Quando l’architetto trentenne Michael Thompson viene incarcerato a seguito di una rapina, ancora non sa che l’incontro con il suo compagno di cella gli cambierà la vita. Eiri Ami è infatti conosciuto come il detenuto più odiato dell’intera prigione, ma in breve Micheal impara a conoscerlo e scopre che dietro la scorza dura si nasconde un uomo il cui comportamento è frutto di un passato di sofferenza e dolore.
All’insaputa di Michael, Eiri elabora un piano di fuga che lo porta fuori dal carcere e lontano dal suo compagno di cella, ma la distanza non farà altro che accentuare il loro legame.
PRIMA PARTE
Eiri non sorrideva mai.
Al massimo, le sue labbra prendevano una strana piega storta, un angolo saliva verso l’alto e l’altro si stirava in una linea rigida, dura quanto i suoi gelidi occhi grigi.
Eiri era molto più dolce di quanto sembrasse, io questo lo sapevo.
«I libri sono terribili, Michael. Ti uccidono molto più facilmente di quanto facciano le persone» mi ripeteva in continuazione, eppure la volta in cui la guardia strappò delle pagine dal suo tanto prezioso romanzo passai un’interminabile notte seduto accanto a lui ad ascoltarlo sospirare con sguardo perso nel vuoto, più determinato che mai a cacciare la sua fragilità nell’angolo più oscuro della stanza.
La vita era stata dura con lui: aveva dovuto imparare a combattere fin da ragazzino e si era cresciuto da solo, senza mai protestare e senza mai cedere. Quando lo conobbi io, però, con i suoi vent’anni scarsi, Eiri Ami era stanco: stanco di quei lineamenti aggraziati che per strada gli avevano procurato tanti guai e troppi sguardi indiscreti, stanco di avere sempre pronta una risposta sarcastica, stanco di dover essere costantemente sulla difensiva.
«Non è poi tanto male qui… ci danno due pasti al giorno e ho persino un letto. Direi che ho fatto passi avanti rispetto alla mia quinta panchina di destra.»
I suoi occhi erano semichiusi mentre parlava e mi fissava impassibile da sotto le ciglia, poi un piccolo ghigno gli aveva increspato le labbra. Mi si era avvicinato, sussurrando a un soffio dal mio collo: «Carino, vero?».
Mi ero dovuto spostare, allontanare da lui. Con Eiri era sempre così: viveva di malizia e ironia e sembrava divertirsi nel mettermi in imbarazzo. Piccolo, esile e molto vicino alla cattiveria. O almeno, così mi era sembrato all’inizio, prima che conoscessi i tormenti della sua anima e la luce che sapeva brillare gioiosa nei suoi occhi.
Era davvero una creatura strana, ma era anche la persona migliore che avessi mai conosciuto in vita mia.
Non ci misi molto tempo a entrare in una pacata confidenza con lui, almeno non dopo aver capito che assecondarlo era molto più utile che cercare di contrastarlo con quella che per me era semplice normalità e per lui assurdità completa.
«Michael, ma ti ascolti quando parli? Se vuoi chiedermi qualcosa, chiedimelo e basta, perché devi perdere tempo a girarci intorno? È terribilmente irritante, le persone non dicono mai quello che pensano e si aspettano che tu le capisca comunque. Io non le capisco, Michael, non le capisco mai. Perché se vuoi che mi sieda al tuo tavolo a pranzo mi chiedi se di solito mangio con qualcuno? Dimmi solo: voglio che pranzi con me, Eiri. Dimmi questo e io verrò ovunque tu desideri.»
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Con lui non potevi mai permetterti di parlare del più e del meno o di prendere un discorso un poco alla larga: si irritava in un attimo e diventava incredibilmente sgradevole quando era nervoso. Era abbastanza spiacevole considerando la situazione in cui ci trovavamo: discorsi vuoti erano la normalità lì, ma io non potevo mai abbandonarmi alla dolce frivolezza di discutere del fatto che la nuova guardia indossasse sempre gli stessi calzini, non con Eiri almeno.
«E quindi?»
Lo chiedeva sempre, in continuazione, a ogni mia singola frase, come se volesse strapparmi l’anima a ogni parola, come se il semplice buongiorno con cui lo salutavo la mattina potesse nascondere chissà quali segreti.
I primi giorni ero terribilmente a disagio con quel ragazzetto e mi aspettavo quasi di trovarlo a studiarmi nella notte, pronto a farmi la scalpo semplicemente per vedere cosa ci fosse sotto. Poteva rimanere interminabili minuti a fissare un granello di polvere per poi girarsi verso di me con quei suoi grandi occhi sgranati e chiedermi: «Hai visto, Michael? Hai visto la vita?».
Non vedevo mai. Non sono mai riuscito a capire cosa diavolo guardasse e cosa il suo strano cervello registrasse.
«Perché non mi segui mai quando ti parlo? Sembri venire da un altro pianeta.»
Lui, fra tutti proprio lui, sembrava esserne davvero convinto. Non ho mai avuto il coraggio di dirgli che fra noi due quello che tutti ritenevano pazzo non ero io. Credo che lo sapesse comunque; probabilmente lo aveva sempre saputo.
Le poche volte in cui l’ho sentito ridere, ho provato lo strano istinto di piangere: aveva una di quelle risate dolci e melodiose che ti bruciano l’anima con la loro orribile malinconia.
«Michael, Michael, Michael, Michael…»
Avrà ripetuto il mio nome centinaia di volte, in qualche caso mi sembrava quasi che lo canticchiasse soprappensiero. Lo sussurrava, lo mescolava a un sospiro stanco, lo trascinava in quel suo tono irritante e malizioso.
Eiri è stato il centro della mia vita per quasi un anno e ora il mondo mi pare incredibilmente vuoto e ordinario senza lui al mio fianco.
Chi era Eiri Ami?
Ovviamente, il mio compagno di cella.
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