La pioggia batteva leggera contro i vetri dell’ufficio di Marco Ferri, creando un ritmo costante, che sembrava fondersi con i suoi pensieri. Da quel vetro, Milano sembrava una città viva, brulicante di gente che correva da una parte all’altra, affamata di successo.
Proprio come lui, un tempo. Seduto sulla poltrona di pelle nera, Marco fissava lo schermo del computer, senza realmente vederlo. Le dita sospese sulla tastiera come se aspettassero un comando che non arrivava. Da mesi ormai MindFlow, la sua creazione, era diventata una macchina perfetta, uno strumento di produttività usato da milioni di persone. Il successo che aveva sempre sognato era finalmente suo, eppure…
Quel vuoto si era insinuato in lui lentamente, come un’ombra che cresce a ogni traguardo raggiunto.
Ogni volta che aggiungeva una nuova funzionalità a MindFlow o firmava un contratto con nuovi investitori, l’euforia che provava si spegneva rapidamente subito dopo, lasciando il posto a un senso di insoddisfazione profonda. Non c’era più eccitazione, solo una stanchezza che si accumulava nei muscoli e nella mente, una sensazione di essere intrappolato in una corsa senza fine.
Marco si sentì mancare il respiro. Il cuore gli batteva forte nel petto, come se stesse per uscire fuori.
Ogni battito sembrava scandire una domanda che non riusciva a togliersi dalla testa: Perché mi sento così?
Aveva tutto: una villa lussuosa, una carriera brillante, una compagna invidiata da tutti.
Eppure il senso di vuoto lo avvolgeva come un’ombra sempre più soffocante. Si appoggiò al tavolo, cercando di concentrarsi su un punto fisso nella stanza. Niente sembrava reale. Era come se tutto ciò che aveva costruito negli ultimi dieci anni si stesse sgretolando sotto i suoi piedi.
La verità era che da settimane Marco si sentiva come un estraneo nella sua stessa vita. Ogni conquista, ogni contratto firmato, ogni nuova funzione di MindFlow lo riempiva di un entusiasmo effimero, che si spegneva poco dopo, come una candela che si consuma troppo velocemente.
La corsa al successo sembrava non avere fine, eppure la meta si allontanava sempre più, come un miraggio in un deserto senza confini.
“È tutto qui?” si chiedeva spesso, quasi ossessionato da quella domanda. La sentiva risuonare dentro di sé nei momenti più inaspettati: mentre pranzava da solo, mentre rientrava a casa tardi la sera, o persino quando si guardava allo specchio, incapace di riconoscere l’uomo che vedeva riflesso. Non era stato per questo che aveva sacrificato tutto, i rapporti personali, il tempo, perfino la sua salute?
Ogni mattina, il semplice atto di alzarsi dal letto sembrava un’impresa titanica: le gambe pesanti, la mente annebbiata. Anche la luce del giorno sembrava troppo intensa, come se volesse rivelare verità che Marco non era ancora pronto a vedere. I battiti del suo cuore erano diventati costanti promemoria di una tensione latente, un’ansia che non riusciva più a ignorare. Aveva perso il contatto con il suo corpo, come se fosse diventato un automa che eseguiva gesti e decisioni senza più sentirsi realmente vivo.
La sua mente lo riportò a un giorno di alcune settimane prima, il giorno in cui tutto era cambiato. Si trovava a un incontro
Nel bel mezzo della riunione, mentre gli altri discutevano di cifre e strategie future, un improvviso senso di oppressione gli schiacciò il petto, facendogli perdere il filo della conversazione.
Sentiva il respiro farsi più corto, come se l’aria nella stanza fosse diventata troppo densa da inspirare. Il suo cuore batteva all’impazzata e ogni colpo sembrava minacciarlo da dentro. Le pareti della stanza si chiudevano intorno a lui, opprimenti, mentre il suo mondo interiore crollava come un castello di carte. Sentendo il bisogno di aria lasciò la sala riunioni e, con passi incerti, raggiunse il cortile esterno.
Aveva lasciato la riunione con una scusa maldestra, il sudore che gli rigava la fronte e le mani che tremavano. L’attacco di panico lo aveva travolto, paralizzandolo mentre cercava di afferrare disperatamente l’aria. Si era appoggiato a un albero nel cortile dell’azienda, come se fosse l’unica cosa solida a cui aggrapparsi in quel momento. Il suo corpo vibrava di tensione, i muscoli rigidi, incapace di calmarsi. Il mondo gli sembrava troppo grande, troppo veloce, troppo lontano da lui.
In quel momento, aveva capito che stava perdendo il controllo della sua vita. Non poteva più continuare così.
“Tu devi lavorare sodo, Marco!” Gli aveva sempre detto suo padre, un uomo di poche parole ma dalle aspettative chiare.
Era una delle poche frasi che gli erano rimaste impresse, pronunciata con la severità di chi non lascia spazio al fallimento. Da bambino Marco ammirava quell’uomo austero che, con le mani callose e gli occhi spenti dal lavoro, aveva sempre ottenuto tutto ciò che desiderava. Ma ora, guardando la sua immagine riflessa nello specchio, Marco si chiese se quel modello di successo fosse davvero ciò che voleva. Il peso delle aspettative si faceva sentire ancora, anche se il padre non era più lì a giudicarlo.
La sensazione di smarrimento lo accompagnava ovunque andasse, più cercava di ignorarla e più essa cresceva, come un grido soffocato che si faceva sentire nei momenti di silenzio.
Come poteva continuare a vivere così? Ogni successo sembrava insignificante, ogni giornata un’altra battaglia contro quel senso di inutilità. Si era chiesto se fosse questo ciò che significava “vincere” nella vita.
Mentre questi pensieri lo travolgevano il telefono di Marco vibrò, spezzando il silenzio. Il suono della notifica sembrava risuonare più forte del solito, come un colpo che rompeva un equilibrio precario.
Era una notifica inaspettata. Sullo schermo una domanda, breve ed enigmatica, lo colpì come una lama affilata: “È tutto qui?”
Il suo cuore perse un colpo. Non c’era alcun mittente visibile. Il messaggio sembrava apparso dal nulla, quasi fosse un segnale, un avvertimento.
Marco si sentì travolto da una serie di emozioni confuse: paura, curiosità, ma soprattutto, un profondo senso di riconoscimento. Quella domanda, che lo aveva tormentato a lungo, ora si trovava di fronte a lui in forma scritta. Era come se il mondo gli stesse finalmente rispondendo.
Ma chi poteva averla mandata?
Si alzò di scatto, gettando uno sguardo al cielo grigio sopra Milano. La pioggia continuava a cadere incessante, ma non era solo il tempo a premergli addosso. Era una sensazione di vuoto crescente, come se qualcosa stesse per accadere, qualcosa che avrebbe cambiato tutto. Si guardò intorno, cercando un luogo dove poter respirare. Decise di allontanarsi ancora di più, uscendo dall’azienda per cercare un po’ di quiete. Aveva bisogno di una pausa, di respirare aria fresca, di cercare risposte, qualunque esse fossero.
Attraversò il ponte sul fiume che scorreva vicino all’azienda, sentendo che ogni passo lo portava verso una transizione. Ogni goccia di pioggia sembrava scandire il ritmo dei suoi pensieri, come un metronomo impietoso.
Il rumore dell’acqua che scorreva veloce sotto di lui accompagnava i suoi pensieri più cupi. Cosa significava quel messaggio? Perché adesso?
Una volta giunto dall’altra parte del ponte, decise di camminare senza una meta precisa. Dopo pochi minuti, si trovò in un piccolo parco, l’unico posto dove si sentiva ancora in grado di riflettere… Fu allora che la vide.
Seduta su una panchina c’era una donna vestita di nero, con lunghi capelli che ondeggiavano nel vento. I suoi occhi sembravano fissarlo, come se lo aspettasse da tempo. Senza sapere esattamente perché, Marco si avvicinò, attratto da qualcosa che non riusciva a spiegare.
E lì, in quel parco, iniziò il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
La Vita Perfetta
Ogni mattina, la villa moderna di Marco, immersa nella periferia di Milano, lo accoglieva fredda e distante, come uno spettatore muto della sua vita.
Le ampie finestre della camera da letto offrivano una vista mozzafiato sulla città e la luce del mattino filtrava delicatamente attraverso le tende bianche, illuminando il pavimento in marmo lucido.
La villa moderna di Marco, con i suoi mobili di design e dettagli studiati, rappresentava il suo successo esteriore.
Tutto era perfettamente organizzato, un riflesso della vita che aveva sempre desiderato.
Accanto a lui, Laura dormiva.
Sei anni insieme… Sei anni in cui tutto sembrava perfetto. Eppure ora anche il suo respiro sereno sembrava lontano, come se un velo li separasse. Un tempo la loro relazione era stata il fulcro di tutto. Ricordava i primi appuntamenti… i gesti di Laura, ogni parola, ogni sorriso.
Sembravano incantesimi lanciati su di lui, in un mondo fatto di magia. Le risate condivise, i weekend spensierati al lago, le cene a lume di candela in piccoli ristoranti nascosti tra le strade di Milano.
Quei momenti sembravano ora così lontani, come se appartenessero a un’altra vita. Ormai, ogni mattina si svegliava con un senso di distacco crescente.
Laura era ormai distante, immersa nel suo mondo patinato.
I loro dialoghi si erano ridotti a scambi superficiali e la passione, che un tempo li legava, si era trasformata in una routine vuota.
In passato erano stati inseparabili. Marco ricordava in particolare una sera in cui, dopo una lunga settimana di lavoro, avevano deciso di rifugiarsi in uno dei loro ristoranti preferiti, nascosto tra le vie strette di Milano.
Era uno di quei posti che solo pochi conoscevano, con tavoli di legno grezzo e luci soffuse che rendevano l’atmosfera intima e accogliente. Seduti uno di fronte all’altra, avevano ordinato una bottiglia di vino rosso e per la prima volta, dopo tanto tempo, si erano concessi il lusso di non parlare di lavoro.
Laura lo guardò, i suoi occhi verdi brillavano.
Parlava dei suoi sogni, di aprire un marchio, di un futuro radioso, ma le sue parole sembravano distanti, come se non parlassero più di loro.
Marco la ascoltava incantato affascinato non solo dalle sue parole, ma dall’entusiasmo che emanava ogni volta che parlava dei loro progetti. Ricordava chiaramente come, in quel momento, aveva preso la sua mano sopra il tavolo, stringendola dolcemente. “Conquisteremo il mondo insieme!” Le aveva detto con un sorriso. In quel momento l’aveva creduto davvero.
La cena si era protratta fino a tarda notte, con risate, sguardi complici e promesse sussurrate tra un bicchiere di vino e l’altro. Ogni cosa, quella sera, sembrava possibile.
Il tempo sembrava essersi fermato, come se il mondo esterno non esistesse più, l’unica cosa che contava era il loro amore, così vibrante e vivo.
Ma ora ogni mattina si svegliava con la consapevolezza che quei sogni erano stati spazzati via dalla corsa al successo.
Le loro cene romantiche erano diventate un lontano ricordo e la passione, che un tempo li legava, si era dissolta come nebbia al sole.
Laura era sempre più assorbita dal suo mondo di influencer e Marco non sapeva più come ritrovare quel legame. Anche le loro conversazioni si erano ridotte a scambi meccanici e privi di sostanza.
Guardandola dormire accanto a lui, sentiva un profondo senso di perdita. Il distacco tra loro probabilmente non era iniziato con il successo di MindFlow, ma era stato solo accelerato da esso.
Dopo la colazione Marco si preparava ad affrontare la giornata, trovando conforto nel suono familiare del motore della sua macchina. Accendere il motore un tempo lo elettrizzava. Ora
quel ruggito, che un tempo lo riempiva di vita, rimbombava vuoto come un eco che si perde nel nulla.
Ogni mattina percorreva quelle stesse strade, identiche, infinite… strade che lo portavano a MindFlow, la sua creazione, il suo orgoglio. Ogni curva però sembrava spingerlo sempre più lontano da sé stesso.
Da giovane imprenditore aveva costruito la sua azienda per rivoluzionare il modo in cui le persone gestivano il tempo, offrendo loro un’app che prometteva efficienza, produttività e successo.
Arrivato in ufficio le giornate si susseguivano sempre uguali: riunioni con gli investitori, decisioni strategiche, nuovi aggiornamenti da implementare. Il team di sviluppatori lo rispettava, nonostante questo, Marco sapeva che anche tra le mura trasparenti della sua azienda c’era una distanza che non riusciva
più a colmare. Le conversazioni erano tecniche, fredde, mirate solo a un obiettivo: fare di più, migliorare, aumentare i profitti.
Ogni tanto, mentre camminava tra le scrivanie dei suoi dipendenti, il ricordo di come tutto fosse iniziato gli tornava in mente. Era giovane, ambizioso e pieno di idee. MindFlow doveva essere qualcosa di rivoluzionario, non solo un altro strumento per fare di più in meno tempo.
Ma ora si rendeva conto che il progetto aveva perso l’anima. L’app aveva avuto successo, sì, ma a quale prezzo?
A quello di sacrificare la sua stessa vita. Le sue giornate erano diventate un susseguirsi di riunioni e decisioni senza alcuna vera soddisfazione.
La sera tornava nella sua villa. Laura era spesso via per qualche evento mondano e quando c’era la distanza tra loro era palpabile. Guardavano la TV in silenzio, scambiando solo poche parole.
Anche le loro cene, un tempo piene di conversazioni appassionate, erano diventate appuntamenti privi di significato, gesti automatici. Marco si chiedeva se fosse questo il prezzo del successo.
Aveva tutto ciò che si supponeva volesse, ma dentro di sé avvertiva un’assenza che non riusciva a spiegare.
Si ricordava di quando MindFlow era solo un’idea, di quanto fosse eccitante immaginare il potenziale dell’app.
Creare qualcosa che potesse migliorare la vita delle persone era stato il suo sogno. Ma ora, invece di migliorare la sua vita, sembrava che MindFlow avesse risucchiato tutta la sua energia, lasciandolo esausto e vuoto.
Capitolo 1
La vita apparentemente perfetta
Milano appariva davanti agli occhi di Marco Ferri come un intricato labirinto di possibilità. Le strade affollate, gli eleganti palazzi e le luci brillanti sembravano riflettere perfettamente la sua vita: impeccabile in apparenza, ma fragile e vuota dentro.
Marco era il fondatore e CEO di MindFlow, un’app tecnologica che aveva cambiato il modo in cui le persone organizzavano le loro giornate.
La sua carriera era il sogno di chiunque: una startup di successo, una macchina di lusso, una villa moderna situata sulle colline fuori città e una rete di contatti influenti…nonostante tutto questo si sentiva intrappolato.
Ogni mattina seguiva la sua routine con precisione maniacale. Sveglia alle 6:00, un’ora in palestra per il suo allenamento quotidiano, alle 7:00 una colazione bilanciata a cui faceva seguito una serie infinita di riunioni e decisioni da prendere.
La sua immagine era perfetta, costruita con cura come una delle sue creazioni digitali: fisico scolpito, abiti su misura, capelli sempre impeccabili.
Ogni giorno che passava Marco si rendeva conto, sempre più chiaramente, che la vita che viveva non gli apparteneva più. Era una vita costruita, una maschera che non riusciva più a indossare.
La vita dei Sogni
Marco ripensava spesso a suo padre, l’uomo tutto d’un pezzo, freddo e distaccato, che sembrava vivere solo per il lavoro. La sua assenza emotiva era una costante durante la sua infanzia e anche se Marco cercava in tutti i modi di ottenere la sua approvazione, nulla sembrava essere mai abbastanza. Suo padre lo osservava con uno sguardo critico, come se ogni successo di Marco fosse solo un’altra tacca da aggiungere alla lunga lista di aspettative non raggiunte.
Dall’altra parte sua madre era sempre stata presente. Una donna affettuosa, ma con una strana tendenza a far sentire Marco come una vittima. Ogni volta che litigavano lei si metteva in mezzo, descrivendo il padre come l’uomo freddo e insensibile, facendolo sembrare un tiranno che non poteva mai essere soddisfatto.
“Non preoccuparti Marco, io sono qui per te!” Diceva.
Marco con il passare del tempo cominciò a rendersi conto che sua madre, inconsapevolmente, lo stava allontanando da suo padre. Era
come se avesse voluto monopolizzare il suo affetto, facendogli credere che solo lei fosse dalla sua parte.
Questa dinamica lo aveva portato a crescere con un profondo senso di inadeguatezza, una paura costante di fallire, non solo come imprenditore, ma come uomo. Quando guardava alla sua vita, alla sua azienda di successo, si chiedeva quanto di tutto questo fosse veramente suo e quanto invece fosse il prodotto delle aspettative che i suoi genitori avevano imposto su di lui.
Marco viveva in una villa che sembrava uscita dalle pagine di una rivista di design. Situata sulle colline appena fuori Milano, la villa era un gioiello architettonico di vetro e cemento, con linee moderne e spazi ampi. Le vetrate a tutta parete offrivano una vista mozzafiato sulla città, specialmente di notte, quando le luci della metropoli scintillavano come un mare di stelle.
Il giardino, perfettamente curato circondava una piscina a sfioro il cui bordo sembrava fondersi con l’orizzonte.
L’interno della villa era altrettanto impressionante: mobili di design, opere d’arte minimaliste appese alle pareti, un sistema di domotica all’avanguardia che gestiva ogni dettaglio della casa con un semplice comando vocale.
La cucina era degna di uno chef stellato, con superfici in marmo bianco e elettrodomestici di ultima generazione.
La camera da letto principale era un rifugio di lusso, con un letto king-size, lenzuola di seta e una terrazza privata dove Marco poteva sorseggiare un caffè guardando l’alba.
Per chiunque quella casa rappresentava l’apice del successo.
“Se avessi una villa così sarei felice!” Avrebbe pensato chiunque avesse posato gli occhi su quella dimora da sogno.
Per Marco quella villa non era più una casa. Era una gabbia dorata, scintillante all’esterno, vuota dentro.
Ogni sera, quando tornava a casa, il silenzio degli spazi così grandi lo avvolgeva come un’ombra, ricordandogli quanto fosse solo.
Nel garage della villa, parcheggiata come un trofeo, c’era la sua macchina sportiva: una Ferrari rossa fiammante, simbolo di velocità, potere e successo.
Ogni curva della carrozzeria era perfetta, ogni dettaglio studiato per impressionare. Quando sfrecciava per le strade di Milano, il rombo del motore attirava gli sguardi di chiunque.
Alla guida sentiva il controllo, la potenza… un’ebbrezza che lo riempiva per un breve istante. Ma appena l’istante svaniva, il vuoto tornava più grande di prima.
“Se avessi una Ferrari, sarei felice!” Avrebbe pensato chiunque lo avesse visto sfrecciare per la città.
Eppure Marco sapeva che non era così. La gioia che provava nel guidare la sua macchina durava solo pochi minuti, il tempo di spegnere il motore e tornare alla realtà. Era come una droga che lo stordiva per un breve istante, ma che non riusciva mai a riempire il vuoto che lo consumava.
La Relazione con Laura
Laura Verdi, sua compagna da ormai sei anni, era il volto più ricercato nel mondo della moda, un’influencer che tutti ammiravano. I lunghi capelli neri come seta e i suoi occhi verdi, così penetranti, catturavano l’attenzione di chiunque la guardasse. Ogni suo gesto era perfezione, ogni foto una rappresentazione impeccabile di bellezza. Le sue collaborazioni con brand di lusso la proiettavano come un’icona irraggiungibile.
Marco però sentiva che quell’immagine perfetta non era altro che una maschera. Sapeva che la loro relazione, una volta vibrante e autentica, si era raffreddata col tempo.
Le parole tra loro erano diventate poche, quasi formali, come se il semplice atto di parlarsi fosse diventato una routine meccanica.
Ogni conversazione era priva di vita, un riflesso del vuoto che cresceva inesorabilmente tra loro.
Laura era sempre in movimento, scivolando da un evento glamour a un set fotografico, passando per cene di gala e incontri con brand internazionali.
Marco invece si era rifugiato nel suo lavoro, usando l’occupazione frenetica come un muro dietro cui nascondere il senso di perdita che cresceva nel loro rapporto.
Mentre la guardava prepararsi per un altro evento mondano, con i capelli che ondeggiavano sotto le sue mani esperte, Marco fu colto da un pensiero tagliente, una verità che non voleva accettare: “Forse non sono mai stato davvero innamorato di lei.
“Le parole risuonavano nella sua mente come un eco in una stanza vuota.”
Forse siamo stati solo due persone che hanno trovato conveniente lo stare insieme!” Rifletté, osservando il modo in cui Laura si guardava allo specchio, persa in se stessa, senza nemmeno notare la sua presenza. Il pensiero lo scosse, ma non lo sorprese.
MindFlow: Il Trionfo del Fare
Nel corso degli anni Marco aveva costruito il suo impero con determinazione e dedizione. Al centro di questo successo c’era MindFlow, la sua creazione più preziosa.
Nato da un’intuizione durante una delle sue notti insonni, MindFlow era diventato molto più di un’app: era diventata una filosofia, un modo di vivere per milioni di persone che volevano ottimizzare ogni minuto della loro giornata.
Marco era ossessionato della produttività, dall’idea di poter ottenere di più, di riuscire a comprimere tempo e sforzi in una formula perfetta. Questo è esattamente ciò che MindFlow prometteva: gestire il tempo per fare di più, in meno tempo.
L’app era nata come un calendario evoluto che permetteva agli utenti di pianificare le loro giornate con precisione millimetrica. MindFlow, non si limitava a organizzare le attività: con le sue funzioni avanzate, promemoria, notifiche, grafici di efficienza misurava e ottimizzava ogni aspetto della produttività.
Ogni minuto veniva tracciato, ogni compito analizzato per garantire il massimo rendimento.
Grazie a questa piattaforma Marco aveva convinto il mondo che ottimizzare il tempo fosse la chiave per raggiungere il massimo potenziale.
“Controlla il tuo tempo e controllerai la tua vita” era il suo slogan preferito, un concetto potente che ripeteva con fermezza durante ogni presentazione a investitori e clienti.
Le sue parole, cariche di ambizione, risuonavano come una promessa di successo a chiunque volesse dominare la propria giornata.
L’impatto di MindFlow sulla vita delle persone era stato fenomenale.
Ogni utente si sentiva come se avesse in mano il potere di gestire non solo il proprio lavoro, ma ogni aspetto della propria vita. Era diventato uno strumento indispensabile per chi, come Marco, cercava la perfezione in ogni dettaglio, per chi voleva essere sempre al top, per chi non poteva permettersi il lusso di rallentare. MindFlow era il regno del fare.
In una delle numerose email ricevute un utente scriveva con entusiasmo: “Grazie a MindFlow, ho finalmente trovato il tempo di completare tre progetti lavorativi in una sola settimana. Non mi sono mai sentito così produttivo!”
Ma c’era una nota di stanchezza tra quelle righe, una sfumatura che Marco riconosceva solo ora.
“Forse era solo un caso. Forse, si disse, chiunque lavori duro e cerchi la perfezione può sentirsi stanco. Non è questo il prezzo del successo?”
Nessuna menzione di momenti di riposo o di gioia. Solo una rincorsa inarrestabile verso l’efficienza. La sensazione di aver sottratto qualcosa di essenziale si fece strada dentro di lui.
Il dubbio latente
Con il passare del tempo iniziò a emergere una sensazione sottile, quasi impercettibile, che Marco faticava a ignorare. Riceveva quotidianamente email di ringraziamento da parte degli utenti.
Le loro parole erano piene di entusiasmo, raccontavano come MindFlow avesse trasformato la loro vita, permettendo loro di gestire ogni momento con estrema efficienza.
Leggendo quelle parole Marco avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso, ma un senso di disagio cominciava a insinuarsi tra le righe.
“Grazie a MindFlow riesco a fare così tante cose in una sola giornata!” Scriveva un manager di un’importante azienda.
“Ora posso pianificare perfettamente ogni minuto, dal lavoro alla palestra e sono molto più produttivo!”
Un altro utente raccontava: “Finalmente riesco a tenere tutto sotto controllo. Ogni compito ha il suo posto, ogni obiettivo viene raggiunto con precisione. Riesco a fare tutto ciò che voglio!”
Dietro quelle parole Marco iniziava a vedere qualcosa che sfuggiva agli stessi utenti. Quel senso di efficienza,
quel “fare di più” era diventato una sorta di gabbia dorata.
Senza accorgersene, quegli stessi utenti sembravano rincorrere una produttività senza fine, un traguardo che non arrivava mai davvero.
Ogni compito completato era seguito da un altro, ogni traguardo raggiunto richiedeva un nuovo obiettivo, un nuovo limite da superare.
Marco rileggeva quelle email cercando di cogliere ciò che non veniva detto. Iniziava a chiedersi se fosse stato cieco di fronte alla realtà.
Cosa c’era di sbagliato? Era davvero così lontano dal suo obiettivo iniziale?
Nessuno di loro parlava di felicità o di soddisfazione. Tutto era incentrato su quanto riuscivano a “fare”, su come sfruttavano ogni minuto al massimo.
Inizialmente pensava fosse solo un caso, ma più messaggi riceveva e più si rendeva conto che il successo di MindFlow era costruito su un modello che forse aveva un costo troppo alto.
All’inizio Marco cercò di respingere quel pensiero dicendosi che ogni grande successo richiede sacrifici, ma le voci di
stanchezza, che affioravano sempre più frequentemente nelle email degli utenti, iniziarono a farsi sentire anche dentro di lui.
“MindFlow ha cambiato la vita di così tante persone!” Continuava a ripetersi quasi per convincere se stesso.
“Non può essere una cosa negativa, nonostante questi segnali!” Ma la sensazione che qualcosa fosse profondamente sbagliato non accennava a svanire.
La disillusione crescente
Le email continuavano ad arrivare e con esse il senso di colpa cresceva silenziosamente.
Marco non poteva ignorare ciò che stava vedendo. Dietro il velo del successo e della produttività c’era qualcosa di oscuro, un vuoto che lui stesso aveva provato e che ora riconosceva nelle vite degli altri. Quegli utenti, ignari, si stavano consumando nella ricerca incessante di efficienza.
Riuscivano a fare tutto, sì, ma a quale prezzo? Una storia in particolare lo colpì.
Un giovane imprenditore scrisse entusiasta che grazie a MindFlow era riuscito a far crescere la sua azienda in tempi record, gestendo ogni dettaglio della sua giornata con precisione militare.
“Non ho più tempo libero, ma non ne ho bisogno. Ora ogni minuto della mia giornata è ottimizzato al massimo!” Aveva scritto quasi con orgoglio.
Marco sentì una fitta allo stomaco. Il giovane non si rendeva conto che stava sacrificando la sua vita per un ideale che forse non valeva quel prezzo. Aveva ottimizzato tutto, certo, ma la sua esistenza era diventata una serie ininterrotta di azioni.
Nessuno di loro si fermava a chiedersi perché lo stesse facendo, o se ne valesse davvero la pena.
La consapevolezza
Marco iniziava a comprendere che non erano solo gli utenti a essere intrappolati in quel ciclo infinito ma anche lui stesso. MindFlow, che era nato come uno strumento per liberare il tempo e per permettere alle persone di vivere meglio, si era trasformato in una macchina che esigeva sempre di più sia da lui che dagli altri.
Le vite che avrebbe dovuto migliorare si stavano consumando in una spirale di produttività senza scopo.
Ora ogni volta che leggeva un’email di ringraziamento la voce del dubbio diventava più forte. Si chiedeva quante di quelle persone fossero davvero felici o se, come lui, stavano solo rincorrendo un successo che non li avrebbe mai soddisfatti.
Nonostante MindFlow continuasse a spingere le persone verso una maggiore efficienza, Marco si rese conto che non stavano vivendo meglio. Fare di più non significava essere più felici.
Incontro con gli investitori
Marco sedeva in una sala riunioni moderna, illuminata dalla luce fredda dei neon che rifletteva sui tavoli di vetro lucido. Di fronte a lui una schiera di investitori osservava con sguardi impassibili, ascoltando attentamente ogni sua parola.
Le slide sullo schermo mostravano grafici di crescita, percentuali in costante aumento e previsioni di profitti record per i mesi successivi. Tutto stava andando secondo i piani. Marco stava vendendo la sua visione, come aveva fatto innumerevoli volte prima.
Esordì con tono sicuro: “Con i nuovi aggiornamenti di MindFlow aumenteremo la produttività degli utenti di un ulteriore 15%, portando loro maggiore efficienza e di conseguenza maggior successo”.
Gli investitori annuirono soddisfatti, scambiandosi sguardi compiaciuti. “Le cifre parlano chiaro: ogni incremento di produttività rappresenta un aumento dei profitti”.
Marco continuava a spiegare le nuove funzionalità, quando all’improvviso qualcosa dentro di lui si incrinò.
Dopo la presentazione rimase seduto da solo nella sala riunioni ormai vuota. Il rumore delle sedie che si spostavano e delle porte che si chiudevano alle sue spalle si era dissolto nel silenzio.
Guardò il grafico delle prestazioni su cui aveva basato il suo discorso, ma questa volta non vide il successo che aveva appena descritto con tanta convinzione.
Vide, invece, un ciclo ininterrotto di fare e rifare, una spirale senza fine in cui aveva intrappolato se stesso e milioni di altre persone.
I numeri non mentivano: MindFlow continuava a crescere, ma ogni nuovo traguardo sembrava allontanare Marco sempre di più dal motivo per cui aveva iniziato tutto questo.
Non poteva più ignorare la crepa sottile che si apriva tra il suo successo e ciò in cui credeva.
Mentre i numeri sullo schermo brillavano, mostrando la crescita inesorabile di MindFlow, Marco sentiva un nodo stringergli lo stomaco. Il suo sguardo si soffermò su quelle linee ascendenti, ma non riusciva più a provare orgoglio.
Ogni picco di successo nascondeva un vuoto che solo lui poteva percepire.
Il Sospetto
MindFlow era nato come uno strumento per aiutare le persone a vivere meglio, a gestire il proprio tempo in modo intelligente, ma ora Marco iniziava a sospettare che fosse diventato qualcos’altro. Qualcosa di più pericoloso.
Era come se, invece di liberare le persone dal caos del mondo moderno, MindFlow le avesse inghiottite in un ciclo senza fine di azioni e obiettivi. Ogni task completato veniva immediatamente sostituito da un altro, ogni successo era solo una scusa per alzare ancora di più l’asticella.
Iniziava a vedere i volti dietro i numeri. Le storie degli utenti di MindFlow erano diventate successi da esibire nelle riunioni, ma quanto successo c’era davvero?
Un’altra email, questa volta inviata con un tono più cupo, raccontava la storia di un uomo che grazie a MindFlow aveva moltiplicato il tempo trascorso in ufficio, sacrificando le cene in famiglia e le serate con gli amici.
“Lavoro fino a tardi ogni giorno, ma non posso fermarmi. MindFlow mi ha reso capace di fare tutto e ora ho paura di deludere chi si aspetta tanto da me. Mi sento intrappolato nella mia stessa efficienza”.
Marco deglutì, sentendo il peso di quelle parole. Non si trattava più solo di numeri: si trattava di vite che si sgretolavano dietro un’apparente perfezione.
Come lui probabilmente anche loro si erano persi.
Ricordava le email di ringraziamento ricevute nei primi anni piene di entusiasmo, persone che dicevano come MindFlow avesse cambiato la loro vita. Ma poi, con il tempo, quelle email avevano iniziato a cambiare tono.
Sempre più spesso si parlava di esaurimento, di burnout.
Molti utenti descrivevano un senso di colpa per non riuscire a essere “abbastanza efficienti”.
Alcuni raccontavano di aver sacrificato le proprie relazioni e la propria salute in nome della produttività.
Marco non poteva evitare di sentirsi complice. Aveva creato uno strumento potente, ma non si era mai chiesto quale fosse il prezzo da pagare per quel tipo di successo. Era stato troppo accecato dalla visione del “fare di più” per vedere cosa stava accadendo davvero e ora, osservando i dati davanti a sé, si rese conto che forse MindFlow non era la soluzione che aveva sempre creduto fosse.
Forse era diventato parte del problema.
Ogni mattina iniziava con l’illusione di poter finalmente trovare una soluzione, ma finiva solo per essere risucchiato di nuovo da riunioni, aggiornamenti e decisioni incessanti. Ogni giorno quel vuoto dentro di lui sembrava crescere come una crepa invisibile che, col passare del tempo, si allargava sempre di più mettendo a nudo tutto ciò che cercava di nascondere.
Non era un vuoto improvviso, ma un silenzioso invasore che aveva preso piede nella sua vita senza che se ne rendesse conto.
In ufficio tutto sembrava perfetto. Le riunioni scorrevano fluide, le strategie venivano elaborate con precisione chirurgica, i numeri erano in costante crescita.
Ogni volta che presentava i dati agli investitori un grafico scintillante mostrava le performance in aumento di MindFlow. Il mondo sembrava applaudire ogni sua mossa. Ma dietro quel sipario Marco si sentiva come un attore su un palcoscenico che stava recitando una parte che non riconosceva più sua.
Seduto alla sua scrivania guardava il flusso incessante di notifiche e richieste sul monitor. Ogni e-mail, ogni messaggio di congratulazioni, ogni nuova opportunità di crescita per MindFlow non faceva altro che aggiungere un peso sempre più grande sul suo cuore. Anche quando era circondato dal suo team, dagli investitori e dai numeri scintillanti, Marco si sentiva solo. Le risposte non arrivavano.
Nessuno, nemmeno lui, sembrava sapere più cosa stessero cercando.
Era come se il mondo esterno vedesse solo il successo mentre lui, dall’interno, sentiva soltanto una crescente mancanza di scopo.
Invece di sentirsi realizzato Marco si trovava intrappolato in un ciclo di attività senza fine.
Ogni successo che raggiungeva sembrava svanire, lasciandolo con una stanchezza che non poteva più ignorare. MindFlow un tempo rappresentava la sua visione di libertà e per questo era fonte di
orgoglio, ora si era trasformato in una rete soffocante e in una macchina inarrestabile. Marco era esausto come se ogni nuova conquista lo svuotasse di più, nutrendosi del suo tempo, della sua energia e della sua vita.
E poi c’era quella domanda. “È tutto qui?”
Ogni giorno Marco si svegliava con una lista di cose da fare, una battaglia incessante contro il tempo che non aveva mai fine.
Guardava lo schermo di MindFlow con il suo incessante flusso di notifiche e si chiedeva quando fosse diventato prigioniero del suo stesso successo. Aveva creato un sistema che prometteva libertà, ma in realtà era diventato una rete che stringeva sempre più forte intorno a lui e agli altri.
“È tutto qui?”
Si chiedeva, mentre le stesse parole rimbalzavano nella sua mente come un eco che non poteva più ignorare.
La domanda lo colpiva nei momenti più inaspettati: mentre si dirigeva verso l’ufficio o durante una riunione Marco si ritrovava a fissare il nulla, come se tutto attorno a lui fosse diventato distante e sfuocato.
Anche la routine più semplice sembrava perdere consistenza.
Il mondo attorno a lui continuava a girare, ma dentro di lui tutto sembrava rallentare. Ogni cosa sembrava finta e priva di sostanza.
L’apparenza del successo non faceva altro che rendere il suo vuoto interiore ancora più evidente.
“Se controlli il tuo tempo, controlli la tua vita”.
Questo era stato il mantra che lo aveva guidato per anni, un’idea che aveva portato alla creazione di MindFlow.
Ma ora si rendeva conto di quanto fosse distante da quella visione. Controllare il tempo? A che prezzo? Più cercava di controllarlo e più si sentiva schiacciato dalla sua inesorabile corsa.
“Fare di più non significa essere di più”. Pensava, ma non riusciva ancora a formulare una soluzione, un’alternativa.
Anche se il suo team di sviluppatori lo rispettava Marco poteva vedere nei loro occhi che la stessa fiamma, che una volta lo aveva guidato, ora era spenta.
Anche loro, un tempo entusiasti, ora erano ingranaggi di una macchina che non potevano più fermare. Le conversazioni in ufficio erano diventate fredde e meccaniche.
Non c’era più passione solo l’ossessivo tentativo di raggiungere nuovi traguardi.
In passato le riunioni erano piene di idee scambi vivaci su come migliorare l’app. Ora si parlava solo di numeri, di percentuali di crescita, di funzioni da implementare.
Una mattina, durante l’ennesima riunione, Marco si fermò. Le parole del capo degli sviluppatori si dissolvevano nell’aria, diventando rumore bianco nella sua mente. Sentì la gola stringersi, come se l’aria nella stanza fosse diventata troppo pesante. Alzò lo sguardo verso la parete di vetro che dava sull’esterno e vide il sole filtrare attraverso le nuvole. La vista di Milano, che un tempo lo ispirava, ora sembrava lontana, quasi irraggiungibile. Quella stessa domanda risuonò nella sua mente: “È tutto qui?”
Era una prigione invisibile quella che aveva costruito attorno a sé. Aveva passato anni a inseguire una visione, a costruire un impero basato sulla produttività, ma ora si chiedeva se tutto questo avesse un vero significato. Aveva perso di vista ciò che contava davvero: la sua vita, le relazioni, la libertà di essere presente nel momento.
Tutto quello che MindFlow gli aveva insegnato era come fare di più, come ottimizzare ogni singolo minuto della giornata, ma
nessuno gli aveva mai spiegato come godersi quei momenti e come vivere davvero.
Ricordò le serate passate con Laura quando MindFlow era solo un’idea nella sua mente, un sogno da realizzare. Allora tutto sembrava possibile. La sua app avrebbe cambiato il mondo, avrebbe migliorato la vita delle persone.
Ora si chiedeva se avesse davvero migliorato qualcosa.
Le storie degli utenti iniziarono a suonare come un eco del suo stesso passato. Lavorava incessantemente guidato dalla visione di un successo perfetto, incapace di fermarsi, come un ingranaggio in una macchina che non poteva più rallentare. Ma il successo che cercava non era mai sufficiente. Il ritmo sempre crescente di MindFlow rispecchiava la sua corsa infinita. Era come se stesse rivivendo la stessa ossessione in migliaia di vite, tutte legate a quel ciclo implacabile di “fare”.
La sua stessa vita era diventata una corsa senza fine e la sua relazione con Laura un’ombra sbiadita di ciò che era stata.
“Quand’ è che ho perso tutto questo?” Si chiese.
La risposta non era immediata, ma Marco sentiva che era lì, sepolta da anni di frenesia e di fare senza sosta. Si alzò dalla sedia sentendo la necessità di fare qualcosa, di cambiare direzione.
Ma dove poteva andare? Chi poteva ascoltare? Il suo stesso successo sembrava essere la sua prigione.
Ogni tentativo di fuga lo riportava indietro più intrappolato di prima e paradossalmente, quella stessa app che avrebbe dovuto semplificare la vita, sembrava consumare la sua.
Giorno dopo giorno Marco si accorgeva di essere sempre più schiavo del tempo, intrappolato in una spirale senza fine di … fare… fare… fare.
C’era sempre una nuova funzionalità da lanciare, una nuova versione da ottimizzare, un nuovo progetto da completare. Più aggiungeva e più sentiva di perdere il controllo.
Non aveva mai dubitato del valore di MindFlow, ma ora per la prima volta, si chiedeva se fosse davvero la soluzione o parte del problema.
Negli ultimi mesi Marco aveva avvertito una crescente disconnessione dalla sua azienda. MindFlow era nata come un progetto per aiutare le persone a trovare un equilibrio, un modo per conciliare le proprie aspirazioni con il tempo limitato a disposizione. Ma con il passare del tempo ogni decisione sembrava dettata dalla necessità di dimostrare qualcosa sia a se stesso che agli altri. Ogni riunione con gli investitori, ogni nuova strategia di marketing, aveva trasformato l’azienda in una macchina che sembrava distante dalla sua visione iniziale.
Si rese conto di quanto fosse legato all’immagine che suo padre aveva di lui. Quella freddezza, quella distanza, avevano sempre avuto un significato per Marco: il successo era l’unica strada per ottenere il rispetto paterno. Così, senza accorgersene, aveva investito ogni energia in MindFlow non per se stesso, ma per dimostrare al padre che il fallimento non era mai stata un’opzione.
L’Attacco di Panico
Fu durante una riunione particolarmente importante con alcuni investitori di MindFlow che Marco sentì per la prima volta qualcosa spezzarsi dentro di lui.
Stava illustrando i nuovi sviluppi dell’app, mostrando come le nuove funzionalità avrebbero aumentato la produttività degli utenti di un ulteriore 20%. Improvvisamente, mentre stava parlando, una sensazione di oppressione gli strinse il petto. Il suo respiro si fece corto e il cuore iniziò a battere furiosamente.
Le parole degli investitori diventarono solo un rumore di fondo, mentre la stanza sembrò chiudersi intorno a lui.
“Sto avendo un infarto?” Pensò, cercando di mantenere la calma.
Si alzò di scatto, il respiro corto, il mondo attorno a lui si deformò come in un sogno distorto.
Il suono delle voci si allontanò, lasciando solo un ronzio nella sua testa. Il pavimento sotto i suoi piedi sembrò ondeggiare e il panico, ormai incontrollabile, lo strinse come una morsa.
“Scusate ho bisogno di un momento!” Riuscì a dire, mentre lasciava la sala con passo veloce.
Uscì fuori dall’ufficio, attraversando i corridoi come in un sogno. Quando raggiunse il cortile si appoggiò a un albero, il respiro affannato, il cuore ancora in gola. Guardò il cielo grigio di Milano
chiedendosi cosa gli stesse succedendo.
“È tutto qui?” Pensò. Questa domanda lo stava tormentato ormai da settimane.
“C’è un prezzo da pagare per inseguire il sogno di una vita perfetta, ma spesso il costo è rinunciare alla parte più autentica di noi stessi.
A volte, quello che crediamo sia il successo, è solo una distrazione da ciò che conta veramente: vivere con intenzione, essere presenti e liberi.”
Capitolo 2
Il segnale inaspettato
Il giorno successivo all’attacco di panico Marco cercò di riprendere il controllo della sua routine, come se nulla fosse accaduto.
Dentro di lui, però, qualcosa era cambiato: una sensazione di ansia che non riusciva a scrollarsi di dosso. Decise di ignorarla, continuando a spingere la sua mente e il suo corpo al limite.
Come ogni mattina, parcheggiò la sua Ferrari davanti all’ufficio e camminò a passo spedito verso l’ingresso. Gli occhi dei passanti seguivano ogni suo movimento: l’uomo di successo, l’imprenditore affermato che tutti volevano diventare. Eppure, mentre varcava la soglia, sentiva che tutto stava crollando dentro di lui.
Una paura più intima e nascosta lo accompagnava: il timore di non essere mai abbastanza. Non era solo il lavoro, sentiva la vita stessa scivolargli tra le dita. La stessa sensazione che provava da bambino, quando sentiva il bisogno di essere perfetto per dimostrare qualcosa anche se non capiva esattamente cosa.
Marco era cresciuto con la costante necessità di compiacere entrambi i genitori. Sua madre, nel tentativo di proteggerlo, gli aveva instillato la paura del fallimento dipingendo il padre come un uomo rigido e distante. Ogni volta che falliva o non raggiungeva un obiettivo sentiva risuonare le sue parole: “Non devi essere come lui. Non devi preoccuparti!”
Questo rapporto complicato lo aveva portato a inseguire una perfezione che svuotava ogni sua conquista di soddisfazione autentica. Da un lato il bisogno costante di successo per guadagnare il rispetto del padre, dall’altro il timore di deludere una madre iperprotettiva. Solo ora iniziava a capire quanto queste dinamiche avessero influenzato ogni sua scelta, rendendo ogni successo un tentativo di colmare un vuoto incolmabile.
Dopo una giornata di riunioni e chiamate con gli investitori Marco si trovò solo nel suo ufficio. Non riusciva a concentrarsi. La pressione aumentava giorno dopo giorno e ogni piccola cosa sembrava fuori controllo. Ogni passo avanti appariva costruito su fondamenta fragili. L’ansia cresceva e, con essa, il suo battito accelerato, riflesso delle sue paure irrisolte.
Decise di uscire per respirare un po’ d’aria fresca. Guidato dall’impulso di allontanarsi, uscì dall’ufficio senza una meta precisa. Camminava a passo veloce, lasciandosi guidare dai suoi pensieri.
Dopo qualche minuto di cammino si trovò su un ponte, senza essersi accorto di esserci arrivato. Si fermò guardando l’acqua scorrere sotto di lui. Il suono del fiume e il movimento costante dell’acqua sembravano riflettere il caos che aveva dentro.
Fu allora che sentì una vibrazione nella tasca della giacca. Marco prese il telefono per controllare l’ora, come faceva spesso, preoccupato di essere in ritardo per qualche impegno. Era sempre immerso nel “fare,” senza concedersi mai il tempo per riflettere.
Ma ciò che vide sullo schermo non fu l’ora. Fu un messaggio che gli fece gelare il sangue.
“È tutto qui?”
Quel messaggio lo colpì come una fitta, facendogli chiedere se tutto ciò che aveva costruito avesse davvero un senso.
Senza rendersene conto i suoi piedi lo portarono dall’altra parte del ponte, in un piccolo parco che non aveva mai notato prima. Fu lì che la vide.
Seduta su una panchina una donna vestita completamente di nero, con lunghi capelli che ondeggiavano al vento. I suoi occhi sembravano penetrarlo, come se lo stesse aspettando. C’era qualcosa di magnetico in lei, una calma che contrastava con la tempesta che Marco aveva dentro. Senza sapere esattamente perché, si avvicinò.
L’Incontro con la Maga
“Ti aspettavo!” Disse la donna, con una voce che sembrava vibrare nell’aria. “Sai perché sei qui!”
Marco sentì un brivido lungo la schiena. La donna lo fissava come se sapesse più di quanto volesse rivelare.
“Cosa vuole da me?” Il pensiero rimbombava nella sua testa, ma le parole si persero prima di raggiungere le sue labbra.
Il silenzio tra loro era più assordante di qualsiasi risposta.
La donna lo fissò per un momento, poi inclinò leggermente la testa.
“Cos’è Kairos?” Domandò, come se stesse pronunciando una parola antica e carica di significato.
“Lo hai già sentito, vero?”
Marco annuì lentamente. La parola rimbombava nella sua mente, ma non riusciva a decifrarla del tutto.
“Sì, ma… cosa significa davvero?” Chiese.
La donna lo guardò con un sorriso enigmatico poi, senza dire altro, spostò una mano verso un piccolo tavolino di legno davanti a lei, coperto da un panno scuro. Sul tavolino giacevano oggetti che sembravano antichi, ciascuno con un’aura di mistero. Il tavolino, come l’incontro stesso, sembrava un’illusione, parte del velo sottile che separava la realtà dal simbolico. Marco si chiese se, una volta terminata la loro conversazione, quel tavolino sarebbe sparito nel nulla, insieme ai segreti che custodiva.
Con movimenti fluidi, la donna aprì una piccola borsa di pelle che teneva sulle ginocchia e tirò fuori un mazzo di carte.
Le carte erano più grandi di quelle comuni, con bordi dorati e disegni intricati fatti a mano.
Ogni carta sembrava raccontare una storia, una verità nascosta. Marco osservava con attenzione cercando di capire cosa stesse per accadere.
Con movimenti fluidi la donna mescolò le carte e ne estrasse una porgendola a Marco… era la carta del Matto.
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