In realtà, l’aria che tira è questa. Non si tratta solo di me, insignificante sottotenente radiotelegrafista in forza della Wehrmacht durante la guerra, oscuro soldatino che, obbedendo a ordini superiori, si è ritrovato ad assolvere incarichi limitati per un tempo limitato presso il campo di concentramento di Sachsenhausen nel 1944.
L’elenco di ferventi nazisti mandati assolti dai nostri tribunali in questi anni è piuttosto lungo e annovera personaggi ben più importanti di me. La nuova Germania deve fare i conti con un futuro da ricostruire, non ha molto tempo da perdere con le vecchie storie del passato.
Fatto sta che ero, finalmente, un uomo libero. E che alla soglia del tribunale c’era mia figlia Hilde ad aspettarmi. Nell’abbracciarmi si limitò a commentare: «Non avevo bisogno di questa sentenza per sapere che eri innocente.»
Ci allontanammo sottobraccio e da quel momento il mio processo sparì per sempre dai nostri argomenti di conversazione. Lei non mi ha chiesto più nulla nemmeno negli anni a venire.
Suppongo che abbia volontariamente scelto di non sapere. E, ovviamente, io l’ho assecondata.
Cara, piccola, Hilde.
Unica superstite della mia famiglia. Salva perché quella notte del 28 luglio 1943 era in campagna a casa di una prozia, mentre mia moglie Christine e mio figlio Andreas bruciavano vivi insieme in quell’apocalittico bombardamento notturno su Amburgo, fantasiosamente e macabramente ribattezzato col nome di Gomorra da Arthur Harris, capo dei Bomber Command anglosassoni.
Tutto il mondo ha cognizione dello spaventoso massacro di Dresda. Ma pochi, fuori dalla Germania, ricordano ciò che accadde quella notte ad Amburgo.
Il bombardamento fu programmato e messo in atto con una minuziosità scientifica atta a creare il massimo possibile della devastazione. Conformemente alle disposizioni di Winston Churchill che aveva raccomandato “maximum use of fire”, ordigni esplosivi di ultima generazione furono impiegati scegliendo come bersagli privilegiati i siti più infiammabili e i quartieri più popolati.
Prima dell’apocalisse, le bombe luminose sganciate dai Pathfinder inquadrarono gli obiettivi prioritari da colpire. Si individuò il centro del bombardamento sulla chiesa di San Nicola, il cuore di Amburgo. Forse si attese addirittura che le condizioni meteo favorissero il massimo divampare degli incendi. Duemilacinquecento tonnellate, fra bombe convenzionali e incendiarie, caddero quasi simultaneamente sui quartieri di Rothenburgsort, Hammerbrook, Borgfelde e Hamm-Sud. Un’immane tempesta di fuoco – Feuersturm – avvolse quasi contemporaneamente l’intera città e dilagò a duecentocinquanta chilometri orari per le strade di Amburgo. Gli stessi piloti inglesi restarono sorpresi dalla potenza di fuoco che erano riusciti a generare.
Per la prima volta, aerei che volavano a cinquemila metri di quota furono investiti dai vortici d’aria prodotti a terra dal Feuersturm, che risalivano verso l’alto a velocità vertiginosa fino a scuotere gli stessi bombardieri.
Quarantamila morti in poco più di mezz’ora. Alcuni arsi vivi, come Christine e Andreas. La maggior parte avvelenata dal monossido di carbonio.
I loro cadaveri ormai irriconoscibili furono ritrovati anche molti mesi dopo negli scantinati dove avevano provato a trovare rifugio. Quarantatré milioni di metri cubi di macerie, il settantaquattro per cento degli edifici distrutti, circa un terzo degli abitanti sopravvissuti sfollati nelle campagne circostanti.
Ecco cosa rimase di Amburgo quella notte.
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