Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

La favola dell’aviatore

Copia di 740x420 (44)
6%
188 copie
all´obiettivo
72
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Ottobre 2025
Bozze disponibili

Hugò Villa è un sarto ed aviatore francese che ha combattuto in guerra; durante un sorvolo del deserto il suo aereo ha un guasto ed è costretto a paracadutarsi.
Nel tempo che trascorrerà nel deserto insieme alle popolazioni nomadi Hugò, ritornando alla civiltà, ripercorrerà i traumi, le bugie ed i momenti di una vita intera cercando, una volta uscito dal deserto, a rimediare ai suoi errori ed alle sue mancanze.

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo libro perché, nonostante la distanza tra il nostro tempo e quello del racconto, il messaggio rimane attuale e la storia creata attorno ad esso aggiunge un nuovo punto di vista da cui guardarlo meglio.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Premessa:

“Vorrei darvi un’introduzione degna di un poema; degna di un romanzo o di un qualcosa di più.

Vorrei poter trasmettere già da questa prima pagina sensazioni e sentimenti, ma per le cose belle a volte bisogna saper attendere un po’.

Questo non sarà e non vuole essere un poema di gloria, ma merita lo stesso di essere ascoltato; quindi vi prego, spogliatevi di ogni pregiudizio ed aspettativa, mettetevi comodi e lasciate che vi racconti la storia di Hugo Villa: La favola dell’aviatore.”

  Piccola precisazione: molti sbagliano a pronunciare il nome del mio caro amico pronunciandolo rudemente alla maniera prussiana; in realtà non è uno di quei nomi che si legge come si scrive, perché viene detto con la pronuncia francese, accentando quindi la vocale finale, non è quindi propriamente Hugo, ma “Hugò”. –

Continua a leggere

Continua a leggere

Introduzione:

Il piccolo biplano arancione sorvolava alla sua velocità di crociera il Marocco.

Quello stesso aereo che Hugo aveva ricevuto in regalo da un suo amico dopo che lui lo aveva acquistato in seguito alla fine della Grande Guerra.

Sotto alla vernice rosso aragosta con cui era ricoperta la tela il piccolo biplano rimaneva verde acqua con gli stemmi francesi ed il vecchio numero di matricola, ma oramai erano passati quasi quattro anni e quello era solo più un ricordo; un lontano ricordo.

A stento faccio fatica a farlo risalire a galla: Ni3752; se non erro scritto in nero ed in corsivo.

Proprio sopra il deserto il velivolo iniziò a perdere potenza.

Il motore rotativo iniziava a perdere qualche colpo, con una botta sul serbatoio sembrò andare meglio, anche se per poco.

Non sembrava essere un problema dei tubi o delle parti elettriche, quando aveva controllato a terra era tutto a posto, anche se il piccolo biplano mangiava parecchio olio non sembrava essere un problema di lubrificazione.

L’elica di legno iniziava a ronzare a singhiozzi, rimaneva solo più una possibile spiegazione.

Picchiettò col dito sull’indicatore del carburante, ogni volta che toccava l’indicatore la lancetta che segnava il livello scendeva sempre più, era agghiacciante, dal pieno rimanevano poco meno di dieci litri di carburante.

Senza la mitragliatrice il biplano consumava meno, ma dieci litri non erano sufficienti per tornare in dietro.

Il terreno era pieno di pietre e in un atterraggio il Nieuport alleggerito dall’assenza del carburante si sarebbe ribaltato in maniera pericolosa.

Rimaneva un’unica opzione: prese lo zaino e lo legò saldamente alla fusoliera, l’avrebbe ripreso in seguito, ed indossò il paracadute; prima di lanciarsi gli diede un ultimo saluto:

“Mi dispiace, aspettami, tornerò e ti farò riportare indietro, abbi cura di te.”

L’aereo aveva finito il carburante ed il motore si era spento, allora Hugo si lanciò.

Mentre l’aereo toccava da solo terra con i comandi bloccati, sbatacchiando a destra e sinistra e fermandosi contro le sterpaglie il paracadute veniva spinto via lontano dagli alisei, a chilometri e chilometri di distanza, nel nulla del deserto roccioso.

Il grande paracadute bianco volteggiava nel cielo spinto lontano dai venti prima di impigliarsi in una delle rocce rosse sul bordo di un piccolo strapiombo.

Dallo strapiombo si vedeva tramontare il sole arancio sul grande deserto di rocce grigie, allora Hugo slegò dalla cintura la borraccia in metallo piena d’acqua, ne bevve un po’ e si mise a pensare che cosa fare.

Aveva un po’ d’acqua nella borraccia, aveva mezzo panino in una delle tasche, aveva un coltello per tagliare le cinghie del paracadute ed il pendio non era troppo alto, quindi non sarebbe stato pericoloso, “poteva andare peggio” disse tra se e se quasi sorridendo.

Le carte le aveva, doveva capire come giocarle; il paracadute era bello incastrato e la fibbia non si apriva, per tagliare tutte le cinghie ci avrebbe impiegato qualche minuto, ma il sole era già oltre l’orizzonte e non avrebbe avuto tempo di costruirsi un rifugio improvvisato.

Era ben vestito, quindi non avrebbe patito il freddo e non avrebbe dovuto tentare di accendere in fretta un fuoco con la brulla vegetazione; tutto sommato aveva pensato che forse gli conveniva rimanere legato al paracadute fino alla mattina per poi slegarsi, una volta realizzato ciò infilò le mani nelle tasche e si mise a dormire.

I rumori della note lo tormentavano nel sonno, nella sua mente riprendeva vita lo scenario di molti anni prima: la pioggia fuori dalle finestre della villa, la stufa accesa ed il bollitore per il tè pieno d’acqua che fischiava.

La bottiglia sul tavolo, quella bella che lui aveva voluto tenere e dentro cui metteva le profumate rose rosse che aveva piantato.

Il frastuono del temporale copriva le urla, quelle urla che era abituato a sentire da sempre, ma che non si erano mai avvicinate molto al lui bambino.

Quella sera era stato diverso, per un secondo le urla ed il boato dell’acquazzone vennero coperti dal fragore della bottiglia, quella bella, quella con dentro le rose, in frantumi contro il muro.

Fu poi la volta del bollitore di metallo, anch’esso inizialmente indirizzato malamente verso il muro, ma malauguratamente finito contro il bordo della finestra dove lui stava guardando il temporale.

In una minuscola frazione di secondo una miriade di cose accaddero, il bollitore chiuso colpì con violenza nel punto dove l’infisso in legno si incastrava col vetro mandandolo in frantumi.

Nel contempo avendo colpito in parte l’infisso in legno il bollitore non aveva sfondato il vetro ritrovandosi in giardino, ma si era aperto ed il suo contenuto si era riversato su di lui.

Il calore dell’acqua arrivò immediatamente, prima ancora della sensazione di bagnato attraverso i vestiti sulla parte destra del costato.

Tutto quello che ricordava dopo era tutto nero, solo profondo, straziante, atroce dolore.

Cadendo in terra una grossa scheggia di vetro si era piantata nel palmo della mano sinistra, mentre un’altra più piccola sul dorso del pollice.

La prima penetrando nella carne aveva reciso un paio di vasi sanguigni ed un nervo, quindi a volte gli capitava che aprendo la mano arrivasse come un lampo una forte scarica di dolore che lo costringesse a richiuderla.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

Ancora non ci sono recensioni.

Recensisci per primo “La favola dell’aviatore”

Condividi
Tweet
WhatsApp
Adriano Ballasso
Sono nato a Torino, ho sempre apprezzato la natura, sono un ragazzo la cui passione spazia dalla scrittura, alla storia e al mondo della meccanica. Ho studiato come perito agrario e adesso mi ritrovo per la prima volta come scrittore.
Adriano Ballasso on Instagram
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors