“Vor der Kaserne, Vor dem grossen Tor, Stand eine Laterne. Und steht sie noch davor, So woll’n wir uns da wieder seh’n, Bei der Laterne wollen wir steh’n Wie einst, Lili Marleen. Wie einst, Lili Marleen.”.
Cantò quella canzone di Marlene Dietrich con voce tremolante e completamente stonato. Ma lo face con passione mista a rabbia e riuscii a non ridere di lui. Poi continuò a raccontare la sua storia senza che io dovessi insistere più di tanto. Sembrava fidarsi di me, per lui ero veramente un vecchio collega conosciuto in un qualche stupido ricevimento e poi mai più incontrato. Günther Heinrich cantava vecchie canzoni tedesche e sembrava un tizio simpatico, avremmo potuto diventare buoni amici. In un universo parallelo.
“Non ci andai solo in Argentina e la compagnia non era delle migliori per colpa di una donna egoista… ad un certo punto non sopportavo più quel posto, non ce la faceva più a stare laggiù. E allora siamo tornati di nuovo in Europa, in Svizzera, per qualche anno, ma la compagnia continuava ad essere pessima. E poi, al diavolo tutti. Avevamo dei contatti che ci hanno permesso di rientrare con qualche piccolo accorgimento. Il tempo aveva fatto il resto. Ma adesso comincio a tremare perché al mio amico stanno venendo i sensi di colpa. Sono sicuro che sa di cosa parlo. Inizia ad invecchiare e ha paura… paura di finire all’inferno! Ah, ah, ah. Ma sa che le dico, che quell’uomo di merda è già all’inferno! E sa perché lo dico, perché vuole togliersi un peso dalla coscienza e raccontare tutto. Bel casino verrebbe fuori, ci vado di mezzo anch’io! Io eseguivo solo gli ordini, era lui che decideva dove andare a rastrellare quella gente… uomo di merda! La sfortuna è che gli voglio bene e non sopporto di vederlo così… vecchio bavoso!”.
“Ah, non ci pensi… non lo farà mai, si sta troppo bene qui. Non capisco chi va al mare a sud, troppo caldo in quei posti, troppa gente… questo è il vero paradiso; senta che brezza marina e che aria. Ah, la nostra Germania, paese straordinario pieno di bellezze naturali e artistiche. E guardi che donne!”.
Sarei stato un buon attore se ci avessi creduto davvero. Non che non ci abbia provato. Ho fatto anche del teatro, al liceo, con ruoli importanti, a livello amatoriale certamente, ma non ero male. Nonostante i miei genitori fossero stati messi al corrente delle mie qualità di attore, e del mio desiderio – meno passeggero della birreria – di seguire quella strada, l’unico futuro che volevano per me era tra i numeri. Ma su quella spiaggia capii che stavo per prendermi una rivincita perché Heinrich era mio e lo era grazie alle mie sottovalutate doti di recitazione. Riechter no invece. Forse quel maiale era là in acqua immerso fino al collo, in procinto di compiere un gesto estremo. Il suo amico se lo sentiva e tremava veramente.
“Le piace Marlene Dietrich quindi… d’altronde a chi non piace l’Angelo Azzurro! Le piacciono anche i cantanti contemporanei? Come quel David, David Jones! Ma sì ha capito: quello di Helden o Heroes. We can be Heroes just for one day… Dann sind wir Helden an diesen tag. Ma lo sa che ha registrato quella canzone proprio a Berlino? Credo sia ancora là insieme al suo compagno di bevute: James Osterberg! I am a mess without my little China Girl… si divertono quei due nella nostra capitale! Un suddito di Sua Maestà e un ebreo di Detroit! Chi l’avrebbe mai detto che un giorno Berlino sarebbe tornata quella dei gloriosi Anni Trenta: libera, aperta, spregiudicata e accogliente.”.
“Un ebreo di Detroit?! La Germania è oramai una caricatura di sé stessa. E si infili dove dico io la Berlino di Weimar… una cloaca zeppa di scarti dell’umanità: froci, comunisti, ebrei, Rom circensi… gente senza arte né parte! E pure artisti… scarti dell’umanità come quel suo Jones e quel suo Horowitz! Idioti… con tutti quei soldi potevano andarsene a vivere alle Bahamas oppure Rio, Miami… insomma, uno di quei posti da cartolina!”.
“Non Horowitz… Osterberg!”
“Si lui… come cavolo si chiama. La Germania ha sempre attirato la peggiore feccia e sta peggiorando col passare del tempo! Dove finiremo di questo passo?! Una società multietnica e meticcia… ecco cosa diventeremo! Miserabile classe politica! Rammolliti e comunisti! La nostra gloriosa razza ariana imbastardita da negri, turchi, libanesi, italiani e altri scarti. Vada in giro in certi quartieri e già vedrà bambini mulatti con gli occhi azzurri. Tutti scopano con tutti… è chiaro che abbiamo fallito! Il Terzo Reich ha fallito e non solo perché abbiamo perso la guerra. La nostra missione avrebbe dovuto continuare con vigore, ora più che mai. Non possiamo lasciare la nostra patria in mano ad una classe politica progressista e accondiscendente nei confronti di questa merda chiamata meticciato! Merda che tutti vogliono far passare come progresso e libertà! Provo orrore anche solo a pronunciare quella parola! M.E.T.I.C.C.I.A.T.O.”, urlò indicando il mare.
“Non le piace la parola meticciato? È solo una parola! Il mondo è un grande meticciato… prima dell’avvento degli stati sovrani eravamo tutti nomadi. I popoli prima si combattevano e poi si mischiavano tra loro. Non le dispiace se le ho fatto un breve sunto della storia dell’umanità! A proposito, come disse qualcuno in una puntata di Derrick, la storia dell’umanità è la storia della criminalità umana!”.
“Come disse chi?”.
“Ta-ta, ta-ta… ta-ta, ta-ta… tata tata, tata tatata ta tatata…”, intonai la sigla del telefilm, agitando le mani a tempo, sotto lo sguardo contrariato di Heinrich.
“Ispettore Derrick! In una puntata del telefilm l’Ispettore Derrick qualcuno disse che la storia dell’umanità non era altro che la storia della criminalità umana! Le piace l’Ispettore Derrick? Io lo adoro! Raramente usa le armi in quanto preferisce la psicologia. E poi ha quel suo sottoposto: Harry Klein. Proprio come Batman e Robin. Li conosce vero?”.
“Si, Derrick… lui era dei nostri!”
“Lui chi?”.
“Horst Tappert… avanti scommetto che lo sapeva anche lei di Derrick! Di quel suo sottoposto non so nulla! Anche al rammollito in acqua piaceva quel telefilm ma odiava il doppiaggio in lingua spagnola. Diceva che era una merda da froci! Una lingua troppo morbida e suadente… roba da omosessuali e invertiti in genere che passano la loro vita in una siesta perenne. Odia tutti quel vecchio bastardo. Odia anche me che gli sono stato sempre vicino. E lo sa perché odia tutti? Perché odia sé stesso! Con lui la vita non è stata clemente, glielo garantisco!”.
Heinrich amava quell’uomo profondamente. Non c’era nulla che potesse diminuire quell’amore. Nessuno di quei difetti che stava snocciolando da quando avevamo iniziato a parlare nemmeno la presenza di Brigitte nelle loro vite. Quello era vero amore. Un sentimento che io non ho mai provato per mia moglie.
“E lei quando è tornato in Germania?”.
Prima di pormi quella domanda Heinrich scosse la testa più volte poi alzò la mano, quasi in segno di resa. Mi si gelò un poco il sangue, quantomeno nelle mani, ma era una delle domande per le quali mi ero preparato una riposta. E credo fosse abbastanza convincente.
“Alla fine degli anni Cinquanta… anch’io con una sosta in Svizzera e poi di nuovo a casa. Ho fatto domanda e sono stato assunto alla Wolkswagen, gestione del personale, abbastanza simile a quello che facevo prima. Ho fatto anche carriera, adesso sono in pensione e me la godo.”.
“Ma che cazzo, non ci credo! E ‘pardon mon French’”.
“Volere è potere… veda Eilts!”.
A qualcuno la storia dell’ex-nazista che, con una nuova identità, fa carriera alla Wolksvagen avrebbe potuto anche sembrare un racconto inverosimile, ma credo che ad Heinrich, tutto sommato, sia apparso abbastanza nella norma. D’altronde sono molti coloro che sono riusciti a far perdere le proprie tracce inventandosi una nuova vita proprio in Germania. Potrebbe essere il lattaio sotto casa, l’uomo che aggiusta le televisioni oppure il tizio che vende i gelati sulla strada dietro alle dune di sabbia. Già, la sua faccia mi ricorda qualcuno! Molte facce ricordano altre facce ma non è sufficiente, non si può sospettare di chiunque abbia un viso o un fare equivoco e scavare nella vita del malcapitato solo per assecondare la propria paranoia.
“Lo sente questo odore nell’aria?”. Annusai la brezza come un segugio e poi mi girai verso l’entroterra indicando il camion ristoro che si intravvedeva a malapena parcheggiato sulla strada. Sembrava che Heinrich volesse allentare la tensione condividendo con me le sue opinioni sul mondo e sulla società civile… sì insomma: parlando del più e del meno. E la cucina mi sembrò un ottimo argomento per approfondire la conoscenza reciproca.
“Currywurst! Anzi, oserei dire: un ottimo currywurst! Il piatto che rappresenta la nostra capitale nel mondo… e al diavolo Bonn. Lo sente anche lei questo odore? Questo è meticciato culinario, le culture che si fondono e miscelano cibi, profumi e aromi che parlano a palati che vengono da luoghi a volte diametralmente opposti, spesso situati in continenti diversi. Che ne pensa? Ma soprattutto quale è la sua salsiccia preferita? Ognuno ha la propria, o magari più di una. A me piacciono da impazzire quelle di Norimberga – e non lo dico sarcasticamente – sdraiate su un letto di crauti con patate saltate, senape e pretzel a volontà. Ma non disdegno anche quelle meno nobili come il Doktor Wurst: un ottimo prodotto dell’Est che piace a grandi e piccini. E che dire del Kebab? I turchi, deve ammetterlo, ci sanno fare con il cibo. Le loro salse, le loro spezie, quel sapiente mettere insieme carne di pessima qualità drogandola con erbe e aromi vari… beh, pensi quello che vuole ma io lo trovo straordinario. Cibo di strada che fa felici grandi e piccini.”.
Heinrich mi ascoltò in silenzio con una smorfia di disgusto tipica di chi non vuol sentire nemmeno parlare del cibo che detesta. Presumo che gli ricordasse anche i bei tempi andati quando lo stile di vita di ufficiali come Riechter e Eilts, e dei loro stretti collaboratori come Heinrich, era sofisticato e per nulla parsimonioso nella ricerca del piacere anche a tavola. Poi, da un momento all’altro, tutto è cambiato. E tornare con i piedi per terra, e per giunta col fiato sul collo, deve essere stato brutale.
“La smetta di pontificare sul nulla! Lei tende ad essere petulante! La cucina tedesca è orribile, ripetitiva e di pessima qualità. Nemmeno le patate tedesche si salvano. Per anni abbiamo evitato il cibo nostrano accuratamente, anche la birra. Quelli sì che erano bei tempi! Lei mi capisce, vero? I nostri cuochi personali non ci facevano mai mancare caviale, crostacei succulenti, champagne, vini italiani, formaggi francesi, culatello, mozzarelle e ogni genere di prelibatezza dei paesi alleati o di quelli sottomessi al nostro dominio. Ci siamo aperti a nuovi orizzonti del gusto e abbiamo raffinato i nostri palati. Ma quali salsicce e pretzel! Ma la smetta… ho ricominciato a bere birra per disperazione e solo dopo essermene andato via da questo paese. Detto fra noi: la birra mi fa venire acidità di stomaco e aerofagia. Si, insomma, mi fa ruttare rumorosamente. Ma in certi paesi – chiamiamoli pure del Terzo Mondo – non sanno nemmeno cosa sia una bottiglia di ottimo vino. Non se la prenda ma i tedeschi sono un popolo di lavoratori che convive spesso con un clima poco gradevole. Capisco pertanto che abbiano bisogno di rifocillarsi con cibo che sia abbondante, gustoso e nutriente, da ingurgitare con un liquido conviviale come la birra, il cui unico pregio è quello di sciacquare la bocca dal salato, dal grasso e dallo speziato che abbondano nelle pietanze tipiche della nostra cucina. E non solo quella bavarese che lei sembra citare come Sacro Graal del gusto tedesco. Oltre a questo, mi vuole spacciare per cibo quella roba chiamata kebab che i turchi fanno girare per giorni in quell’enorme spiedo verticale, dentro ai loro gabbiotti maleodoranti infestati dalle mosche. I turchi mangiano carne quasi putrida perché sono dei miserabili. Quasi come i tedeschi. Il Terzo Reich serviva anche a raddrizzare la schiena al popolo germanico e ad impedire che anche il solo nome kebab potesse diventare famigliare all’interno dei confini della nostra patria! Si vergogni della sua finta apertura mentale… è solo fame chimica e le sta creando confusione!”.
Dopo aver replicato con veemenza inaspettata al mio entusiasmo soprattutto per la cucina tedesca del sud, e il cibo di strada in generale, Heinrich infilò la mano nei pantaloni e si grattò a lungo i testicoli. Certamente non gli avrei mai confessato il mio sogno adolescenziale di aprire una tipica birreria bavarese in terra di Svizzera.
“Per quanto mi riguarda può dire quello che vuole sui turchi e sulla loro cucina. Ma non le permetto di criticare le abitudini alimentari dei nostri connazionali, me incluso, solo perché ci piace godere dei gusti semplici della nostra cucina. La carne di maiale è certamente la nostra preferita! Non sarà carne nobile ma è comunque gustosa e nutriente. E al diavolo i suoi crostacei e il suo caviale. E comunque anche il culatello è maiale, nel caso non ne fosse certo!”.
Heinrich soffriva le pene che soffrono i nobili decaduti che non possono più permettersi un certo stile di vita. Nel suo caso Hans Riechter era stato il passaporto per un mondo dove anche i burocrati come lui potevano accedere ai banchetti prelibati che si servivano nei palazzi del potete della capitale del Reich.
“Non si scaldi troppo… se vuole le chiedo scusa per essere stato troppo critico verso le nostre delikatessen! Da tedesco nato e cresciuto in un villaggio di campagna dovrei ricordarmi quanto buona fosse l’arista succulenta con la salsa di birra e il cavolo rosso servita da mia madre la domenica a pranzo! Se vuole proprio saperlo per me sono finiti sia i tempi del caviale e dello champagne sia quelli dell’arista di maiale della domenica. Ora mangio spesso scatolette… e sa che le dico: certa carne in scatola è anche gustosa! Farà male alla salute? Certo che sì! Tanto siamo immersi nei veleni: aria e acqua sono avvelenate e così, certamente, lo sarà anche il cibo. E poi ci sono i diserbanti, i fertilizzanti e chissà quante altre porcherie finiscono nei nostri piatti! Chi se ne frega… oramai sono vecchio!”.
Lo disse sospirando, con lo sguardo triste che scrutava il cielo. Entrambi non avevamo più nulla da aggiungere a quella conversazione e così rimanemmo in silenzio per un po’. Nel caso avesse voltato lo sguardo di nuovo verso me, mi avrebbe visto annuirgli con onesta convinzione. Ma non lo fece e così non poté constatare quanto fossi solidale con lui in quella sua denuncia dei mali del consumismo. Occasione mancata, vecchio burocrate! A parte questo non dovevo essere troppo accondiscendente con Heinrich e quella mia sfuriata sulle tradizioni culinarie teutoniche mi sembrò propedeutica alla nascita di un buon rapporto di fiducia reciproco nel quali le opinioni contrastanti vengono espresse, analizzare e corrette se necessarie. Credo che Heinrich iniziasse a guardarmi con rispetto, lo capii quando gli si illuminarono gli occhi al solo citare l’arista succulenta servita dalla madre. Fu il suo modo di ringraziarmi per avergli ricordato un’infanzia forse non ricca ma certamente non miserabile. Anche Heinrich annusò la brezza come un segugio.
“Devo ammettere che ha ragione… l’odore della salsa di pomodoro col curry mi sta facendo aumentare la salivazione. Se non fosse per l’uomo di merda in acqua mi avventurerei fino al furgone ristoro e ne acquisterei un paio. Uno anche per lei! Con patate fritte e una Berliner Kindl, scommetto!”.
“Esatto!”, risposi sorridendogli.
Era ovvio che non poteva distrarsi e consumare un pasto come tutti li altri gitanti. L’uomo di merda se ne stava in acqua e lui non poteva perderlo di vista. Ottima scelta, vecchio burocrate!
Nel pomeriggio, quella distesa di sabbia e sedie a sdraio che nelle ore più calde della giornata era stata animata di vacanzieri, iniziò a svuotarsi; sembrava un luogo sinistro e allo stesso tempo mistico. Era la luce di Sylt. In mare, oltre a Riechter che non riuscivo a vedere, c’era solo una vecchia grassona che camminava in lungo e in largo, non lontano da riva, come se stesse tentando di portare giovamento alle sue gambe grasse e gonfie.
Mentre Edith e Brigitte continuavano a camminare, due bambini giocavano con un aquilone a pochi passi da loro. Quest’ultima non poteva immaginare che la figlia le portasse così tanto rancore da desiderare di vederla soffrire fino alla fine dei suoi giorni. O forse sì. Forse sperava, con tutto il cuore, d’essere odiata a tal punto da costringere Edith stessa ad allontanarla per sempre, visto che lei non aveva il coraggio per farlo una seconda volta.
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