Non sono fredda, non volutamente quanto meno, ma non posso permettermi di affezionarmi troppo alle persone, sapendo già che il mio rapporto con loro reca impressa una data di scadenza a breve termine. Un po’ più lunga, quando va particolarmente bene.
Se volessimo fare un po’ di psicanalisi spiccia, potremmo dire che il mio comportamento riflette una forma di autoprotezione che mi aiuta a metabolizzare la paura dell’abbandono, ma francamente non mi potrebbe importare di meno delle cause: dato certo ed incontrovertibile è invece l’effetto, cioè il fatto che io abbia pochissimi amici.
Intendiamoci, conosco centinaia, addirittura migliaia di ragazzi e ragazze della mia età, sparsi un po’ per il mondo. Con alcuni di essi era anche nata a suo tempo una bella amicizia, ma il finale è sempre lo stesso: mio padre viene trasferito, qualche lascrima scende inesorabile, tra mille promesse del tipo “ci sentiamo presto”, “organizziamo per le vacanze”, “ti chiamerò tutti i giorni” … poi il tempo passa, le telefonate si diradano, le vacanze non collimano e ci si perde.
Come diceva sempre mia nonna, la strada del paradiso è lastricata di buone intenzioni.
Ora però devo davvero sbrigarmi se non voglio che Camilla ed Agata mi lascino indietro, quindi butto ancora una rapida occhiata allo specchio nell’ingresso di casa e mi chiudo la porta alle spalle.
<<Finalmente, perchè ci hai messo così tanto?>> mi apostrofa petulante Camilla, non appena mi vede spuntare.
<<Scusate, non sapevo cosa mettermi per il primo giorno di scuola e vorrei fare una buona impressione, visto che sarò quella nuova, tanto per cambiare>> rispondo ironicamente, sollevando gli occhi al cielo.
Camilla ed Agata mi scrutano in modo critico: so di essere fortunata, quanto meno sul fronte estetico. Sono di altezza media, un metro e sessantacinque precisi precisi e porto i capelli nero ebano piuttosto lunghi e naturalmente lisci.
A volte detesto il mio aspetto e vorrei quasi essere goffa e sgraziata, per passare inosservata: il ruolo di ultima arrivata mi pone perennemente sotto i riflettori ed essere carina acuisce la sensazione che tutti mi fissino, ovunque io vada.
La peculiarità poi del binomio mora e con gli occhi azzurri mi garantisce una sorta di diritto acquisito nell’essere appellata con l’odioso nomignolo di “Biancaneve”, personaggio che ho sempre trovato insopportabile ed assurdamente mieloso.
Un sorrisetto di Agata mi conferma che la scelta di indossare un paio di jeans leggeri azzurro chiaro ed una semplice maglietta bianca a righe blu, con le mie amate Converse glitterate rosa e argento, è stata azzeccata e ci incamminiamo verso la fermata della metro.
In tasca tengo le mie immancabili cuffiette: sin da piccola, la musica è stata fondamentale per me, che adoro cantare e ballare e ho l’abitudine di definire ogni momento speciale della mia vita con una canzone.
In seguito, ogni volta che riascolto quel brano, riesco a rivivere le sensazioni provate a suo tempo. Purtroppo la stessa cosa accade anche con i momenti tristi, quelli che non vorrei particolarmente rivivere, ma mi consolo pensando a come anche quelli aiutino a crescere.
In men che non si dica, siamo già nei pressi della scuola: sembrava che questo giorno non dovesse arrivare mai – sono qui a Roma ormai da inizio agosto – ma eccomi seduta sugli scalini antistanti l’ingresso del Liceo Scientifico “Leonardo Da Vinci”… viva l’originalità.
Ho ancora diciassette anni, perchè ho anticipato la scuola di un anno e compirò diciotto anni il prossimo 2 di aprile, quindi probabilmente sarò anche la più piccola della classe, oltre che quella nuova.
Nuova e mocciosa, il peggio.
<> sospira Camilla, come se il filo dei nostri pensieri si fosse appena intrecciato. Succede spesso, a volte addirittura una completa la frase iniziata dall’altra. E dire che non ci conosciamo ancora così bene, solo da qualche settimana.
Poco prima dell’estate, mio padre ci aveva comunicato l’ennesimo trasferimento e – per una volta tanto – la notizia aveva fatto ballare mia mamma dalla gioia.
Dopo anni trascorsi in Grecia, Spagna e Francia, mio padre era stato assegnato alla sede italiana di Roma dell’ambasciata americana. Inutile descrivere la felicità di mia madre Margherita al pensiero che sarebbe tornata a vivere non lontana dal suo paese natìo, Ariccia.
In fretta e furia aveva organizzato il trasloco nella nuova città, senza del tutto considerare l’impatto che questo cambiamento avrebbe avuto su di me.
Ed io non avevo avuto cuore di chiederle di restare a Parigi almeno fino a settembre, proprio ora che Vincent mi aveva finalmente invitata ad uscire dopo due anni che gli morivo dietro, senza trovare il coraggio di farmi avanti per prima.
<> mi riscuoto dai miei pensieri e mi accorgo che non ho ascoltato una sola parola di quello che hanno detto Camilla ed Agata negli ultimi cinque minuti.
<> mi rimprovera infatti quest’ultima, in modo bonario e facendomi l’occhiolino.
Mi volto verso di lei per risponderle ma il mio sguardo si sofferma sul ragazzo più carino che io abbia mai visto. Il mio cuore salta un battito.. ok forse anche più di uno e la mia mano si posa inconsciamente sul petto, quasi volesse provare a fermarlo.
E poi i suoi occhi sono su di me e la mia battaglia è persa: lui è in penombra e non ne vedo il colore, ma l’effetto è quello di un raggio laser che mi trapassa e mi annienta.
Camilla capta la direzione del mio sguardo, o forse è il mio aspetto imbambolato a tradirmi e subito si allarma.
<> mi apostrofa infatti.
<> le chiedo io.
<< È l’unico ragazzo dal quale devi stare alla larga Maia, è Tiago Vargas ed è assolutamente off-limits.>>
Non è necessario aggiungere altro: da quando viviamo qui, questo nome è diventato una sorta di spauracchio a casa.
Tiago Vargas rappresenta l’antitesi del tipo di ragazzo che voglio e che mi è permesso frequentare.
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