con un collega più giovane, Pitt Haiden che si era trasferito da poco a Liamthon e trascorso appena qualche giorno dal suo arrivo gli aveva proposto di collaborare. Non impiegò molto a prendere la sua decisione. Visionò il curriculum che Pitt gli aveva consegnato, gettò una rapida occhiata all’università che aveva seguito, alla votazione con cui si era laureato e alle precedenti esperienze lavorative e di tirocinio. La sera stessa alzò il telefono e gli comunicò che sarebbe stato fiero di averlo nel suo staff.                                               

Oltre a sembrargli qualificato avrebbe condiviso il carico di lavoro lasciandogli maggior tempo per sè e per la sua famiglia.

Otturazioni, carie, protesi e apparecchi…ecco cosa lo aspettava quel giorno; quasi non avrebbe avuto il tempo per fermarsi a mangiare nemmeno un boccone, ma ormai ci era abituato. A volte si portava uno spuntino da casa, altre invece  rinunciava a mangiare con la scusa di approfittarne per dimagrire, cosa di cui per altro non aveva alcun bisogno.

Essendo l ‘unico centro dentistico in città tutti facevano riferimento a lui; i genitori gli affidavano il compito di raddrizzare i denti ai figli, le vecchiette gli chiedevano di sostituire le protesi che si erano rotte o che erano ormai troppo vecchie e andavano sgretolandosi, i giovani imploravano aiuto per carie grosse come crateri che rendevano doloroso mangiare anche solo una caramella e bere una birra fresca. Per quanto fosse un lavoro stressante lui amava ciò che faceva e gli era sempre piaciuto, fin da quando era bambino e seguiva il padre, anche lui odontoiatra. Trascorreva l’intera giornata seduto su uno sgabello che regolava alla massima altezza e osservava con attenzione ogni mossa che il suo maestro faceva, ogni strumento che utilizzava, il modo in cui muoveva le delicate mani con cui poi la sera lo accarezzava e gli leggeva le fiabe per farlo addormentare.

Maggie era molto orgogliosa di suo marito e del successo che aveva riscontrato tra l’opinione della gente del posto, ma lei proveniva da New York che in confronto al buco polveroso dove abitavano era del tutto impersonale, mossa da un’incessante frenesia che non si placava nemmeno con il calare della notte.
A Liamthon era praticamente impossibile non conoscersi l’uno con l’altro. In qualunque posto ti recassi, dalla panetteria, alla posta, dalla banca, alla macelleria, dal parco e addirittura al cimitero, non potevi non salutare o non fermarti a scambiare quattro chiacchere con I vicini, per lo più persone invadenti e impiccione con il vizio di scambiarsi ad ogni costo gli ultimi pettegolezzi e scandali, veri o falsi che fossero. Ma come ogni cosa, anche vivere in un posto così intimo aveva I suoi lati positivi.

Gli scoppiavano le tempie, le sentiva pulsare forte e dolorosamente; si portò le mani alla fronte e premette per fermare quel tamburello fastidioso, per mettere tutto e tutti e tacere, ma più cercava di riportare l’ordine dentro di sé e più lo perdeva. Sentì le mani friggergli per la rabbia, per la delusione nel non riuscire a controllarsi, nel non poter gestire le sue emozioni, e questo gli fece perdere il controllo. Si voltò verso la parete sulla quale aveva visto Megan ed emettendo un grido quasi animalesco le sferrò un possente pugno creando un paio di crepe e staccandone l’intonaco che ricadde sbriciolandosi sul pavimento.  
Il dolore che provò alla mano fu lancinante. Credendo di essersi rotto le dita e il polso e distrutto dall’essersi accorto che Megan non esisteva se non nella sua testa si accasciò sulle fredde piastrelle piangendo come un bambino disperato. Non riusciva a vedere una luce alla fine del tunnel nel quale era precipitato.  
Si rendeva conto della piega che aveva preso la sua vita, era consapevole di essere un assassino. 

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Angelica Rizzoni
Sono una donna di 34 anni, mamma e moglie, da sempre appassionata di lettura e da qualche anno mi sono buttata a capofitto nell'arte della scrittura. Dalla poesia al romanzo permetto alla mia mente di spaziare toccando i temi ed i generi più vicini ed in linea con la mia mente e la mia anima. Scrivere è per me un tuffo in un mondo ed in una dimensione a se stante, dove, attraverso le parole ed i silenzi si respira con i personaggi, si respira l'aria e l'atmosfera impressa dall'inchiostro sulla carta. Laureata in scienze infermieristiche, appassionata di animali e natura cerco ogni qualvolta sia possibile di ritagliare tempo e dedicare energie ai mondi e alle storie incisi nelle pagine che stringo tra le mani o tra le pagine sulle quali imprimo io stessa nomi, personalità, dialoghi, ideologie, eventi ed a catena tutto ciò che alimenta la trama partorita dalla mia mente.
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