La professoressa Beatrice Sensi è un’appassionata ricercatrice, e con il suo ultimo progetto vorrebbe informare la comunità accademica sui rapporti, quasi del tutto sconosciuti, tra le antiche popolazioni russe e quelle celtiche. Al cuore della sua ricerca c’è un taccuino celtico, all’apparenza indecifrabile, e misterioso, perché è cosa risaputa che i Celti non usavano la scrittura, solo i loro sacerdoti, i Druidi, potevano farlo. L’accoppiamento delle due culture porta Beatrice a conoscere Niccolò Malcovati, gran bell’uomo e assai colto. Non poteva non esserci un colpo di fulmine, e infatti i due trascorrono un’indimenticabile notte insieme. Solo una però, perché Beatrice all’improvviso si ritrae, spaventata dall’eccessiva intimità. Qualche secolo prima, in un villaggio tra i monti, vive Gwyny, figlia del potente druido Ynir e della splendida Una. Il destino priva la piccola della madre molto presto, quando ella dà alla luce Oonagh. Le ricerche sul taccuino si fanno sempre più complesse: in esso è narrata la storia di Gwyny, la crescita di Oonagh, la sua frequentazione dell’accademia druidica, il suo grandissimo amore per Liam, compagno di studio e Druido di recente nomina. Pur essendo vietato ai Druidi stringere legami prima di aver terminato la propria formazione, Gwyny e Liam non temono nulla e sfidano la sorte, ma il pericolo li raggiunge nelle sembianze di Oonagh che, crescendo, ha sviluppato la sua parte oscura. Gwyny e Liam allora decidono di fuggire. Beatrice intanto ha decifrato il taccuino, le sue ipotesi si sono rivelate corrette e questa nuova vittoria in capo accademico le dà grande prestigio. Liam e Gwyny, purtroppo non giungono alla salvezza assieme, un tragico destino li divide. Gwyny rimarrà da sola in terre lontane, al confine dell’antica Rus’, nelle cui terre era stato scoperto il taccuino. Infatti l’ormai anziana Druidessa riesce a mettere al sicuro il suo taccuino, su cui ha annotato il proprio destino, proprio come le aveva suggerito sua madre Una.
Perché ho scritto questo libro?
Perché è il mio mestiere, perché, dopo un un’immagine subitanea, nata durante una passeggiata con Hazel, la storia si è insinuata in me e non mi ha più lasciata fin quando si è conclusa. Scrivevo ogni giorno e questa quotidianità mi dava conforto e mi rendeva creativa: l’estro che non appariva nella vita reale si riversava interamente nelle parole del “romanzo”, del quale non conoscevo ancora il titolo. Quindi mi è piaciuto scriverlo, e l’ho fatto soprattutto per me stessa, perché, dopo tanti anni, questa parte vitale di me ha trovato il coraggio di farsi sentire. Scrivere per me è come ascoltare il mare, l’andirivieni sempre uguale delle onde, sentire l’odore salmastro, percepire il caldo e il sole sulle pelle, e guardare passeggiando sul bagnasciuga l’infinita distesa blu, colma di serenità.
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