Anche oggi la sveglia suona. Ti richiama al tuo dovere quotidiano. Vorresti rotolarti in pace tra le coperte, ma è più forte di te. Non appena il trillo familiare raggiunge il tuo padiglione auricolare, sai che è ora. E’ ora di di mettersi in moto, di avviarsi verso una nuova giornata. E che giornata!
Tutto ti riaffiora alla memoria quando ancora non sei del tutto consapevole di te. Quando il sonno ti avvolge in una morsa così stretta da impedirti di pensare. Ma il tuo piano è lì, in bella vista. Lampeggia sul display del telefono. E’ scritto a chiare lettere sul calendario vicino alla porta della camera. Nella tiepida luce che penetra appena dalle tapparelle chiuse, tutto è ancora grigio. Amorfo. E tu non fai eccezione. Ma ormai sei consapevole, oggi invecchi. Compi gli anni. Quelli prima dei secondi “anta”. Un traguardo, una maledizione. In effetti adesso si che lo riconosci. Questo timido scricchiolare delle tue giunture. Un affaticamente costante, anche se passi almeno un paio di sere a settimana in palestra. Sei giovanile, scattante. Ma questi anni in più li senti. E non puoi nasconderlo.
Nella malinconia post-risveglio ti senti come una scolaretta impreparata. Rischi di venire rimandata a settembre, sprofondare nei rimpianti e non goderti l’estate. Per questo ci sono cose alle quali è meglio non pensare, adesso che gradualmente puoi farlo di nuovo.
Lentamente ti stiracchi, assapori il tuo programma perfettamente congegnato. Oggi potrai uscire dal lavoro un’ora prima. Hai il biglietto per una mostra d’arte, di cui non sai molto ma che ti occhieggia da mesi. Locandine ovunque, poster in metropolitana. Ora finalmente la vedrai. Passeggerai per un museo, sola con te stessa. Da quanto non ti dedichi un po’ di tempo? Poi nel weekend un salto al centro benessere. E’ appena fuori città. Non ci torni da troppo, saranno quasi tre settimane. Infine una bella cena tra amiche e colleghe. Al nuovo ristorante giapponese in centro. Vi metterete eleganti e passarete la serata a sparlare di compagni, mariti e sorelle.
Adesso che ci pensi, potresti fare tardi dal parrucchiere se non ti sbrighi! Hai preso appuntamento in mattinata, così da riuscire ad arrivare al lavoro fresca e pimpante. Il tempo passa, ma tu sei ancora magnifica. Non sei mai stata una bellezza, ma chi si pone questi limiti solitamente non arriva lontano. Ti passi una mano sui ricci spettinati. Ancora scuri e spessi, una coltre di fuoco sul tuo viso scialbo. Ne vai molto fiera. Ma anche loro ogni tanto necessitano di qualche ritocchino. E tanto vale farlo subito, prima di pentirsene. Hai deciso di cimentarti in un taglio un po’ più audace questa volta. Ti vuoi rivedere aperta, calorosa. Fiduciosa nel futuro. Anche se non sai più esattamente in cosa sperare…
E poi succede. Inciampi in quel dettaglio. Quel minuscolo, insignificante particolare che tiene il tuo umore legato ad un filo sottile. Pronto a spezzarsi al minimo scossone, alla minima turbolenza. E cerchi di ignorarlo, di ripercorrere da capo il programma della tua giornata speciale. Giovedì. Poi un giorno feriale come gli altri. Poi il weekend. Relax, positività. Solo cose belle.
Nel frattempo ti alzi. Raccogli i capelli. Rifai il letto con pochi movimenti esperti. Poi ti getti nella tua skincare routine. Creme profumate in un bagno lustro e pulito. Ieri è venuta Mariangela, la signora delle pulizie. Fa sempre un lavoro impeccabile, devi ricordarti di darle un piccolo bonus per Natale. Infondo tutti lo ricevono, verso la fine dell’anno. Perché quella brava donna dovrebbe fare eccezione?
Ti sposti dal bagno prima di intravedere qualcosa che guasti la tua allegria. La spazzola gialla è entrata solo per un istante nel tuo campo visivo. Niente di irrimediabile. Puoi andare in cucina e mangiarti le paste che hai comprato ieri. Senza glutine, integrali. Buone e fragranti, solo due minuti di microonde per scaldarle. Il cappuccino te lo prepari da sola con la macchinetta. Ottimo, anche se non è proprio come quello che prendi al bar. Una delle tue risoluzioni per quest’anno è quella di spendere meno. Soprattutto nei piccoli piaceri, quelli che puoi evitarti mantenendoti sana ed equilibrata. Con quello che risparmi potrai farti una bella vacanza. Sono anni che aspetti il momento buono per organizzare una gita a Praga. E’ una città misteriosa, che ti intriga. Chissà, magari oggi in redazione potresti trovare qualche minuto per dare un’occhiata ai voli, alle stanze…
Purtroppo anche la cucina è un campo minato, realizzi. Anche dopo tutti questi anni. Perché era lì che sedeva sempre. Su quella sedia. Seduta a fare i compiti, a disegnare. Ad ascoltare intenta te o tuo marito, che raccontavate qualcosa di buffo successo a lavoro. I suoi occhi sono estranee pagliuzze dorate. Il profilo però è il tuo.
Sposti lo sguardo sul frigo e ti rendi conto che ora è ridicolmente vuoto. Una volta era pieno di magneti, disegni sbilenchi e poco realistici, premi scolastici. Per anni c’è rimasta appesa una stupida poesiola di Natale, scritta a caratteri incerti su un cartoncino rosso tutto spiegazzato. Era lì tra il Belgio e il Madagascar. Una cartolina dal mare e una dal campeggio. E poi più nulla. Adesso solo grigio, il colore del frigo.
Un continuo. La luce del giorno, il tuo viso smorto. Tutto grigio. E dal confronto col passato tutti i tuoi piani ne escono fortemente ridimensionati. Come un tascabile che forse un giorno leggerai, accanto all’edizione ben curata di un intramontabile classico. Che razza di giornata, quella che ti aspetta. Una pagliacciata. Uno scherzo. Sospiri e ingoi le ultime briciole della tua colazione speciale. Il cappuccino è amaro, la schiuma si è ormai sgonfiata. Ha lasciato dietro di sé un piccolo cratere. Al fondo del quale ci sei tu, che ti rifletti nel torbido marrone di un totale sconcerto.
Non c’è niente da festeggiare. Da almeno dieci anni. Ma alla fine, traballando un po’, ti alzi. Devi assumerti la responsabilità della tua nascita. Farai cioé finta, per il bene di chi ancora è nella tua vita e ti ama, di stare bene. E mentre la tazza ti scivola di mano e si infrange al suolo, te lo ripeti incessantemente.
Va tutto bene. Tutto bene.
E invece no. Tutto va da schifo. Ti sei tagliata con il bordo di un coccio. La tua tazza preferita è finita nel cestino, come anche il tuo appuntamento dal parrucchiere. Saresti arrivata troppo tardi al lavoro e hai dovuto rinunciare. Ma non tutto è perduto. Ci sono pur sempre le colleghe, che ti accolgono con un sorriso e una pioggia di:
“Tanti auguri Clelia!”
“Clelia, tantissimi auguri!”
“Signora Clelia! Tanti auguri, eh!”
Una redazione tutta quanta al femminile. Che tratta, ovviamente, argomenti tutti al femminile.
Ti piace, ti stimola. E’ un ambiente aperto, moderno. Progressista. Ma pieno zeppo di bombe a mano emotive, nascoste dietro alle vecchie copertine, tra i tavoli in sala mensa, dietro agli armadietti del bagno. E ogni articolo minaccia la fragile stabilità che ti sei costruita. Specialmente in certi casi. Specialmente oggi.
Tutti sanno tutto, ma nessuno dice nulla. Una componente chiave della tua vita, che ti aiuta a sopravvivere. Ma oggi Maya, che ti conosce da più di vent’anni, ha deciso di lanciarti occhiatine preoccupate. Di ricordarsi di un altro anniversario che si celebra oggi. Non puoi certo essere la stella dello spettacolo. Lo sai. Non è neanche sbagliato che tu non lo sia. Hai avuto i tuoi momenti di gioia in passato. Di assoluto protagonismo. Perché adesso dovresti chiedere di venire incoronata di miracoli, se il tuo è un trono di tragedie?
“Clelia, sicura di voler uscire prima oggi?”
Maya. Occhi dolci, cuore d’oro. Non sa quanto a fondo ti sta pugnalando.
“Certo che si! Mica vorrai trattenermi oltre l’orario?”
“No, certo che no. Non c’è così tanto da fare, ce la caviamo.”
Se solo sorridesse davvero. Ma le rughe indugiano sulle sue guance. Gli occhi rimangono spiazzati. Muti. Con gli angoli leggermente inclinati all’ingiù. Un canale di scolo pronto al temporale.
“Non devi preoccuparti per me, ok? E’ passato tanto di quel t…”
Un singulto. Per un attimo la gola ti si è serrata. Un pugno doloroso. Impossibile deglutire. Buttare giù la verità scomoda che stai mentendo. E che la tua amica se ne sarebbe accorta comunque. Anche senza questa tua piccola increspatura.
“Sono passati tanti anni… Neanche ci ho pensato, oggi.”
“Comunque se ti serve del tempo prenditelo, capito? O se al contrario venire in ufficio ti aiuta, ti affido tutti gli straordinari che vuoi.”
“Ti piacerebbe che mi offrissi, vero?”
Maya stavolta sorride del tutto. Ti ha vista tranquilla, rassegnata. Ha riconosciuto la debolezza, ma ha deciso di lasciarla lì. Intatta e opaca. Nascosta ma visibile. Del resto è un tuo problema, non suo. E tu sei una donna adulta. Più che adulta. Sai gestirti.
Le ore di lavoro passano in un lampo. Rivedi un articolo, ne perfezioni un altro. Nel mentre revisioni qualche bozza per le ragazze che lavorano con te. Le incoraggi a fare qualche piccola correzione via mail e a voce. Ti prendi un paio di caffé alle macchinette. E infine fuori è sera. A pranzo ti hanno fatto spegnere le candeline sopra alla tua insalata di quinoa, portata da casa. Sono state tutte gentili, ti hanno consegnato un pacchettino a nome di tutto l’ufficio. Un buono per un weekend in Toscana. A fare degustazione di vini. Che meraviglia, grazie a tutte! Peccato che tu odi il vino. E che hai riconosciuto in questo regalo l’idea dozzinale che questo genere di esperienze interessino per forza le donne che hanno superato una certa età. Soprattutto quelle single, come te. Che magari hanno bisogno di una spintarella per buttarsi, per tornare sulla piazza. Ma per quanto il vino solitamente serva, che ti piaccia o meno, ad aprire i tuoi chackra, per certe cose ormai non c’è più spazio nella tua vita.
Adesso sei fuori, nell’aria frizzante della sera. I lampioni si accendono mentre incedi imperiosa per le strade macchiate d’antico di Roma. Ti dirigi verso la mostra. Verso le fantasie che stamattina hanno avuto il pregio di farti alzare dal letto. E che adesso impallidiscono di fronte al tuo malcontento. Al tuo calo di concentrazione. Al nuovo anno che ti pesa addosso, assieme ai due grammi di torta alle mandorle che ti hanno fatto ingurgitare a forza in ufficio. Stasera a cena potresti non avere abbastanza fame. Potresti spendere molto e goderti poco la serata. La compagnia. Ovviamente Maya è invitata. Insieme a Manuela e Carla, le tue due amiche di sempre. Certo, le vedi raramente. Avete tutte vite piene, impegnate. Ma stasera ci sarebbero. Solo per te. E tu non vorresti fare altro che mandare al diavolo i tuoi piani e chiuderti in casa. Guardarti un film scadente che passa in tv, abbracciata al plaid dell’Ikea e sprofondando poi in un sonno senza sogni.
Ma ormai sei arrivata. Ecco la mostra. Tiziano, un poeta del pennello che conosci. Accostato alquanto scomodamente ad una promessa dell’arte moderna. Colori fluo, teste rasate dai profili egizi. Gioielli di plastica trasparente e scarpe di marca appese accanto a cornici dorate. Il tutto in un’atmosfera surreale. Luci azzurre, pareti blu. Sembra di stare sul fondo dell’oceano, sul luogo di un naufragio.
Esci dalla mostra rabbrividendo. Sarà il freddo o l’ansia per stasera? I ricordi che si affollano al limitare del tuo campo visivo o il tuo umore ballerino? Preferisci far finta di non sentirti bene, forse. Comunque le tue amiche capiranno. Potete festeggiare nel weekend. Se non questo, che ormai è troppo vicino, magari il prossimo. Non abitate poi così lontane infondo.
Scrivi in chat che forse stai covando qualcosa, che ti senti febbricitante. La cosa che più ti sconvolge è che nessuno sembra troppo sorpreso.
“Ma certo Clelia, riprenditi!”
“Ci risentiamo quanto ti senti meglio, ragazza compleanno!”
Cuoricini, risate, bacini. Poi il nulla. Se l’aspettavano? Sono anni che la gestisci bene. Magari non organizzi niente di che, ma comunque riesci a goderti il giorno del tuo compleanno. Certi anni hai lavorato perché qualche straordinario ti serviva. Certi altri sei rimasta a casa a gestire qualche incombenza. Come la caldaia rotta, un tubo che perde. Il gatto da sterilizzare, che poi hai dato via.
Vuoi forse affrontare la realtà ed essere onesta con te stessa proprio adesso? Forse no, e infatti continui a raccontarti quanto questo tuo abbandono fosse di fatto inaspettato. Insospettabile. E di come adesso che sei a casa, puoi di fatto riprendere fiato. Perché è stata una settimana stressante, piena di cose da fare. Insomma, il lavoro. E la palestra. Poi mantenere una vita sociale soddisfacente, senza un calo significativo nei tuoi interessi intellettuali. Almeno un libro ogni due settimane. Un film al cinema storico dietro casa. Una capatina a teatro. Ma per la maggior parte serate interminabili a riordinare. Devi ancora spedire alcune scatole a tuo marito. Le sue cose sembrano crescere sulle pareti. E’ un attimo che dimentichi un calzino e ne trovi un albero intero in quel cassetto infondo al mobile in soggiorno. E poi le trappole. Quelle subdole, insignificanti questioni in sospeso. Sparse per tutta casa. I segni dell’altezza sugli stipiti delle porte. Una macchia di té su una trapunta. L’odore di gelsomino sui vestiti. Quelli che negli anni, pur essendo suoi, sono passati per tuoi. E anche dopo infiniti giri in lavatrice sanno di lei. Di quello che hai perso. Di quello che hai fatto e che non hai fatto. Per lei, per te. Per voi.
E infatti la casa che si apre davanti a te è un campo di battaglia. Un cimitero. Un luogo caldo e accogliente solo all’apparenza, carico di gelo e rimpianti. Nessuna foto in cornice a sbirciare da sopra i mobili. Nessun momento felice rimasto da ricordare. Tutti trasferiti in qualche cassetto. Nelle scatole in soffitta col suo nome sopra. In un bauletto chiuso a chiave, nascosto sotto al suo letto. Che adesso è usato come un divano nella tua stanza del cucito. La sua stanza, ormai un tempio dedicato al tuo hobby.
Se solo sapesse quanto la tua vita è friabile ora. La ricordi come una ragazza raggiante, solare. Incredibilmente empatica. E ti chiedi che donna sarebbe diventata. Se il suo passo sarebbe rimasto simile al tuo. Vedi una piccola schiena e boccoli scuri che sobbalzano piano, allontanandosi da te. E noti quel piccolo difetto di postura. Che una volta era tuo, e che adesso hai dato via. E solo lei poteva prenderselo. Lei, tua figlia.
Riesci a raggiungere il divano. Sei in lacrime, piegata a metà. L’ombra di chi eri stamattina. Eppure dieci anni sono già passati. Dieci anni di notti insonni, di rammarichi. Di domande, di “se”. E ancora oggi non sai a chi dare la colpa. O cosa sia veramente successo. Sai solo che prima lei c’era, e qualche ora dopo non più. La disperazione minaccia di inghiottirti, come in quei primi giorni. Il panico ti assale, cerchi aria e trovi invece solo singhiozzi. Vorresti urlare. Vorresti scappare. Da te stessa e da questa maledetta casa vuota. Dai fiori appassiti sul balcone e dalle stanze chiuse, senza vita. Dalle incombenze quotidiane, prive di senso. Dagli affetti che ormai sono lontani, ma si fingono vicini.
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