Il centro storico, circondato da mura medievali che ne ricordavano il passato, si articolava attraverso strade strette e incavate fra palazzi antichi, come fossero canyon solcati dalla presenza secolare di un fiume, tutte convergenti verso un punto unico, più in alto rispetto al resto della città, che ne sanciva il cuore antico e costituito, come d’uso, dalla diarchia di poteri che nei secoli avevano coesistito in quei luoghi: il Duomo, simbolo del potere sacro e il Palazzo Comunale, a rappresentanza di quello civile. Quella diarchia di potere era probabilmente l’unica reale testimonianza ancora presente e viva dei secoli passati, tramandata in quei luoghi dalla presenza di associazioni in passato talvolta segrete e, a quel tempo, al massimo riservate come può esserlo qualcosa in una cittadina abitata da un centinaio di migliaia di abitanti, in cui tutti conoscono tutti e, specialmente in certi ambienti, quelli legati alle élite imprenditoriali e professionali, tutti sanno tutto di tutti. Era il bello e, contemporaneamente, il brutto della vita di provincia, avvitata in un’immagine talvolta falsata della realtà, come in uno specchio deformante dentro a una casa dei misteri di un Luna Park.
L’inverno, ormai inoltrato, aveva portato con sé tutti i soliti corollari della stagione, compreso un vento freddo che a tratti si incanalava nelle vie strette del centro e sferzava le persone che, avvolte nei loro cappotti, percorrevano quelle strade illuminate per le festività natalizie in avvicinamento in cerca di regali, o di ritorno dagli ultimi giorni di lavoro prima delle feste.
In una di queste vie, di fronte a un cancello metallico chiuso, un gruppo di persone aspettava l’uscita da scuola dei figli in un rituale ripetuto uguale a se stesso, giorno dopo giorno: le classi uscivano in una sorta di valanga informe di bambini urlanti e i genitori cercavano di riconoscere la propria prole come quando, all’aeroporto, si aspetta il bagaglio sul nastro trasportatore tentando di distinguerlo da altri simili grazie a quei piccoli dettagli che rendono le cose che ci appartengono uniche.
Un uomo sulla trentina, coperto da un elegante cappotto grigio fumo, alto e magro, coi capelli rossi di quel tono lì per cui da ragazzo nove volte su dieci ti soprannominano “pel di carota” o roba simile, si era posizionato leggermente in disparte rispetto alla massa degli altri genitori, defilato su un lato, in attesa che il grosso della confusione svanisse.
Di solito, era sua moglie a prendere la bambina da scuola, ma qualche linea di febbre l’aveva costretta a casa affidando a lui quel compito che, comunque, quando doveva, svolgeva sempre con piacere perché, nonostante negli ultimi anni le cose al lavoro avevano iniziato a ingranare bene e con grande soddisfazione personale, anche per i piccoli lussi che iniziava a poter concedere a sé e alla famiglia, non riusciva a non sentirsi in colpa per le ore che inevitabilmente sottraeva ai suoi cari. D’altronde, il prevedibile rovescio della medaglia era rappresentato dal sempre minor tempo che riusciva dedicare alla moglie e, cosa che gli pesava anche maggiormente, alla figlia adorata. Del resto, se poteva ancora liquidare come normali i sensi di colpa per le assenze, i fatti degli ultimi giorni avevano aggiunto un forte carico di inquietudine che lo stava costringendo a una seria riconsiderazione complessiva della propria vita.
Non era però quello il momento di pensarci. Adesso c’era solo da aspettare l’uscita da scuola della piccola che rappresentava la gioia più grande della sua vita, godendosi appieno l’attimo in cui a lei, riconoscendolo una volta fuori, si sarebbero illuminati gli occhi e aperto il sorriso, assaporando ogni istante di quell’immagine.
Ancora il cancello era chiuso. L’uomo frugò in tasca, tirò fuori un pacchetto di sigarette e ne accese una, osservando gli altri genitori accalcati vicino all’uscita della scuola, intenti nella solita attività di socializzazione a cui lui non aspirava minimamente partecipare. Lo sguardo, distrattamente assorto sull’agglomerato di mamme e papà rumoreggianti a pochi metri da lui, fu attirato dalla figura di due uomini scesi da una macchina che si era appena fermata con due ruote sul marciapiede poche decine di metri più in là. I due avevano attirato istintivamente la sua attenzione, senza che sapesse bene perché, come se una sorta di campanello di allarme interno avesse voluto avvisarlo che c’era qualcosa di stonato che meritava attenzione.
L3L3 srl (proprietario verificato)
Oltre 300pagine in cui si sente subito lo spirito dell’autore. Un libro che ti appassiona ricco di dettagli interessanti. Complimenti per la scrittura leggera e piacevole.
Ilaria Cardella (proprietario verificato)
Ho letto con piacere e vivo interesse la storia del protagonista, Matteo Dei, uomo di raffinata intelligenza e scaltrezza. È un romanzo che ti cattura sin dalle prime pagine, con scrittura leggera ti conduce, senza mai allentare la presa, nella vita del protagonista. Grazie alla sapiente costruzione, tra colpi di scena, suspance ed interessanti descrizioni di luoghi e personaggi, il lettore si sente preso per mano ed accompagnato alla conclusione con entusiasmo, passione e divertimento.
Pasquale Minopoli (proprietario verificato)
Ho avuto il privilegio di leggere questo romanzo fin dalla sua primissima versione. Quella meno ragionata, quella di ”pancia”, e devo dire che mi piaceva già allora.. e parecchio.
E’ un libro che si legge con facilità, complice la trama avvincente condita da descrizioni curate e mai banali e dialoghi ben struttturati e convincenti.
Il personaggio di Matteo, il protagonista, è affascinante: ricco di contraddizioni e spigolosita’, ma con caratteristiche, quali l’estrema intelligenza e la scaltrezza, che lo rendono unico e permettono al lettere di empatizzare con lui e la sua storia. I personaggi di ” contorno” sono sempre ben caratterizzati ed originali e si inseriscono nel contesto con facilità, con leggerezza, arricchendo il tessuto del libro e favorendone la complessiva, ottima, riuscita.
La trama, come preannunciato, è avvincente, il lettore continua la lettura con il presagio del colpo di scena, con l’impellente necessità di arrivare alla conclusione per capire come andrà a finire. Ciò, chiaramente, non può che essere un valore aggiunto per un romanzo che a mio avviso ha il potenziale e ben si presta ad essere ” sceneggiato” per film o serie tv.
In conclusione, posso di dire aver ritrovato, in questo bel romanzo, il pathos e la narrativa di alcuni dei primi romanzi del maestro Ken Follett e ciò non può che essere un attestato di stima nei confronti dell’ autore e la mia personale spinta per indurlo a continuare su questa strada per la quale ha, evidentemente, una naturale predisposizione.
Complimenti!!!
Filomena Iolanda Carriuolo (proprietario verificato)
Un libro che si legge in pochissimi giorni, sia per la suspense alla fine di ogni capitolo che invoglia la lettura, sia grazie alla qualità della scrittura; a mio avviso ricca di dettagli, ma senza fronzoli, veloce, chiara. Trama originale, nuova .. e poi, il protagonista, suscita emozioni nel lettore, parecchio contrastanti;
riuscire in ciò non è facile. Un libro da portare con sé sotto l’ombrellone, oppure da regalare,in ogni caso da avere.
Buona lettura!
Annalisa De mizio (proprietario verificato)
Un libro appassionante e da leggere tutto d’un fiato. Tra una citazione, un richiamo ad una canzone e un modo di fare, Alberto si è raccontato attraverso il personaggio di Matteo Dei. Un libro dal finale che non ti aspetti e che onestamente spero abbia un sequel! Consiglio a tutti di acquistarne una copia, in non vedevo l’ora di capire come sarebbe andata a finire e poi, riscoprire Alberto tra le righe è stato davvero uno spasso!
Emanuele Trovato (proprietario verificato)
Forza Albe! Ne ho presi 3, così 2 li regalo, basta che poi mi fai la dedica 😉