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La ragazza dagli occhi del cielo

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Consegna prevista Aprile 2024
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Si può essere ancora amiche dopo una separazione di quasi quarant’anni? Isabella e Anna si ritrovano dopo un distacco molto lungo, protagoniste di un’amicizia iniziata da adolescenti. Fa da sfondo una vita di quartiere in una qualsiasi media città di provincia. Il loro legame è più forte che mai sembra una sorellanza. Da adolescente Isabella è affascinata da Anna quasi da esserne succube e trascinata da lei in ogni suo capriccio. Da adulte la situazione si ribalta tanto che Anna diventa quasi dipendente dall’amica. Esperienze di vita differenti si intrecciano in percorsi difficili e particolari. Ed è proprio questa profonda amicizia, che racchiude un misterioso sentimento, che darà vita a nuove storie, parlerà o tacerà secondo gli umori ma resterà sempre viva e pronta all’azione nei momenti di difficoltà. Un finale intenso e inatteso sorprende il lettore dopo un’avvincente ma garbata “passeggiata” nella vita delle due protagoniste: anche quando la storia si tinge di toni più cupi prevale la forza del legame, a ogni costo.

Perché ho scritto questo libro?

La sfera femminile è complessa e a volte difficile da comprendere anche per me. Abbiamo una forza tale da superare ostacoli che al momento possono sembrare insormontabili. Mi sono approcciata alla scrittura in un momento molto particolare della mia vita e ne è uscito un potenziale che non pensavo di avere. Ovviamente amo leggere ma la scrittura non mi era mai appartenuta. Ho il dono, da come mi dicono, di leggere l’anima delle persone e osservando tutto ciò che mi circonda, metto sul foglio le emozioni e le sensazioni che sento mie.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Finalmente Anna mi ha comunicato il giorno dell’appuntamento con il nuovo psichiatra: sarà giovedì prossimo alle ore 18.00. Chissà, penso tra me e me, cosa l’avrà spinta a tentare di rimettersi in gioco: forse le figlie o la lunga storia d’amore con Carlo. Voglio pensare che non faccia tutto questo solo per seguire l’incoraggiamento esterno ma che sia consapevole che esiste la possibilità che, curandosi, possa raggiungere una vita accettabile sebbene impegnativa. Selezionare uno psichiatra non è la stessa cosa che scegliere un bravo dentista: per un mal di denti tutti hanno il loro dottore di fiducia e non esitano a parlarne e a volte a farne argomento di conversazione. “Il male dell’anima”, come molti lo definiscono, sembra invece rimanere ancora nascosto e sicuramente chi ne soffre sebbene disposto a curarlo tende comunque a coprirlo. Del resto, mi sono resa conto che la società vive di luoghi comuni in cui la deviazione da quello che è considerato il canone “normale” è facilmente e sommariamente etichettato come disturbo mentale. Così abbiamo fatto una lunga ricerca prima di individuare questo medico, leggendo curriculum, specializzazioni e sedi di ricevimento. Infine, ho lasciato che fosse Anna a sceglierlo ma naturalmente ho appuntato anch’io i suoi contatti. Con il suo solito atteggiamento apatico, mi ha delegato per fissare l’appuntamento. Ormai conosco i precedenti e so che è molto instabile ma decido di darle fiducia; io l’ho sostenuta anche se sono convinta che impegnarsi in prima persona forse sarebbe servito a responsabilizzarla. L’ho subito rassicurata che sarò al suo fianco.

Continua a leggere

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Quel giovedì chiedo al notaio di poter uscire un po’ prima dal lavoro e lui, che mi considera quasi una figlia, me lo concede senza problemi.

Con Anna ci siamo accordate che sarei passata a prenderla a casa. Entriamo nello studio medico: la sala d’aspetto è in penombra e regna il silenzio. Ci sediamo una accanto all’altra, un po’ tese per le parole scambiate durante il tragitto in macchina:

«Quasi quasi ci ho ripensato; ho già conosciuto tanti medici, mi sono affidata e sono sempre rimasta delusa.»

«Dai, non pensiamoci ora che stiamo iniziando una nuova avventura insieme. Lo so che ti senti scoraggiata ma prova a scrollarti di dosso le passate sconfitte. Abbi un po’ di fiducia.»

«Tanto, per esperienza, posso già immaginare cosa mi dirà.»

«Ma che dici, se mi faccio curare anch’io ci farà lo sconto?» Un lieve sorriso affiora.

Nella sala d’aspetto siamo sole e avverto a pelle l’inquietudine di Anna che non apre bocca. Quando esce il paziente in visita il medico si affaccia sulla porta e ci invita a entrare. Abbiamo concordato di dire che siamo sorelle in modo che io possa assistere alla visita. L’approccio del medico è molto professionale anche se traspare uno stentato tentativo di simpatizzare.

Ci fa entrare e io seguo Anna che mi presenta al medico:

«Lei è mia sorella.»

Mi sorride freddamente senza dire una parola. Non so perché ma ho un po’ di agitazione. Mi siedo accanto ad Anna, in ascolto. La stanza è accogliente: una larga scrivania piena di oggettistica varia sistemata in modo apparentemente disordinato forse per attrarre l’attenzione. Il pc è acceso, un’agenda che sembra destinata per gli appuntamenti e un cellulare.

Ci accomodiamo sulle poltroncine disposte davanti a lui. Anna resta sulla punta della seduta con le gambe accavallate mentre si sfrega nervosamente le mani tremanti e si tocca i capelli come quando era ragazzina. Ogni tanto mi lancia sguardi e sembra cercare un cenno del mio viso come incoraggiamento mentre io le strizzo l’occhiolino. Sembra un’anima in pena a cui serve tanto aiuto. Il medico è pronto a prendere appunti:

Al suo esordio Anna rimane impassibile:

«Allora signora cosa la porta da me?»

Come mi aveva anticipato in macchina, ripercorre sommariamente gli episodi più significativi della sua vita: la malattia della figlia Giulia, la sofferta storia giovanile con Carlo e i suoi contrasti con la madre, la sua difficile adolescenza culminata con l’episodio dell’aborto. Riferisce anche di avere difficoltà a dormire la notte mentre la mattina è molto difficile cominciare la giornata: non ce la fa a prendersi cura di sé e tantomeno della casa. Mi aveva confidato di essere stanca di ripetere sempre le stesse cose, che più ci ripensa e più sta male. Comunque, asseconda il medico e parla liberamente per circa dieci minuti; lui ogni tanto la interrompe chiedendo dettagli e soprattutto notizie sui farmaci che ha assunto nel tempo. Anna gli porge la ricetta della cura attuale dicendo:

«Questa è la mia ultima prescrizione ma, a essere sincera, non la seguo molto. Prendo le medicine saltuariamente solo quando mi ricordo.»

Rifletto su questa risposta data al medico; so per certo perché mi sono ben documentata che una cura di questo genere non deve essere interrotta o tanto meno presa con irregolarità. Forse se negli anni fosse stata più accorta, oggi non si sarebbe sentita così. Ma continuo ad ascoltare senza intromettermi:

«Questo, signora è un grande errore. Se non ha mai tratto beneficio dalle cure è proprio perché non è costante nell’assumere i farmaci. Ascoltando le sue parole mi sembra di capire che lei abbia problemi ad accettare la sua condizione e il fatto di venire aiutata. Per questo mi sento di consigliarle anche qualche seduta di psicoterapia, ma questa è una scelta molto personale.»

Anna ribatte alle osservazioni e ai suggerimenti del medico con decisione, pur dovendo riconoscere che forse in parte ha ragione:

«Ho conosciuto diversi psicologi ma non mi sono mai sentita a mio agio. Non so, forse dipenderà da me, ma ho difficoltà a lasciarmi andare e soprattutto ho poca fiducia in queste terapie.»

«Il mio è solo un consiglio. In ogni caso le prescrivo una nuova cura a base di litio, uno stabilizzatore dell’umore che di solito è efficace. Inoltre, cercherò di farla essere più reattiva e di farla riposare meglio vista la difficoltà che riferisce. È chiaro che per l’assunzione dei farmaci, almeno i primi tempi, dovrà essere affiancata da qualcuno, poi prenderà confidenza con la terapia e potrà essere autonoma.»

A questo punto si rivolge a me:

«Lei signora, visto che è sua sorella, potrebbe esserle di supporto nel farle seguire con costanza la cura?»

Oddio, ora mi coinvolge, vado in ansia ma cerco di mantenere la calma. Devo dire la mia bugia a una persona che di professione scava nelle menti; sono certa che ha già capito che non sono sua sorella e, inaspettatamente, l’esser stata già scoperta allenta la mia tensione. Replico rassegnata:

«Non viviamo insieme ma ci sentiamo ogni giorno. Riferiremo al marito la situazione. Comunque, posso monitorarla a distanza anche se non potrò assistere alla somministrazione dei farmaci.»

Anna reagisce con sospetta prontezza:

«Dottore le posso assicurare che questa volta sono decisa a stare meglio. Farò la cura con precisione con l’aiuto di mia sorella e di mio marito.»

Mi lancia uno sguardo significativo come a chiedere la mia approvazione; il medico lo nota subito e interviene:

«Le devo dare anche un’altra importante informazione: capisco quanto abbia passato, ma noto in lei anche una naturale propensione alla depressione. Per caso avete dei precedenti in famiglia? Ci potrebbe essere una familiarità.»

«In effetti sì.»

Anna riferisce dei suoi familiari di origine e su questo tema appare un po’ meno tranquilla; forse se il medico non avesse accennato alla familiarità sarebbe rimasta più serena. Sentire di essere “predestinata” le causa sicuramente disagio e agitazione. Strana cosa l’ereditarietà: somiglia a una lotteria dove ti possono toccare in sorte occhi stupendi (come i suoi) o un corpo da far girare le teste (come il suo). Ma nell’urna ci possono esser anche bossoli meno ambiti pronti a esser estratti come tutti gli altri.

Il medico le fissa la data per un controllo a distanza di un mese sollecitandola a tenerlo aggiornato ogni settimana sul suo stato psichico.

Usciamo dallo studio piuttosto stremate, lei in realtà più che altro confusa, io fiduciosa sì di iniziare un nuovo cammino insieme, ma al contempo preoccupata perché sono consapevole, grazie alle parole del medico, di trovarmi accanto una persona davvero malata, con una diagnosi e una cura specifiche. Nonostante ciò, mi sento privilegiata di essere parte attiva nella sperata risalita di Anna; dovrò necessariamente confrontarmi con Carlo, al quale lei ha tenuto nascosta la visita per fargli una sorpresa e comunicargli la sua decisione di venir fuori dalla oscura spirale che la avvolge. Mi rendo conto che è molto difficile entrare nell’animo di Anna e farmi spazio tra i tanti fantasmi che la dominano e la spaventano. Arrivo a ringraziarla per la scelta di avermi coinvolto in questa esperienza ma a volte ho come l’impressione che le mie parole siano acqua corrente su di lei che non assorbe niente, sprofondata nel suo buio insondabile.

Il fatto che si sia confidata con me mi fa ben sperare, forse le serviva un’alleata in questa lotta impari che la affligge da anni.

Ci sediamo al tavolino di un bar per un caffè e tiriamo le somme della visita. Io mi sento positiva e sondo la sua opinione:

«Allora, come ti è parso? A me sembra competente e ha mostrato molta attenzione visto che ti vuole monitorare ogni settimana.»

«Che ti dico Isa? All’inizio sono tutti così, ti prescrivono farmaci e ti fanno sentire protetta e ascoltata ma poi, fuori dallo studio, ti ritrovi sempre sola e abbandonata.»

«Ma tu non sei così adesso, ci sono io con te. Dovrai parlarmi di tutte le tue sensazioni, dei dubbi e anche della voglia di lasciar perdere tutto se ti capitasse. Immagino che sia difficile, ma, ti prego, lasciati aiutare. Non ho esperienza ma credo che la condivisione sia il rimedio migliore nei momenti più difficili.»

Riuscirò in questo arduo compito? Non è che mi sto sopravvalutando? Forse mi sono spinta troppo in là: non voglio deluderla, lei si sta aggrappando a me con tutte le forze, ma io sono completamente inesperta. Vorrei chiedere aiuto a Carlo e così le dico:

«Come vuoi fare con Carlo? Penso che dovresti parlarci stasera o quanto prima, non lasciar passare troppo tempo e comunicagli che ti ho accompagnato alla visita. Ne sarà sicuramente contento e poi dagli pure il mio numero per coordinarci ed esserti d’aiuto.»

«Va bene, aspetta una sua chiamata.»

Lei non lo sa ancora, ma con suo marito metterò in chiaro che sarò di supporto senza assolutamente prevaricare il suo ruolo, anzi dobbiamo essere una squadra che va nella stessa direzione. Indago:

«Che pensi di fare con lo psicologo? Qualche seduta potrebbe esserti utile.»

«Basta ora con queste domande e che cazzo! Non ne posso più!»

Rimango interdetta dalla sua violenta reazione. Non avrei pensato di scatenare la sua rabbia. Così non l’ho mai vista: occhi fulminanti che fissano, senza vederla, una vetrina poco distante, bocca serrata, e mani tremanti. Ho veramente paura, sto assistendo a una scena mai vissuta, non so come ricomporla. Resto in silenzio in attesa che si calmi e torni nei suoi panni. Invece si rivolge a me:

«Ma non capisci che sono stata sotto pressione finora? Ti sembra poco fare una visita come quella da cui siamo appena uscite? E con che prospettive poi? Mi ha anche detto che potrei essere predestinata! Tu come ti sentiresti?»

«Anche io sono rimasta impressionata da questa notizia, ma è solo una possibilità. Non fasciamoci la testa prima di romperla. Chiunque al mio posto si sentirebbe impotente e ti assicuro che questo è veramente difficoltoso.»

Mi sembra di percepire sul suo viso una presa di coscienza del suo comportamento di poc’anzi e noto che anche gli occhi hanno riacquistato la dolcezza di sempre mentre alcune lacrime scendono silenziose verso la bocca. Le porgo un fazzoletto senza parlare; voglio che si senta libera di esprimere ciò che prova:

«Dammi tempo, le mie energie sono molto limitate.»

Capisco di averla pressarla troppo, la vedo molto provata da questa lunga fase di negatività, vissuta con tempi che io in realtà non conosco. E così la rassicuro:

«Certo Anna, come credi. Seguiamo i tuoi tempi, non forzarti è la cosa migliore.»

Così ci lasciamo sotto casa sua con un forte abbraccio e uno sguardo emozionato e profondo: siamo di nuovo appieno una nella vita dell’altra, io che ascolto ancora i suoi problemi e le sue storie difficili, lei che si affida a me:

«Stasera ti consiglio di parlare con Carlo con sincerità e magari vedi se intanto ti può aiutare procurando i farmaci. Appena li hai, inizia la terapia, per ogni piccolo traguardo festeggeremo insieme. Con calma, senza aspettative troppo a breve termine; stai tranquilla, faremo la strada tenendoci per mano.

«Isa, come farei senza te? A parte la finzione dal medico, sei davvero come una sorella per me. Per questo devo avvertirti che non sarà facile ma con te e le altre amiche mi sono accorta che il mondo ancora gira. Voglio tentare di salire di nuovo a bordo.»

«Bene, ti sento determinata. Aspetto la chiamata di Carlo e fammi sentire la tua voce quando vuoi. Ormai siamo legate da un grande progetto.»

Scende dalla macchina e si avvia al portone di casa. Oltrepassarlo significa confidare a Carlo il grande passo che ha fatto; non sarà facile per lei ammettere di volersi curare dopo tanti tentativi falliti. In fondo, anche se non se ne rende conto appieno, ha tutti noi intorno che la amiamo, una rete di sostegno che non la abbandonerà mai.

So che vederla così intensa e decisa ha il valore di una singola giornata o di un singolo attimo. Vivere in modo così altalenante con stati d’animo opposti tra loro deve essere motivo di tanto stress e turbamento. Ho avuto la prova di come il suo equilibro sia compromesso: affiancare Anna sarà un grande impegno per me, anche perché temo che possa caricarmi di troppa responsabilità. Spero di esserne all’altezza ma al contempo so che devo stare attenta a non farmi travolgere da lei e dagli eventi come accadeva quando eravamo giovani e spensierate, acerbe alla vita.

Ora interpreto con maggior cognizione di causa molti suoi comportamenti giovanili.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. Daniela Canali

    (proprietario verificato)

    Il nuovo romanzo di Simona Cavalli è un mix di sentimenti positivi e di dolore. La voce narrante è femminile e dà voce a sua volta alla coprotagonista Anna. I piani temporali si compongono anche di flashback che raccontano l’età dell’adolescenza delle due amiche. Ho adorato il personaggio di Anna così silenziosa e così fragile tanto da cercare nell’amica una disperata via d’uscita dal suo male profondo. E Isabella metterà tutta se stessa nel sostenere la donna che è tornata nella sua vita come un ciclone fino al punto da capire di doversi, per assurdo, difendersi.

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Simona Cavalli
Nasce a Terni in Umbria, sposata e ha due figli. Ama leggere, stare con gli amici e frequentare caffè letterari dove condividere la sua passione. Si occupa di formazione professionale presso Confindustria Umbria.
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