Il cuore sembra impazzito, una strana sensazione di svenimento e paura mi percuote la mente. Giusto il tempo di calmare il mio cuoricino pulsante e capisco che sono rimasto chiuso fuori di casa. Tiro giù qualche bestemmia e inizio a tirare calci alla porta, ma tanto è tutto inutile. I miei sono usciti nel primo pomeriggio e Floppy non sa ancora aprire le porte. Ci sarebbe la scala in carbonio appoggiata sotto il balconcino che da in sala, ma con questo tempo preferisco aspettare un paio d’ore il ritorno dei miei. Mentre penso alla scena del mio cane che mi viene ad aprire in ciabatte mentre fuma la pipa di papà, alle mie spalle mi sembra di udire una risata femminile, quasi da bambina. Mi volto subito ma non c’è nessuno. La cosa però mi ha spaventato, così scendo in strada. Ho sempre avuto paura del buio ma ancora di più dei fantasmi bambini che compaiono dal nulla e ti si scaraventano contro. Troppi film forse, ma la paura comunque è una condizione mentale che è più forte della volontà di credere al contrario. Ho tanto freddo e ora sono anche tutto zuppo. Con la coda dell’occhio mi sembra di scorgere un’ombra, mi volto subito e di fronte a me compare una ragazza, come fosse spuntata dal nulla. Appena la vedo mi si gela il sangue, resto immobile con gli occhi spalancati e inizio a urlare. Lei a sua volta si spaventa e urla insieme con me. Passiamo un minuto fermi l’uno di fronte all’altra a urlarci in faccia. Poi lei si calma, ma io non ce la faccio e continuo. Mi guarda con aria curiosa per alcuni secondi, poi mi da un ceffone sulla guancia con tutta la forza. Smetto di urlare per la paura ma vorrei farlo per il dolore:
“Scusa, non volevo urlare così” abbasso lo sguardo.
“Oh no! scusami tu, non dovevo sbucare così all’improvviso” risponde subito lei. Ci guardiamo negli occhi per qualche istante poi iniziamo a ridere come due scemi.
“Il mio nome è Nancy, tu come ti chiami?” continua con un bellissimo sorriso appena accennato.
“Piacere io sono Marco” ci stringiamo la mano:
“Che ne dici se ci ripariamo sotto il mio portico?”. Non se lo fa ripetere due volte, inizia a correre verso le scale e si siede sull’ultimo gradino, l’unico asciutto. Io la guardo per un po’, poi le corro dietro e mi siedo di fianco a lei.
“Fa veramente freddo oggi” esclama mentre trema come una fogliolina. Non so cosa rispondere, mi limito ad accennare un si con la testa. Sono imbarazzato, mi vengono in mente solo domande stupide che mi vergogno a fare.
“Ok allora inizio io!” dice lei come se mi avesse letto nella mente. “Mi chiamo Nancy, ho diciassette anni e vivo in un paese poco più grande di questo, a pochi chilometri da Roma. Sono qui perché ho degli zii che si sono trasferiti da poco e poiché Natale è vicino, la mia famiglia ha deciso di venirli a trovare”. Mi guarda e sorride, come se si aspettasse una risposta sarcastica da me. Io la fisso per qualche istante poi realizzo che non riesco a staccargli gli occhi da dosso.
“Ecco… io… mi chiamo Marco, ho diciassette anni come te e sono qui perché mi sono dimenticato le chiavi dentro casa.
“Me ne sono accorta” bisbiglia sghignazzando.
“Come mai sei uscita da sola con questo tempaccio?” domando, “Perché i miei stavano litigando per l’ennesima volta su cose assolutamente stupide e non ce la faccio più a sentirli”. La vedo tremare sempre di più allora mi alzo, mi tolgo la felpa e gliela metto sulle spalle. Il mio primo gesto nobile!.
“Aspettami qui” gli sussurro in un orecchio mentre lei appoggia le sue fredde mani sopra le mie che gli sistemano la felpa. Adesso si che mi sento in imbarazzo. Corro per la strada facendo il giro di casa, scendo per la ripida discesa in cemento che porta sul retro ed in cantina, prendo la scala pregando dio che non faccia cadere fulmini proprio in questo istante e salgo sul balconcino della sala. L’unica porta che mi tiene fuori è la zanzariera tutta strappata che ormai credo si tenga su per abitudine. Mentre entro in casa sgocciolando da tutte le parti immagino la scena di lei che per ringraziarmi di essere stato così gentile mi butta sul letto e inizia a baciarmi, oppure mi chiede di farci una doccia insieme. Attraversato il salotto entro in cucina e mi avvicino alla porta. Ma aspetta un attimo,
“Amico mio, noi uomini bisogna farsi desiderare, più lei aspetta più possibilità hai di riuscirci”, le parole del mio migliore amico, Simone, mi risuonano dentro la testa come campane. Lui si che di donne ne ha avute molte. Faccio un passo indietro, mi volto e corro in salotto. Per prima cosa trovo uno straccio asciutto e pulisco tutte le impronte che ho lasciato durante il tragitto, poi salgo le scale a chiocciola nell’angolo a destra e vado in bagno a lavarmi i denti. Tutto con molta calma. Per perdere tempo rimetto in ordine anche la mia camera. Controllo l’orologio e penso che dieci minuti siano un po’ pochi, così mi spoglio e inizio a scegliere un vestito adatto all’occasione. Una ragazza in camera mia, e quando mi ricapita!. Vestito e pettinato a dovere scendo e mi avvio verso la porta accendendo una bella sigaretta rilassante. Mi appoggio con le spalle sulla colonna a destra della porta con una mano in tasca e una gamba tirata su appoggiata alla stessa colonna con la pianta del piede. Sono felice. Ho il cuore che mi batte velocissimo. Guardo ancora l’orologio, venti minuti forse possono bastare. Mi do un’ultima controllata al vetro della finestra di fianco e finalmente apro la porta. Con aria distrutta e un po’ di affanno per fare scena esco di fuori. Sembra che abbia scalato l’Everest in smoking. appena fuori guardo le scale con un sorriso che arriva fino alle orecchie e gli occhi lucidissimi come se avessi appena visto la cosa più bella del mondo, ed è così che rimango per qualche istante. A fissare il vuoto. O almeno resto a fissare le scale di casa, vuote. Perché Nancy non c’è più. Se n’è andata come anche la pioggia. Dietro di me, sul ciglio della porta c’è Floppy che mi guarda. Io lo riguardo e lui inclina la testolina pelosa e mi fa un verso tipo il mio “nooo” quando perdo l’ultimo autobus per il parco. Mi piego sulle ginocchia e lo fisso
“Dici che ho perso tempo a lavarmi i denti??” lui si mette una zampa davanti agli occhi e abbassa la testa. Scoraggiato e deluso rientro in casa e chiudo questa stramaledetta porta. Passo il resto della giornata davanti alla tv, pensando a lei e a tutte le domande che non sono riuscito a fargli. Fuori è già buio e delle nuvole non c’è più traccia. La sera decido di uscire e vado a casa di Simone che è a pochi isolati da me. Come al solito lo trovo a giocare alla Playstation, con il solito gioco di calcio, cosi mi siedo di fianco a lui e parte la solita sfida Inter – Roma con in palio una bella bottiglia di coca cola fresca. Perché si sa, noi giovani d’oggi siamo coca cola dipendenti. Mentre giochiamo inizio a raccontargli il pomeriggio:
“Ho incontrato una ragazza!”, mi guarda incuriosito,
” una ragazza? Dove? Quando? Te la sei portata a letto?”. Da subito inizia a fare queste domande sceme, non capisco perché se un ragazzo conosce una ragazza ci deve per forza andare a letto: “No no, l’ho solo conosciuta, si chiama Nancy, ha la mia stessa età. E’ bionda, due occhioni azzurri bellissimi, un sorriso stupendo e un fisico da modella”. Simone mette il gioco in pausa il gioco, mi guarda incredulo, prende un bel respiro e mi manda a quel paese con tutto il cuore:
“Dai dico davvero” insisto io,
“e poi te sei svejato tutto sudato hahaha”. In effetti, la cosa è talmente strana che quasi non ci credo più neanche io adesso che la racconto:
“Dai uscimo così se la n’incontri me la presenti a ragazza della tua vita” finisce il discorso alzandosi e spegnendo il gioco. Da casa del mio amico fino alla piazza dove di solito ci riuniamo è un bel pezzo di strada, ma la facciamo volentieri a piedi.
La solita noiosa piazza di questo noioso paese a bere coca cola e a dire tante cavolate. Non la chiamerei neanche piazza visto che è una rotonda per le macchine con un obelisco al centro e qualche panca di freddo cemento intorno. Il mio gruppo’ di amici è molto piccolo, si limita a cinque, sei ragazzi. C’è Simone, alto, magro, spalle larghe, mulatto di carnagione, parla solo romano. Lo conosco da quando avevo tre anni. Mirko, anche lui alto, molto magro, un po’ pazzo. Non passano dieci minuti senza che lo vedi respirare aria pulita, ha sempre una sigaretta tra le labbra. Lui lo conosco da un po’ meno. Stefano, il figlio del ristoratore, è piccolo e tozzo ma sa farsi volere bene. Andrea, mio cugino. Anche se lo vediamo poco fa sempre parte del gruppo, e Luca un po’ più grande di noi, in tutti i sensi. Questa è la mia comitiva, meglio pochi ma buoni, come si dice. Ogni tanto porto anche Floppy, ma solo quando non c’è Mirko, perche ‘ultima volta gli si è messo a correre dietro ed è finito a farsi il bagno dentro la fontana della piazza, povero cane!.A un tratto al giardino che costeggia la chiesa di fronte, la vedo. È lei, sono sicuro, non posso sbagliarmi. Non ho mai visto dei capelli così belli in vita mia.
“Oh Simo! Guarda un po’ la!” il mio amico si gira di scatto “Dove?” il tempo di abbassare e rialzare lo sguardo che non c’è più nessuno. Non è possibile era lì un secondo fa.
“Stai bene si?” chiede Mirko che mi guarda incuriosito. Mi alzo subito dalla fredda panchina e corro dall’altra parte della strada, verso la chiesa. Nessuno mi segue, mi credono pazzo. In effetti ho letto da qualche parte che le bevande che contengono caffeina possono giocare brutti scherzi se prese costantemente. Arrivo al piccolo parco e la vedo ancora. E’ lei, non mi sbagliavo. Se ne sta seduta in una panchina in legno nascosta dietro la siepe della chiesa. Mi avvicino e mi siedo.
“Ciao biondina”
“Ciao moretto”, saluta e mi guarda con quel sorriso che mi sta facendo innamorare. E’ una persona così solare.
“Perché sei qui tutta sola? Vieni con me, tra i miei amici, sono un po’ cretini ma sono sicuro che ti divertiresti”
“Ti ringrazio, ma preferisco restare sola se non ti dispiace”. Oddio com’è gentile:
“Allora io resto con te!”
“no dai, non voglio che lasci i tuoi amici per stare con me, sono un po’ cretini ma sono sicura che con loro ti diverti!” ci guardiamo con un sorrisino ironico appena accennato. Comunque resta il fatto che la serata la voglio passare con lei adesso quindi non mi muovo da qui, anzi inizio a pensare qualcosa da poter fare per farla divertire.
“Andiamo al cinema?” le chiedo.
“Io e te? Soli?” mi chiede a sua volta guardandomi con quegli occhioni dolci.
“Si dai! Che c’è di male!” insisto. Abbassa lo sguardo ci pensa un attimo poi sorride ancora:
“Ok! Ma niente horror!” io rido, la prendoper una mano, tirandola in piedi e camminando dondoliamo le braccia. Sembriamo due fidanzatini. Sto di nuovo bene, con lei mi sento veramente in grado di ribaltare la mia vita.
“Ma toglimi una curiosità” interrompe i miei pensieri,
“Ma in questo paesino avete il cinema?”. Io mi fermo di scatto: “Ma no il cinema è in un’altro paesino non è lontano non preoccuparti”,
“E come ci andiamo in questo paesino? Non credo ci siano autobus a quest’ora!”. Una nube di umiliazione e rassegnazione si abbatte sul mio morale che perde punti come un gioco di ruolo. La guardo:
“Hai un orario di rientro o puoi star fuori tutta la notte?” incuriosita risponde:
“Posso star fuori tutta la notte perché?” questa risposta mi fa tornare il morale al massimo, un brivido caldo mi attraversa tutto il corpo’ e mi arriva fino agli occhi che si accendono come quando mi vengono in mente idee folli che mi mettono nei guai ma che sono orgoglioso di fare.
“Vieni con me” la tiro per il braccio e iniziamo a correre verso casa. Arrivati di fronte alla mia cantina la preparo per fargli vedere una sorpresa:
“Se sei abbastanza pazza questa sera ti divertirai” apro la cantina e subito all’entrata c’è un telo verde che copre qualcosa. Entro, prendo il telo e lo tiro via. Appena vede cosa c’è sotto, lei scoppia a ridere:
“Vuoi andarci con quel coso?hahaha!” io guardandola rido un po’, ma torno subito serio:
“Questo non è un coso, questo è il mitico “Ciao” a pedali con cui mio nonno si divertiva a girare per il paese quando aveva la nostra età”. Ne parlo orgoglioso come fosse una Ferrari. Lei ride ancora. Lo porto fuori e con grande sicurezza in me stesso e nel mitico motorino inizio a pestare la pedalina. Una volta, due volte, tre, ma niente. Sembra morto.
“Cavolo!” esclamo, Nancy che si siede su un mucchio di forati accatastati vicino alla porta, sembra divertirsi a guardarmi.
“Da quanto tempo’ è che non viene usato?” mi chiede. Ci penso un po’:”L’ultima volta mi sembra che è stato quando mio padre ci è andato a casa di mamma per cantargli una serenata, erano ancora fidanzati”,
“Meno male” dice lei ironizzando “Io credevo che l’ultimo a usarlo è stato tuo nonno quando gli correvano dietro i carri armati tedeschi!” il silenzio incombe sul retro di casa, la cosa mi fa ridere ma potrebbe essere vera. Lei sghignazza poi si alza:
“Ok dai, non fa niente tanto erano più le probabilità che non ci saremmo arrivati fino al cinema che quelle che questo coso parta!” Queste parole colpiscono il mio orgoglio e la mia sicurezza cosi do un colpo’ deciso alla pedalina quasi con rabbia e finalmente il motore inizia a singhiozzare, una piccola accelerata e ecco fatto, il “Ciao” torna sulla strada!. Do qualche accelerata per far sentire il rombo del motore, poi guardo la ragazza con un sorriso da cowboy, mi mancava solo il cappello che copriva un occhio, e gli faccio cenno di avvicinarsi con la testa. Senza perdere tempo’ saliamo sul mezzo e partiamo. Ho una faccia soddisfatta, sembra che abbia vinto i mondiali. Fino a metà strada sembra andare tutto per il verso giusto, io guido, con molta prudenza e Nancy dietro, con la testa appoggiata sulla mia spalla e le braccia che mi stringono in vita. Come al solito ogni momento bello della mia vita è destinato a rovinarsi. Dopo quindici minuti di tragitto, il vecchio due ruote inizia a singhiozzare. Colpo dopo colpo fa qualche centinaio di metri prima di fermarsi a riprendere fiato. Per fare prima ho preso stradine di campagna molto isolate ma probabilmente non ho ripensato al fatto che questo mezzo va a benzina. Mi fermo sotto una quercia enorme, è buio pesto e fa parecchio freddo.
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