Il ragazzo biondo perse il bagliore argentato, si staccò dalla Fontana dei Melograni e strinse il nuovo venuto in un abbraccio.
«Prova solo a pensare di attaccarmi e sei morto.» sussurrò.
L’altro, ancora ansante per la corsa fatta per raggiungere quel luogo annuì, stringendo nervosamente il flauto di Pan che aveva tra le mani.
Il biondo osservò rapidamente l’oggetto, come per verificare che non fosse un’effettiva minaccia, poi allentò un poco la stretta guardandosi intorno.
Alcuni dipendenti del borgo – museo stavano chiudendo uffici e biglietterie poco distanti dalla fontana, dunque era fondamentale non attirare troppo la loro attenzione.
Il nuovo venuto si lasciò guidare fino al palchetto in pietra antistante la fontana. Una pressione leggera ma decisa sulle sue spalle lo fece sedere.
Il ragazzo con il flauto vide, o forse si trattava della sua immaginazione, che le piante che circondavano il palchetto, in quel momento parevano protendersi minacciosamente verso di lui, mentre il ragazzo biondo, tenendo le braccia conserte, aspettava in piedi che il nuovo venuto parlasse.
«Arrivo di corsa dalla Torre di Moncanino, il Labirinto mi ha portato qui perché ho bisogno di voi.»
«Cervo, da quando vige la regola “Prima parlano e poi li uccidiamo”?» chiese un altro ragazzo, che sembrava essere emerso dalla fontana, sebbene fosse completamente asciutto. Questo nuovo compagno del ragazzo biondo, che a quanto pare si faceva chiamare Cervo, aveva un marcato accento inglese e brillava di una luce argentata agli occhi del ragazzo con il flauto, che si irrigidì quando lo riconobbe. Quando quest’ultimo posò lo sguardo sul nuovo arrivato, ringraziò mentalmente di essere seduto, dal momento che avvertì le gambe indebolirsi. Se lui aveva riconosciuto il ragazzo con i capelli scuri, non sarebbe passato molto tempo prima che…
«Ma io questo lo conosco!» disse infatti il compagno di Cervo. Senza attendere risposta si avvicinò rapidissmo – il flautista avrebbe giurato che avesse percorso gli ultimi metri volando – e lo afferrò per il bavero del giaccone, elegante ma strappato e lacerato in più punti. Di fatto, poco più che uno straccio. «La gente ci guarda, Vento. Torna visibile!» sussurrò Cervo preoccupato.
Con un sospiro, il ragazzo dai capelli scuri, Vento, perse l’alone di luce argentata agli occhi del flautista. «Nessuna reazione? Neanche un minimo di paura?» chiese Vento genuinamente perplesso. Si avvicinò al volto del flautista «Non mi pare abbia l’unguento o qualche altro intruglio che usano loro; gli sono apparso davanti e non ha fatto una piega.»
«Prima ha visto anche me, sebbene fossi invisibile.» spiegò Cervo. «Devono essersi evoluti.»
«A maggior ragione, non è il caso di lasciarne in giro.» concluse drastico Vento aumentando la stretta sul flautista. «Oltretutto questo, qualche mese fa, ci ha massacrati.»
«È lui che ha quasi ucciso Folgore?» chiese Cervo. Il suo sguardo si fece duro e carico d’odio.
«In guerra tutto è lecito. D’altronde, voi state per fare la stessa cosa con me.» replicò il flautista «E stareste per commettere il mio stesso errore.»
«Lasciare in vita un nemico?» chiese Vento con un sorriso tetro.
«Uccidere un alleato.»
«La cosa si fa interessante. Abbiamo un traditore, dunque?»
«Solo uno che ha capito come funzionano le cose. Il guaio è che l’ho capito troppo tardi, ma dovrebbe esserci ancora tempo per rimettere tutto a posto. Fatemi entrare nel vostro regno e…»
Cervo proruppe in una risata.
«Devi essere completamente impazzito. Non posso credere che tu mi stia chiedendo seriamente una cosa simile. Che cosa ti aspetti che ti rispondiamo?»
Il flautista incassò il colpo chinando il capo. Cervo aveva ragione: né lui, né, soprattutto, Vento, avevano motivo di credere alle sue parole.
L’intuizione esplose nella sua mente con la forza di un tuono: non avrebbe usato le parole!
Con un rapido guizzo delle pupille, invocò i suoi poteri per immobilizzare Cervo e Vento, impedendo loro anche di parlare, poi portò alle labbra il flauto di Pan e incominciò a suonare.
La musica colorava e dava forza alle emozioni, mentre queste andavano trasformandosi in luoghi, persone, cose.
La storia di Sebastiano divenne una sinfonia.
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