Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

Infinita pazienza: quando il diabete non perdona

740x420 - 2024-10-10T112412.001
1%
198 copie
all´obiettivo
0
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Luglio 2025
Bozze disponibili

Quando la vita ti invita a danzare, a tratti in un lento soul e a tratti in una zumba di alto livello, l’unica via d’uscita è imparare i passi e farli nel modo migliore, perché in ogni caso alla fine l’amore, in particolare per la famiglia, vince su tutto.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro per metabolizzare tutto l’accaduto ma in realtà mi ha dato la forza per parlarne e andare avanti.

ANTEPRIMA NON EDITATA

UNO

Domani 4 Novembre ricorre l’onomastico di S. Carlo Borromeo, e quindi si festeggia anche quello di mio papà; papà che riposa su un letto di ospedale, una camera da lui mai “usata”, qui nella sua clinica di fiducia. Ed io qui di nuovo con lui a combattere un incubo che sembrava finito, sembrava debellato per sempre, e purtroppo invece è ricomparso in modo inaspettato seppur meno prepotentemente.

C’è un cardiochirurgo famoso anch’egli qui ricoverato che purtroppo non gli hanno dato grandi speranze…è vero allora che anche i medici si ammalano?Spesso li vedi passare nei corridoi come fulmini e credi che possano essere invincibili o immortali, mentre invece ti rendi conto che come noi soffrono, e che sicuramente quando si ritrovano dalla parte opposta del letto capiscono la sofferenza altrui, la speranza e la paura che si provano.

Continua a leggere

Continua a leggere

Non so, sono mille i pensieri che mi aggrovigliano la testa, una pastiglia prese a stomaco vuoto ha fatto effetto solo adesso a tarda sera dopo aver mangiato un panino, uno di quelli delle macchinette erogatrici situate all’ultimo piano.

Sono salita al 4° piano che di giorno pullula di persone e medici, perché vi sono anche gli ambulatori per le visite di controllo e non, e nella quiete di quella sera rimbombava solo il rumore delle poche monete inserite in una di queste macchinette: digito “b54” per un panino al prosciutto cotto e maionese, e poi successivamente “ b38” per una bottiglia di acqua frizzante.

E mentre mangio quel panino troppo grande, enorme per la mia bocca che a fatica si apre per parlare stasera, osservo quelle stesse macchinette che rumoreggiano e sembrano volersi comunicare qualcosa tra di loro: thé alla pesca, chewing-gum, panino tonno e funghi, prosciutto cotto e provola…e mastico e mando giù, o quanto meno ci provo perché nella stessa macchinetta vedo riflessa la mia immagine e mi chiedo che cosa ci faccio di nuovo lì, seduta a quell’ora  tarda  a mangiarmi un panino freddo e insipido.

E allora o lo trattengo o trattengo le lacrime, e questa volta la spunta il panino che a fatica mando giù con un sorso di acqua fredda.

E mi ritrovo comunque con in mano tante lacrime che in fretta asciugo perché temo, nonostante tutto, possa arrivare qualcuno, ma poi mi volto di scatto, osservo e non c’è nessuno e allora  posso lasciare che le medesime scorrano sul viso e bagnino anche la camicia.

Il panino è finito, l’acqua ancora no, le monete sì, una sola ne è rimasta, di quelle piccole che nemmeno noti nello scomparto del portafoglio. A passi lenti scendo le scale, non conto gli scalini perché ormai li so a memoria, e poco dopo mi ritrovo in stanza da mio padre che sta cercando di riposare.

Oggi con lui non c’è tanto feeling, non vuole capire che io non sono poi così indispensabile e che non può ridursi sempre all’ultimo perché aspetta me per andare in ospedale; si dice che di chi non c’è si fa senza e quindi dovrebbe anche capire che spesso attendendo il mio rientro, solitamente dal lavoro, mette a rischio la sua salute già precaria, quando invece basterebbe semplicemente chiamare il 118.

E se andassi ad abitare in un’altra città? Io sono sua figlia e cercherò di esserci il più tempo possibile, non lo dico per egoismo, però deve cercare di fare affidamento anche su mamma e mia sorella, che comunque fanno parte della stessa famiglia; so anche che per lui non è facile, è come un tacito assenso, come se io dovessi fare sempre affidamento su di lui, sapendo che un giorno lontanissimo non ci sarà più….Nemmeno questo ha senso!

Chi mi darà la tua mano? Chi mi guarderà allo stesso modo?Chi????

Nonostante la pastiglia, la testa si è fatta di nuovo pulsante, gli occhi piccoli dal bruciore e dalle nuove lacrime,e come ho detto al medico curante questa mattina uscendo dal suo studio, poche ore prima di ritrovarmi qui “DOMANI E’ UN ALTRO GIORNO”:

UNO bis

Ancora qui, divisa tra le mura di un altro ospedale, parcheggio,reparti, bar e persone che incroci nei corridoi,la vita di un ospedale è contornata ogni giorno da questo: dottori, infermieri,barellieri,autoambulanze, flebo, farmaci, lettighe,lenzuola, pranzo,colazione, radiografie,ogni minima azione ruota attorno a questi particolari, poiché anche da questi trae vantaggio la malattia.

Da una decina di giorni papà non mette piede giù dal letto, sembra un’eternità, e siamo qui da pochi giorni, mentre questa volta più che mai mi sento lontana dal mio mondo da troppo tempo.

Ci sono tornata solo per poche ore nel mio mondo, e non mi è piaciuto molto, perché mancava una presenza, mancava papà: la casa è ancora più vuota e grande senza di lui, e allora ho preso pochi indumenti per il cambio e sono di nuovo corsa  da lui; non posso vederlo ad ogni ora però il solo fatto di essere nella sala d’attesa poco distante da lui mi rende più tranquilla, e sono sicura che lo è anche lui stesso.

“Questa proprio non ci voleva” ha ripetuto spesso mia madre,ma papà è accidentalmente caduto a terra e si è fratturato il femore.

“Frattura scomposta del femore” ha diagnosticato l’ortopedico del pronto soccorso dopo che ho insistito perché si decidesse ad andarci,e d’altronde non poteva rifiutarsi in quanto, dopo 7 ore, si era reso conto da solo che non riusciva a far forza sulla gamba per poter alzarsi dalla sedia.

Lo ricoverarono subito e misero la gamba “in trazione”, ad oggi non ho ancora ben capito se fecero o meno la cosa giusta, dandogli anche un potente antidolorifico associato al sedativo, perché io non l’ho provato, ma credo che il dolore osseo provocato da una frattura sia tremendamente insopportabile.

Per i medici era un intervento di routine, dopo 4 giorni lo avrebbero mandato a casa, massimo un mese di convalescenza e si sarebbe rimesso;ma mentre il medico mi parlava io ragionavo già tra me e me pensando che questo “luminare di scienza” che mi stava di fronte, non aveva ancora realizzato che il problema di rimetterlo in piedi in quel momento era il minore: sembrava un controsenso, eppure per papà ogni operazione era ed e’ a rischio, minore o maggiore che sia, sia il prima, il durante e dopo intervento.

Chi poteva dire che non fosse rischioso un intervento,seppure di prassi per un ortopedico, su un paziente però cardiopatico e per di più diabetico? Quel cuore di papà che aveva subito tanti t tanti colpi poteva farcela ancora?

Guardandomi allo specchio quella sera con gli occhi gonfi per le lacrime e i pugni chiusi per rabbia e impotenza, mi ripetevo purtroppo che stavolta la scelta non c’era…

“Non c’è scelta Marina, il rischio è durante e dopo l’intervento e sappiamo il cuore che ha papà”, mi disse il professore che lo aveva salvato per diverse volte e che ancora una volta mi aiutava moralmente, ora più che mai in questo cammino lungo e faticoso e tutto in salita, una salita ripida come quella che ci portò al famigerato “Rizzoli” di Bologna. Passarono infatti pochi giorni dal suo ricovero nell’ospedale vicino a casa e come una corsa contro il tempo cercavo una soluzione,un’alternativa, ma stavolta più complicata del solito: occorreva infatti per la serie di problematiche che ha papà, una struttura che avessi sì il reparto di ortopedia ma anche un reparto di rianimazione nel caso in cui ne avesse avuto bisogno.

“Lo farei con tutto il cuore, ma purtroppo qui non siamo attrezzati per la traumatologia, e far arrivare gli strumenti idonei mi occorre una settimana”, mi rispose un importante ortopedico della clinica di Reggio Emilia dove papà ormai è di casa ed è seguito e dove è stato operato al suo “grande cuore”.

Ci avevo provato….1-0 per loro, ma la partita era appena cominciata, Chiusi la portiera della macchina e durante il tragitto verso casa cominciai a scorrere tutti i numeri della rubrica del telefono ripetendo a me stessa che c’era di sicuro una soluzione, ci stavo semplicemente girando attorno….

Così, sapendo che papà avrebbe dovuto ricoverarsi per un controllo angiografico a Bologna, chiamai la clinica, spiegando la situazione e il giorno dopo andai con i pochi dati a mia disposizione per sentire anche un loro parere.

Mi accolsero con molta cordialità e professionalità, lontano da casa in qualche modo mi sentivo al sicuro anche se non sapevo se sarebbe andata a buon fine, ma ci misi tutte le energie possibili per riuscirci. Mi fecero attendere un paio di ore, poiché si riunirono in equipe per studiare il caso. Ne uscii con un 2-0, palla al centro, ma la partita era solo a metà: il responso non fu favorevole e mi dissero che avrebbero voluto consultare anche altri specialisti, era un caso delicato e come tale andava valutato in tutti i suoi aspetti.

Tornai così verso casa pensando  chi potevo nuovamente contattare, una corsa contro il tempo che avrebbe potuto portarmi a prendere decisioni affrettate, ma ne andava, ancora una maledetta volta, della salute di mio padre. In quello stesso pomeriggio infatti, trascorsi diverse ore dopo pranzo alla ricerca di lettere di dimissioni dei precedenti ricoveri per poterle inviare via fax alla medesima clinica di Bologna.

Sembrava però che il destino questa volta remasse contro ancora di più: il giorno dopo il fax arrivò in bianco, arrivò in parte e solo dopo estenuanti telefonate riuscimmo a mettere insieme le 60 pagine inviate!!

Era un incubo, ma da un incubo prima o poi ci si sveglia, qui invece sembrava non esserci una via d’uscita, essere persino impotenti di voler trovare una soluzione anche pagando l’intervento stesso; in più ci si metteva il lavoro, o meglio alcuni colleghi di lavoro che ancora una volta non capivano che era tutto reale e non accettavano la mia mancanza per problemi di salute di mio padre e in questo caso VITALI.

Ad oggi auguro loro ogni bene e che la vita non gli faccia mai conoscere posti pieni di sofferenza come purtroppo ho visto io e vissuto in questi tre mesi ormai che sono passati da quando è iniziato il calvario,  passati in 5 ospedali diversi: quelli occhi che ancora pensandoci si colmano di lacrime, perché il dolore fisico può anche passare e alleviarsi, ma quello interiore resta SEMPRE.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “Infinita pazienza: quando il diabete non perdona”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Marins
La vita è squisitamente meravigliosa e la lettura pure, amica di tante avventure e peripezie. Non sono un'artista nata ma nasco con la vena artistica quindi ho iniziato a scrivere per trasmettere agli altri ciò che ho nel cuore attraverso storie vere, aggiungendo un pizzico di fantasia e trasparenza. Amo tutto ciò che fa scoprire cose nuove, attraverso la cultura, il cinema, l'arte e perché no anche lo sport, di cui poi ne ho fatto il mio lavoro.
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors