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La gabbia di Faraday

La Gabbia di Faraday
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Consegna prevista Dicembre 2023
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Giulia Longobardo (Blu) è un medico di provincia con una vita grigia e un marito con la sola aspirazione di diventare sindaco. Lei, invece, di aspirazioni ne aveva avute tante ma tutte abbandonate lungo la strada. Eugenio Vitale (Jenio) è un ingegnere mancato che si è costruito una carriera brillante in una multinazionale ma ora teme l’imminente riorganizzazione. Alle soglie dei cinquanta si ritrovano in chat dopo che da ragazzi si erano lasciati incompiuti, senza amarsi né odiarsi. Nello spazio angusto della fantasia si sviluppa una vita parallela che sconfina prima nella realtà di un incontro faccia a faccia, trent’anni dopo l’ultimo, e poi in un viaggio a San Francisco. Nel luogo più diametralmente opposto alla loro provincia, dopo giorni vissuti come una coppia vera, una nuova vita sembra davvero a un passo. È il passo più lungo però, quello che scavalcando il pur sempre rassicurante grigiore della vita corrente abbraccerebbe l’ignoto ammaliante di un’opportunità irripetibile.

Perché ho scritto questo libro?

In Ecce Homo, Nietzsche dice che in fin dei conti nessuno può intendere dai libri più di quello ch’egli già sa. E allora, dopo venti libri pubblicati in inglese, io sarei riuscito in italiano a far intendere quel comune rimpianto, uguale a ogni età, di non poter tornare indietro nel tempo e rivivere le situazioni con l’esperienza acquisita nel frattempo? Sarei riuscito a raccontare la lotta fratricida tra la realizzazione di sé e l’ignoto dei sensi e della ragione? Ci ho provato.

ANTEPRIMA NON EDITATA

PROLOGO

Anche quel lunedì mattina, di metà aprile, Blu riuscì a disattivare la sveglia dell’iPhone qualche minuto prima che scattasse la suoneria. Erano le 6:43.

Accanto a lei giaceva un corpo inerte sul quale i primi raggi del sole piovevano baldanzosi come le lame di un lanciatore di coltelli. Un inatteso rigurgito di tenerezza le deformò le labbra in un sorriso di circostanza. Si girò e rigirò nel letto fin quando la fame di caffè non divenne insopportabile. Si alzò, fece pipì e si bagnò il viso. Poi andò in cucina, preparò la moka e accese la TV.

Poi alzò le tapparelle e luce fu.

Era così cominciata ufficialmente la settimana dopo la quale la sua vita non sarebbe stata più come prima.

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La favolosa Las Vegas

Jenio non aveva mai fatto la tratta Roma-Las Vegas via Londra e se ne chiedeva la ragione seduto in fondo alla navetta del parcheggio che arrancava lungo la rampa delle partenze. Evitando la costa orientale degli Stati Uniti avrebbe avuto uno sconto di tre ore sul totale con un tempo alla frontiera che a Las Vegas sarebbe stato ben più breve che a New York o Atlanta.

Non era la sua prima volta a Las Vegas.

La prima notte a meno nove di fuso orario la sveglia del corpo non gli suonava mai oltre le 2:30 di mattina. Non ne aveva mai fatto un problema. Si alzava, accendeva il computer e si trovava qualcosa da fare.

Sveglio? Che ore sono laggiù?

In Italia era mattina piena e Blu aveva appena ultimato il giro in corsia decidendo dimissioni e cambiamenti di terapia. Si era a lungo immaginata membro di una qualche unità operativa in un dipartimento di neuroscienze e riabilitazione. Nella realtà, invece, aveva dovuto accontentarsi di un piccolo reparto di chirurgia generale che ogni anno doveva lottare contro carenze di organico e tagli di fondi. Ora era in pausa davanti alla macchinetta del caffè, con due colleghi, in un androne ampio dalle pareti verde chiaro.

Qui sono le tre di notte

E perché non dormi?

Era sempre più irresistibile con quell’aria premurosa da compagna. La stanza di Jenio al sedicesimo piano affacciava sulle ultime propaggini della Strip. Da lì le luci dei taxi gialli erano la scia di una cometa che viene e va ininterrottamente da un punto all’altro dell’eternità. Era l’ora di una doccia calda e poi di una sosta da Starbucks prima della lunga marcia fino al South Convention Center. Era nudo e pronto per entrare nella doccia. Il telefono vibrò. Era Blu.

Sei riuscito a dormire un altro po’?

No, mi sono sforzato di lavorare ma senza costrutto Stavo per fare una doccia

Trent’anni prima lo imbarazzava raccontare ad altri i gesti del quotidiano ed era restio a parlare di ciò che mangiava a pranzo o della posizione in cui dormiva. Adesso, però, era un’altra epoca. 

Sono nudo!

Con il lavoro che faccio, sai quanti ne vedo di uomini nudi! Però sono curiosa…

Risuonò ineluttabile il cicalino della video chiamata WhatsApp e il sipario si alzò. Blu era oltre lo schermo, pronta a entrare nell’universo parallelo dalla porta principale.

Quel che accade a Las Vegas, rimane a Las Vegas.

Blu vide un petto leggermente villoso e ben squadrato, spalle ampie e un accenno di muscolatura ancora soda. La barba incolta era persino un po’ sexy, i capelli corti e brizzolati avevano un po’ di stempiatura ma nessuna traccia di calvizie incipiente. 

«Finalmente ci vediamo!»

«Allora J, che dici? Sono come mi immaginavi?»

Blu era in piedi, in camera da letto, l’iPhone poggiato sul comò. Aveva una tuta nera e una maglietta aderente. Fece un giro su sé stessa come una fotomodella a una sfilata di moda. 

«Che dicevi degli uomini nudi?»

«Che ne vedo così tanti in sala operatoria che non mi fanno più effetto.»

«Certo un uomo anestetizzato con l’attrezzatura a riposo non è un bel vedere.»

«Sei nudo anche nella parte che non vedo?»

«Vuoi che mi alzi?»

«Ora non ho tempo. Se riesci mandami una foto ma una cosa sexy che vedo-non-vedo. Scappo. Un bacio.»

Jenio si mise di profilo in posa davanti allo specchio a parete, plastico come il discobolo di Mirone. La gamba destra lasciava in vista quel che si doveva vedere. Scattò la foto, la inviò su WhatsApp e si ritirò sotto la doccia.

Il resto della giornata fu faticoso come una passeggiata controcorrente nel Lazy River. Stand affollatissimo, connettività scadente e cibo pessimo. Tornò in camera verso le nove di sera. Mollò la borsa sul divano dell’ingresso, andò in bagno e si lasciò avvolgere da una nuvola di grigio. Dal telefono arrivò una notifica. Sulla costa ovest era sera e non poteva essere Rachel Cochran. In Italia era l’alba e non potevano essere Barbara o Eva. Il messaggio appena giunto poteva solo essere di Blu.

Ehi, che fai?
Che ore sono lì?

Sono le nove di sera

Qua le sei di mattina e io sono in cucina e sto facendo il caffè

Alle sette avrebbe dato il cambio ai colleghi della notte e pregato che anche quella in procinto di iniziare fosse una giornata senza incidenti di rilievo.

Stamattina il caffè non viene

Devi farlo eccitare di più!

Scemo

All’interno della moka l’acqua bollente attraversò lo strato di polvere di caffè e sciolse le sostanze aromatiche più solubili. Le particelle più grosse, invece, furono spinte dalla forza dell’acqua attraverso il filtro della caffettiera e un infuso color manto di monaco eiaculò incontenibile dai fori del beccuccio.

Avrebbe voluto entrare nel corpo di Blu dalla bocca del vulcano e scendere avventurosamente verso il centro della terra come Arne Saknussemm. 

Mi vesto, sono ancora in pigiama

Per oltre un quarto d’ora WhatsApp continuò a giurare che Blu fosse online ma da lei non arrivarono altri messaggi. Jenio spense le luci e cadde in un sonno profondo. Non si accorse che nelle viscere dell’Android abbandonato sulla moquette un motorino elettrico fece oscillare una piccola massa producendo un leggero ronzio. Il telefono vibrò ancora ma inosservato. Il messaggio di Blu era una foto scattata alle 6:27. Spalle allo specchio del bagno, leggermente di profilo, indossava solo mutandine scure e un reggiseno slacciato. Le mutandine non erano particolarmente sexy, ma le tette erano proprio come quelle dei ricordi andati.

Per tutta la mattinata seguente non vi furono altri segnali di vita da parte di Blu. Jenio lasciò lo stand a metà pomeriggio con la scusa di un lavoro urgente da sbrigare. In realtà era solo stanco. Percorse a passo cadenzato il corridoio che costeggia l’area spiaggia del Mandalay Bay. Fuori c’erano ventiquattro gradi e in tanti oziavano tra le palme e i bungalow. Erano le quattro, ora di Las Vegas; l’una di notte in Italia. Che stava facendo Blu? Era di turno o era a letto? Blu, invece, era in agguato su WhatsApp.

Ci sei?

Che tempismo! Sei sola?

Sì, Mauro russa da un’ora. Stavo leggendo un articolo nell’attesa che da te fosse pomeriggio

Che genere di articolo?

Chirurgia spinale mini-invasiva

Sembra interessante

Pensa che fino a dieci anni fa un’ernia spinale si operava rasando le sporgenze mentre oggi si fa con micro-incisioni

Ho giusto un po’ di mal di schiena

Vuoi che ti metta le mani addosso?

Mmmmmmm

Blu era in cucina con la sola lucetta della cappa accesa e la caffettiera pronta sul fornello. Dopo la chat mattutina sul caffè che eiacula le era rimasta addosso una patina di eccitazione che nemmeno le battute sulle isotòpe radioattive avevano spazzato via. Genovese su una cosa aveva ragione: Blu era un isotopo instabile le cui radiazioni colpivano a morte i neuroni di Jenio anche a novemila chilometri di distanza.

Dove sei?

In cucina

Ma era stato proprio Jenio a rendere Blu un isotopo instabile e desideroso di decadere. Lei aveva raggiunto un equilibrio con Mauro; non era del tutto felice ma aveva imparato a ignorare il problema.

Mi piacerebbe essere lì con te. Stessa luogo, stesso letto, stessa vita

Un’altra radiazione partì da una cucina di Portolungo e un altro neurone morì incenerito nella stanza semibuia di un hotel di lusso a Las Vegas.

Mi spaventa il diluvio che sarebbe se mai ti abbracciassi e sentissi la tua pelle

Sul fondo dell’Oceano Atlantico un tubo di rame lungo seimila chilometri collega Bilbao e Virginia Beach. All’interno sedici cavi in fibra ottica assicurano comunicazioni telematiche tra Europa e Stati Uniti alla velocità di ventimila gigabyte al secondo. La foto di Blu fu un sussurro di pochi bit.

Ora sono così

Il pigiama aderente disegnava una figura curvilinea e il sedere, morbido come una duna costiera, gettava benzina sul fuoco dell’immaginazione. Senza esitazione, anzi con la spontaneità di un evento naturale, Blu spalancò il sipario.

Mi piace il sedere degli uomini
Fammi vedere il tuo

Senza esitazione, anzi con la spontaneità di un evento naturale, Jenio attivò la fotocamera del telefono. La prima foto venne mossa e sfocata. La seconda e la terza risultarono più nitide ma poco accattivanti. La quarta fu quella giusta. La inviò e WhatsApp confermò all’istante che Blu l’aveva visualizzata. Dopo cinque minuti, però, nessuna risposta. Si domandò se il silenzio di Blu non significasse che la misura era colma e che fosse in fondo ridicolo per un adulto cinquantenne tirar giù le mutande e fotografarsi il culo. Si rimise al portatile piluccando un paio di email da leggere. Ma il telefono tornò inesorabilmente a vibrare. Una foto.

Questo è il mio.

Blu era di spalle, leggermente chinata in avanti col pigiama e le mutandine calate. Non indossava biancheria di pizzo e non sorrideva ammiccante. Non era una foto artistica e non era una foto sexy. Era, invece, una foto intima che diceva: “Sono mezza nuda. E sono mezza nuda per te”. 

Vorrei essere lì e accarezzarti sotto il pigiama

WhatsApp giurava che Blu stava provando a scrivere. Sul telefono di Jenio lo stato sta-scrivendo andava e veniva come la luce in una notte di burrasca. I neuroni di Blu insistevano per continuare il su-e-giù davanti al buco nero; gli ormoni, invece, avrebbero voluto farsi risucchiare all’interno e non uscirne mai più. Nella mente di Blu si consumò una lotta feroce tra ormoni e neuroni ma questa volta vinsero gli ormoni. Seduta in cucina, in pigiama e con la sola lucetta della cappa accesa, Blu lasciò che Jenio portasse a termine il lavoro iniziato poche settimane prima con un tweet casuale come un sassolino lanciato in mare.

(sento-la-pelle-calda)

(sotto-il-reggiseno)

(scendo-giù-il-dito-sull’ombelico)

(la-mano-struscia-sulla-cosina)

(le-dita-sul-bordo-delle-mutandine)

Che poi, in realtà, sono soltanto parole. Però hanno un’anima e smuovono le montagne.

(mi-stai-facendo-eccitare-bastardo)

(sì-le-voglio-sentire-le-tue-dita)

(resta-sulla-mia-bocca-per-sempre)

Che poi, in realtà, non sono nemmeno parole. Sono solo minuscoli frammenti di ittrio e gadolinio che brillano come lettere infuocate sotto il vetro dell’iPhone. Però hanno la forza dei continenti e smuovono la notte dei tempi.

(ti-bacio-lingua-contro-lingua)

(la-mano-sotto-le-mutandine)

(te-le-faccio-leccare-le-dita)

(voglio-vederti-leccare)

Che poi, in realtà, di concreto c’è solo la chimica elementare dell’ossido di indio-stagno che smuove i bit dei messaggi. Sono solo nano-sentimenti teorici. Però hanno carica elettrica e ionizzano le molecole dell’anima.

(le-mie-mani-sotto-la-camicia)

(te-la-tolgo-quella-cazzo-di-camicia)

(tuo-petto-incollato-al-mio)

(corpi-appiccicosi-saliva-odori-sapori)

(lingua-voglio-sentire-la-lingua)

L’iPhone è l’apostrofo di Cyrano: un sottile parallelepipedo rosa tra parole digitali che strisciano bollenti come un fiume di lava. 

Ovunque tu sia

Ti raggiungerò e ti scoperò

Una volta, mille volte, per sempre

È l’ultimo stadio prima della reazione a catena, la verifica della password finale.

(stai-facendo-danni-bastardo)

(ma-se-smetti-ti-uccido)

(vai-fino-in-fondo)

La bomba Zar era un ordigno tremila volte più potente di quelli di Hiroshima e Nagasaki. Esplose quattromila metri sopra il cielo della Nuova Zemlja, ai margini del circolo polare artico. Quando scoppiò nemmeno Andrej Sacharov, capo progetto e futuro premio Nobel per la pace, sapeva con certezza cosa sarebbe accaduto subito dopo.

(quel-che-succede-succede)

(fanculo-tutto)

(scopami)

La bomba Zar esplose il 30 ottobre 1961 alle 11.32 ora di Mosca. L’onda d’urto fece tre volte il giro del mondo. La devastazione fu totale nel raggio di cinquanta chilometri, ma danni importanti furono registrati fino a mille chilometri di distanza.

(voglio-vederti-tremare)

(che-ti-mordi-le-labbra)

(e-poi-venire-dentro-di-te)

In pochi secondi il fungo atomico raggiunse i sessanta chilometri di altezza oltre i confini della mesosfera. Poi non restò che aspettare ciò che sarebbe venuto. La fine del mondo. La terza guerra mondiale. Oppure il disarmo.

(Mmmm)

Nei minuti successivi nulla oltre il mugolio metallico del tempo. Poi la natura riprese il sopravvento. La ionizzazione dell’atmosfera svanì e la palla di fuoco si spense.

Blu sparì da WhatsApp e Jenio fuggì sotto la doccia, getto d’acqua sparato sulla fronte e un orgasmo dalla stessa forza titanica della bomba Zar.

2023-03-22

Aggiornamento

Più di qualcuno mi ha chiesto il perché del titolo, La Gabbia di Faraday. Bene, la gabbia di Faraday è una struttura chiusa fatta di materiale conduttore con una particolare capacità: bloccare i campi elettromagnetici. Il suo inventore, Michael Faraday, nel 1836 osservò che in un corpo conduttore cavo la carica elettrica tendeva a disporsi sulla sola superficie esterna senza alterare lo stato elettrico di un qualsiasi corpo posto al suo interno. Che significa? beh, la gabbia di Faraday è di fatto uno schermo che protegge da scariche elettriche di qualsiasi intensità. Per la cronaca, aerei e automobili ne sono comuni applicazioni. Per i personaggi del romanzo, Blu e Jenio, la gabbia di Faraday è una sorta di comfort zone da cui non pensano di uscire pur non sognando altro che di riuscirci.

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Dino Esposito
Informatico, 58 anni, molisano trapiantato a Roma. Chief Technology Officer di un'azienda sport-tech, a partire dal 1998 ha scritto oltre 20 libri in inglese per sviluppatori software pubblicati da Microsoft Press e O'Reilly e poi tradotti in una decina di lingue (in Italia a suo tempo da Mondadori). Inoltre ha pubblicato un migliaio di articoli tecnici su siti e riviste internazionali e fatto da relatore a centinaia di eventi. Per lungo tempo consulente e trainer ha lavorato in 30 paesi, in Europa, America e Australia. Si è anche occupato di energie rinnovabili e di contenuti web/social in qualità di Digital Strategist.
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