Era mezzanotte. Il ragazzino era seduto alla scrivania su cui campeggiava il suo unico specchio. Aveva ancora in testa il suo cappellino rosso dalla giornata passata in giro a camminare, solo, per la periferia turbolenta di Londra. Si sorrise, aprì il vasetto di Nutella e affogò il cucchiaio nella crema marrone, per poi leccarlo con calma. Ora sono pronto a fare i compiti, si disse aprendo il computer. Il riflesso della luce dello schermo sullo specchio illuminò il suo viso dal basso, facendolo apparire stranamente piatto, poco più di un ologramma. Solo il suo cappellino rosso sembrava reale.
“Oggi, tornando da scuola, ho visto circa 1757 persone, 1715 stavano usando il loro smartphone… Gli smartphone sono degli specchi: siamo tutti più o meno lo stesso, tutti intrappolati nelle nostre solitudini virtuali” digitò, scoppiando in una risata. Il titolo del tema è “Tu davanti allo specchio”. Non devo scrivere una poesia sulla “Trappola della società digitale”. Sono un cretino, si disse cercando invano di controllare il muscoli del viso. La sua bocca non trattenne però gli zampilli di cioccolato, che colorarono di marrone il computer. Ancora ridendo, si leccò i primi baffi e pigiò il pulsante Cancella una, due, tre volte, fino a quando il documento tornò a essere una pagina bianca. Meglio. Non scrivere nulla è meglio che scrivere cavolate, si disse, cercando di controllare le contrazioni addominali. Prese un fazzoletto e interruppe la corsa delle gocce di cioccolato che continuavano a intrecciarsi sulla sua bocca e sullo schermo del computer. Continuava però a ridere.
Il ragazzino dai denti marroni si chiamava Ted Moore. Così almeno tutti lo conoscevano nella vita non digitale. Ma il suo nome all’anagrafe non era un grande indizio sulla parte più intima della sua identità. Davanti allo specchio non c’era un documento. Davanti allo schermo c’era una persona, nello specifico un ragazzo con molti username. In effetti. Meglio guardarsi allo specchio.
Si alzò dalla sedia e fece un passo indietro, allontanandosi dalla scrivania. Neanche il suo corpo nudo era poi così convincente. Non vedeva molto in quei riflessi notturni alla luce tiepida della sua camera. Nessuna traccia di vanità, nessuna ragione di orgoglio, nessun segno di personalità, nessuna stramberia di troppo. Niente di significativo. Sono tutto e il contrario di tutto. Quindi? Cosa devo scrivere? La mia identità nazionale? Italiano in Gran Bretagna? Inglese con madre napoletana? Non ha nessun senso… Sono un Londoner. Devo scrivere che ho vinto un Hackathon? Cosa sono? Un hacker? Uno studente? Un gamer? Dato che non so cosa sono, forse ha senso pensare a quello che vorrei essere… Voglio essere felice? No… Tutti i miei compagni di classe che sembrano felici sono dei ritardati o dei bugiardi cronici. Buon inizio però… Sono sulla buona strada. Ted sorrise al proprio riflesso nello specchio. Si leccò le gengive ancora sporche e si grattò le parti intime prima di mettersi i pantaloni della tuta.
Voglio essere amato, rimuginò uscendo dalla camera e fermandosi davanti al quadretto di famiglia appeso nel corridoio. Il rantolo di sua madre era sempre più prepotente, notte dopo notte. Nonostante tutte le medicine. Nonostante tutti gli psicofarmaci. Voglio essere amato? Quella sua intuizione gli sembrò però sempre più farraginosa al passare del tempo, rantolo dopo rantolo. Ma anche no. L’amore viene e va. L’amore non può durare. Guarda mamma e papà… concluse, strofinando i piedi sulla tappezzeria. Un pensiero profondo mi aiuterà a fare chiarezza. Un pensiero profondo per lui era il momento di solitudine in cui scoprirsi. Era il momento di chiudersi la porta alle spalle, girare la chiave e sedersi sulla tavoletta del bagno per plasmare un po’ di piacere.
Ted prese tempo per un pensiero profondo particolarmente piacevole, e fece una doccia prima di deambulare verso la cameretta. Mangiò un altro cucchiaio di Nutella e guardò ancora una volta la pagina bianca del computer. Non so ancora cosa scrivere. Non c’era niente da fare. Le sue mani esperte continuavano a non avere niente da dire in quel momento. Il pensiero profondo e la doccia non sembrano sufficienti, questa sera. Chiuse il computer e accese la sua consolle. La combinazione masturbazione e gaming non mi ha mai deluso. Finirò i compiti più tardi. Un po’ di gioco mi sveglierà. Questa volta aveva ragione. Il presente lo richiamò immediatamente, rumoroso come le esplosioni che facevano tremare il suo impianto stereo. L’adrenalina arrivò puntuale: nessuna esitazione, nessun dubbio, nessun rantolo, nessuna domanda sul proprio passato o sul proprio futuro. La sua vita era solo un gioco e gli errori non erano fallimenti: anche dopo aver perso un round, era comunque sempre capace di completare le sue missioni senza troppi intoppi. Era il suo mondo.
Conoscere persone online non era mai stato difficile. Gli amici digitali non gli mancavano. Aveva anche un protettore, una persona nei servizi segreti che gli aveva regalato un passaporto falso. Può tornare sempre utile. I suoi due amici preferiti erano invece due coreani che, stranamente, non erano online quella sera. Avevano comunque mandato dei video di realtà aumentata, messaggi che sembravano cartoni animati con ben pochi rimandi umani. Gli davano appuntamento, entrambi, per un torneo il giorno dopo. Fluo! Fluo! Fluo! Fluo era la parola preferita di Ted, quella che ripeteva quando era eccitato, felice o incredibilmente rilassato. Era anche la parola che si ripeteva di notte per addormentarsi.
Quella notte, più che altro per mancanza di alternative valide, Ted scelse una roba da ragazzini: Bomberman. Era un gioco rétro in cui la missione era innescare esplosioni, evitando le proprie bombe e quelle degli altri, per sopravvivere più degli sfidanti.
Come al solito Ted non perse un torneo. Quella sera non perse neanche una mano. Mezze capre, pensò osservando le decisioni approssimative di quattro inglesi che non aveva mai incontrato in precedenza. Poteva prendersela talmente comoda da fantasticare sull’identità di quei giocatori. I loro nickname erano strani. Ricordavano quelli degli utenti delle chat anni Novanta. Saranno tutte persone di mezza età. Fattone89 si muoveva appena; Ritardato_01 correva sempre nella direzione sbagliata; Bastardo95 era veloce, ma perdeva spesso la concentrazione. Stronzo79 cercava sempre di piantare mine contro Ted, ma alla fine quasi ogni sua bomba diventava un attacco suicida. Ted ne fu quasi sfiorato solo una volta e anche in quel caso ne uscì illeso.
Nomignoli piuttosto appropriati, pensò Ted, quando tutti quanti, nello stesso momento, lasciarono il gioco senza mandare un messaggio di saluto. Come diceva il nonno: “l’unica cosa che puoi fare con gli stronzi è stare tranquillo”. Quindi stai calmo, si disse Ted, cercando invano di non rimanerci male. Non riusciva a capire le persone che andavano online solo per sfogarsi. Gamer senza un briciolo di bon ton. Meglio così. È già tardi.
Spense la consolle e aprì il computer. Gli uccelli autunnali stavano cinguettando per salutare l’alba. Il cielo si stava rischiarando e la prima luce si insinuava furtiva nella notte.
Ted prese la penna e scrisse il tema di getto: “Sono alto, sono sempre stato il più alto. Svetto, ma non ne ho alcun merito. Mi distinguo dalla folla, anche se il più delle volte vorrei essere solo parte della mandria. Alcune persone pensano sia eccezionale, ma non trovo niente di speciale di fronte allo specchio. Vedo un normale ragazzo di Leyton con una passione per la tecnologia… Penso che la consolle sia il mio vero specchio, il posto dove trovo un’identità in cui sto comodo. Un’identità che non mi chiede niente in cambio”.
Ted era pronto per andare a letto. Non togliendosi neanche il suo cappellino rosso, saltò sotto le coperte. Baciò i cuscini una, due, tre volte e strofinò i piedi l’uno contro l’altro per riscaldarsi. Allungò poi il collo del piede, prima quello destro, poi quello sinistro. Come fosse stato un ballerino. Era il suo esercizio per addormentarsi. Non erano 1715 le persone con lo smartphone oggi. Eravamo in 1715. Fluo, concluse, perdendosi nell’ultimo pensiero di una giornata qualunque.
La sveglia sarebbe suonata di lì a poco.
Capitolo 1.B
10/10/2022-13/10/2022
Il suo primo collega, la persona che lo aveva formato diciotto anni prima, gli aveva dato un soprannome che era diventato un’identità. Timothy era Hope. Era Hope quando lavorava fino a notte fonda, era Hope quando dormiva, era Hope quando andava a fare una corsa mattutina. Era sempre, semplicemente, Hope. Era la speranza. Speranza per molti.
Cresciuto nelle East Midlands, il quarantatreenne non era un Agente tipico. Non passava giornate a scrivere rapporti inutili davanti a software qualunque. Lavori d’ufficio con orari fissi non faranno mai per me, si era sempre detto. Hope era uno dei pochi Agenti che poteva veramente fare quello che più lo appagava, che più gli si addiceva. Sceglieva le sue missioni di alto livello e risolveva emergenze insieme ad altri funzionari. I suoi compiti cambiavano ogni giorno. Normalmente avevano a che fare con strategie globali, senza però implementazioni digitali complesse. Lui era il cervello, non la mano.
La sua ritrosia nei confronti del mondo digitale lo portava a non lasciare niente al caso quando era alle prese con quei ritrovati tecnologici. Aveva letto nella loro interezza tutti i manuali degli apparati che avesse mai posseduto, dalle spiegazioni degli elettrodomestici ai contratti d’uso di tutti i software installati. L’ironia della sorte aveva però voluto che proprio lui diventasse il genio capace di promuovere le tecnologie più invasive. Il concetto non ha bisogno di tecnologia, ripeteva spesso ai suoi collaboratori più stretti. Hope era, tra le altre cose, l’inventore di termini di uso comune come “smartphone”, “vaping”, “telecamere a circuito chiuso”, “riconoscimento facciale”, “smart working” e “assistente virtuale intelligente”. Era la persona incaricata di validare le strategie delle compagnie informatiche, coordinando le loro attività più delicate: non solo branding, ma anche rapporti con le autorità di vigilanza e “fidelizzazione” erano le sue specialità. Sotto la sua co-direzione, l’Agenzia aveva così cambiato paradigma: da dividere e conquistare, a unire e controllare. Negli ultimi anni, anche grazie a Hope, l’Agenzia aveva portato ordine e sicurezza, allentando le tensioni e pilotando persone da remoto.
L’uomo era, anche quel pomeriggio, composto e tranquillo, seduto ben dritto. Il collo svettava dalla camicia blu scuro. Giocherellava con il tavolo di mogano. Passava le dita sulla superficie liscia e ascoltava Donna, il suo capo di sempre. Lei, forse per il suo ruolo di prima assistente al Segretario federale, era abituata a discorsi lunghi e pomposi. Questi incontri sono quasi sempre fumo negli occhi, si diceva Hope. Tra una sigaretta e l’altra, la donna olandese sulla sessantina raccontava che la nuova operazione aveva a che fare con la “Password Generation”, un termine coniato da Hope stesso per indicare quei giovani che, per primi nella storia dell’umanità, erano cresciuti con apparecchi tecnologici protetti da password digitali.
«Dovrai gestire uno smanettone particolarmente ostinato. Studia tecniche per compiere attacchi informatici. Credimi, è veramente un portento. Ha sviluppato delle tecnologie di tracking che gli sono, diciamo così, state rubate. Insomma sono mezze invenzioni che ci sono servite parecchio. Ma non è solo un hacker e un tracker, è anche un gamer. Un ottimo gamer» spiegava la donna. «Un dipartimento secondario lo ha seguito per mesi. Su un gioco che si chiama Natiosphere+ ha preso decisioni strategiche particolarmente lungimiranti, suggerendo tecniche militari ai nostri funzionari. Ha implementato programmi per gestire emergenze migratorie, crisi energetiche, ma anche missioni militari nell’Artico e in Nord Africa. Abbiamo rilevato gamer perspicaci in precedenza, ma lui è diverso… Non vince soltanto, non sembra neanche voler vincere, in realtà. Sembra passare il suo tempo a capire come siano fatte le cose, come siano stati ideati i giochi, come reagiscano altre persone alle sue decisioni. Ed è sempre tranquillo. Questo è veramente sconvolgente. Il suo battito è sempre costante. Non dà neanche segni di aggressività, mai uno scatto di rabbia… A parte l’Hackathon che ha vinto, non ha mai partecipato a competizioni informatiche, anche se batte i professionisti… Non ha bisogno di ostentare, né cerca follower, non fa di tutto per essere riconosciuto. Anzi. È parte di una minoranza risicata della gioventù britannica, circa lo 0,001%, senza social media. Le nostre tecniche abituali sono inutili. Abbiamo bisogno di te.»
Hope trovò finalmente una venatura nel tavolo di mogano perfettamente lavorato, portando a compimento il suo primo gioco. Passò quindi ai suoi altri due passatempi preferiti durante gli inutili meeting nella pomposa sala riunioni: osservare la scultura di marmo bianco alla fine della stanza e fare una scommessa con se stesso sulla durata dell’incontro. Venti minuti, forse venticinque, se si vuole dilungare in particolari. «Ovvio, dimmi cosa devo fare e lo farò» rispose con finta convinzione.
Donna andò nella piccola cucina a un capo della lunga stanza e ritornò con due bicchieri da vino rosso e una bottiglia senza etichetta. Prima di versare il vino nel bicchiere di Hope, si schiarì la gola per trovare una nota profonda. «Su Natiosphere+ ha ricoperto per qualche mese il ruolo del sindaco di Milano. È lui che ha pensato alla sfilata di moda di tutta la città alla fine del coronavirus. Ti ricordi? Gli abbiamo copiato l’idea e ha funzionato. Ti ricordi? Dove l’abbiamo implementato poi? L’intera popolazione ha sfilato per le strade della propria città. Sfilavano per ricordare che la città era pronta a essere visitata di nuovo. In stile. Si atteggiavano in pubblico con i loro vestiti migliori. È stata una grande trovata di marketing. Ti ricordi? Poi, sempre su Natiosphere+, ha ricoperto per qualche mese il ruolo del ministro degli Interni italiano. Anche lì si è distinto. Ha fatto un patto con le mafie e ha portato le organizzazioni meridionali nella legalità. Così facendo è riuscito a creare in Italia meridionale il nuovo polo del turismo globale. Persone da tutte il mondo sono arrivate in Sicilia e in Calabria per villeggiare in case come quelle dei film di mafia, per mangiare “pasta a prova di Boss”, e per godersi il relax agreste degno di un Padrino. Secondo le nostre simulazioni IE questo dovrebbe funzionare. È una bella trovata di marketing politico, non trovi?»
«Mi chiedo solo perché. La sua idea mi sembra una stupidaggine di difficile implementazione e questa una missione da quattro soldi. Non capisco perché abbiate bisogno di me.»
La donna non rispose, si versò del vino, brindò e aspettò che Hope finisse il suo bicchiere. Gliene versò un secondo, prima di continuare a sottolineare i successi del ragazzo.
È la prima volta che mi fa bere più di un bicchiere, constatò Hope.
«Nel gioco di cui ti dicevo, ha aiutato l’Italia a usare la sua marginalità e la sua neutralità in campo internazionale per fungere da mediatore, ospitando una sorta di corte medievale, un club dell’intellighenzia globale. Ha scelto il Castello di Caccamo per ospitare meeting giornalieri tra delegazioni di governi di tutto il mondo. Diverse simulazioni hanno predetto risultati positivi anche in questo caso. Il ritorno al Medioevo… Poi ha capito per primo, anni fa, come gestire le pandemie influenzali dovute a contatti con animali. Ha semplicemente gestito le diseguaglianze economiche, diminuendole. Ti ricordi? L’anno scorso abbiamo iniziato a utilizzare questa sua strategia a Liverpool. Ti ricordi gli effetti strabilianti? Insomma, è un tipo tosto. E tu sei l’Agente giusto. Inizierai oggi stesso questa operazione. Scadenza: 12 febbraio 2023. Nome in codice: BabyStorm+. Hai domande? Dubbi?»
«Tutto chiaro.»
«Ah, un’ultima cosa: lui sarà la tua ultima operazione.»
«Un ragazzino sarebbe la mia ultima missione? Mi sembra un po’ surreale» rispose Hope, sorridendo e trattenendo qualche smorfia nervosa.
Com’è possibile? Mi sta prendendo in giro? Come se avessero messo Steve Jobs a sistemare un bug di un software qualunque come suo ultimo incarico. Cantonata.
«Ipotizzando anche che sia un genio, e lo dubito, perché lui? Ci sono molti ragazzini capaci come lui di immaginare realtà parallele.»
Donna sorrise delicatamente alla domanda giusta del suo pupillo, si alzò di scatto e aprì lentamente la porta. Aspettò che lui si alzasse e la seguisse, prima di rivolgergli parola. «Parliamo domani, va bene?»
«Certo. Rimango a disposizione» rispose Hope, confuso, ma comunque pronto a iniziare l’operazione. Alla fine della fiera era pur sempre Hope.
Ventiquattro minuti e cinquanta secondi, si disse controllando l’orologio fuori dalla porta di Donna. L’appuntamento era durato molto, ma il messaggio era piuttosto semplice: aveva appena iniziato la sua ultima missione. Mi vogliono cacciare? Mi vogliono promuovere? Hope sapeva bene le ripercussioni delle ultime missioni.
Arrivò a casa poco dopo. Come prima cosa accese le sue tre lampade notaio, guardando le pareti dell’appartamento colorarsi di verde. Iniziamo a lavorare. Si avvicinò alla consolle e iniziò a litigarci. Come cavolo funziona questa cosa? È un’assurdità. Non funziona. È un’inutile perdita di tempo, stava dicendo tra sé e sé quando la consolle si accese come per magia. Doveva soltanto schiacciare il pulsante giusto.
Quella notte l’Agente Hope lavorò con colleghi che gli diedero istruzioni su come comunicare con Ted. Pulsanti, sequenze di pulsanti. Bevendo un tè di bacche di caffè, la sua bevanda preferita che lui stesso aveva contribuito a inventare usando gli scarti della lavorazione dei chicchi, Hope giocò con il giovane italo-britannico per ore. Nel suo primo messaggio, tra un round e l’altro di Bomberman, Ted gli chiese se avesse veramente fumato, come suggerito dal suo nickname. Hope non rispose e continuò a giocare. Non riusciva a capire come il ragazzino si riuscisse a muovere così velocemente. In chat non pubblica mai un messaggio sopra le righe, frasi incisive e ironiche. Non fa trapelare le sue emozioni. Sembra che non ne abbia. Interessante. Istinto digitale, pensò dopo la prima sessione, prendendo il taccuino blu pavone e la sua penna tedesca per lavorare al suo nuovo codice. Doveva ora decifrare la comunicazione online:
allucinante, non ti capisco, non so cosa dire: «AMAZING!/AMAZING!!/LOL!»;
sfigato: «N00B»;
non troppo scemo, intravedo tracce di neuroni ancora funzionanti: «GENIO/GENIUS»;
bella giocata: «GG»;
eccitante: «FTW»;
spero di non incontrarti mai più: «BUONA NOTTE!!».
Usano sempre dei punti esclamativi per simulare interesse. Interesse che non c’è. Interessante! Sì, è interessante.
Capitolo 1.C
13/10/2022
L’anti-agente Alex si spazzolava i denti assorto nei suoi pensieri confusi. Ho visto troppe espressioni scoraggiate ieri, troppe persone senza alcun interesse per gli altri. Devo fermare questa dilagante mancanza di empatia. Andrò a fischiettare per le strade. Devo ricordare alle persone che non sono sole, che possono fare qualcosa contro le loro solitudini e possono reagire davanti alla loro sovreccitazione digitale, si disse guardandosi nello specchio macchiato di calcare. I suoi occhi azzurro pallido sembravano più accesi del solito, il suo mento più tagliente. Chiaro, somaro. Sono giorni che non mi concedo un’abbuffata. Sono settimane che non bevo e che non mangio cioccolata, mentì l’uomo, indossando un poncho sformato per prepararsi a un’altra giornata di attivismo per le strade di Londra.
Alex prese il treno per Victoria. Non senza sforzo salì le scale della metropolitana e arrivò all’incrocio tra Oxford Street e Regent Street nel primo pomeriggio, già mezzo sudato. Srotolò il cartellone e rimase fermo. “No selfies, no selfish.”
Per dieci minuti buoni i passanti lo evitarono o gli risero in faccia. È solo perché son grasso, brutto gradasso? Quando smise di pioggerellare, però, diverse persone non nascosero interesse nei suoi confronti. Alcune gli fecero domande o lo abbracciarono. Altre, invece, gli chiesero di fare un selfie insieme. Ti concedo pure con piacere una fotografia, ma non stai mica capendo la performance mia. Un adolescente brufoloso gli portò una tazza di caffè; una donna tracagnotta un sacchetto pieno di mandorle. Brava ignara. Essere grasso, come essere povero, non è per niente uno spasso, è una vera e propria ferita che ti cambia per la vita, si disse, masticando rumorosamente. Gli succedeva spesso di ricevere in regalo qualcosa da mangiare. Essere frainteso a volte è tempo ben speso.
Alex tornò nel suo appartamento ammuffito in tarda serata. Si preparò una zuppa leggera e si massaggiò le maniglie dell’amore con la sua Bacchetta Magica, il suo vibratore in silicone color porpora che usava come massaggiatore portatile. Dolorante, si mise a letto. Non c’è magia che tenga: una password non può essere un po’ giusta o un po’ sbagliata. Giusto o sbagliato. Mannaggia. È una religione digitale. È un mondo binario e banale… Gli errori delle persone saranno rintracciabili per l’eternità. I loro fallimenti sopravvivranno. Che atrocità, pensò, cercando rifugio nei cuscini troppo piccoli per coprire la sua faccia paffuta. Si girò e rigirò sotto il piumone, cercando inutilmente di addormentarsi. Meglio fare altri, altri e altri cartelloni, piuttosto che pensare a tali preoccupazioni, decise alla fine.
Se digitare era diventato sinonimo di scrivere e i post erano ormai considerati delle dichiarazioni, i messaggi del ciccione rimanevano sempre estremamente fisici, materiali e pratici. Solo così, quando non prendeva sonno, riusciva a sfogare l’ansia che gli chiudeva lo stomaco. “La vanità e il potere sono reazioni alla solitudine e al fallimento” disegnò con un pennarello su un copriletto giallo consunto. “Flirtiamo con filtri digitali” scrisse su una vecchia maglietta, abbastanza tranquillo per mangiare qualche mandorla. Una ancora, solo un’altra ancora, continuò a ripetersi, senza togliere la mano dalla busta di drupe. Aveva ripreso a respirare normalmente e il suo stomaco aveva ripreso a funzionare alla grande. Sono pronto a dormire, sono pronto per digerire.
Fu travolto però, tutta notte, da alcuni sogni sui dispositivi digitali usati dall’Agenzia per il controllo dei movimenti e delle condizioni fisiologiche della popolazione. Quegli strumenti di tracking (e hacking) erano stati legittimati dalle emergenze sanitarie. Internet è stato inventato come strumento di guerra, ma nessuno se ne cura più in Inghilterra, si diceva Alex tra un attacco di tosse, un respiro affannato e un incubo.
Silvia Monni (proprietario verificato)
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