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L’amore che fa male

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Consegna prevista Giugno 2025

Marina è una donna come tante: chi mai sarebbe interessato a conoscere la vita di una donna che incontri di sfuggita per strada oppure una vicina di casa, con la quale scambi due parole distratte sulle scale del condominio?
Il suo paese, Pietranuova, così minuscolo e insignificante che non comparire neppure sulle carte geografiche. Eppure, dietro questo fitto velo di anonimato, prende forma la sua storia: seduta sul bordo di un letto Marina dovrà fare i conti con una scelta sbagliata che cambierà per sempre il corso della sua esistenza: un grande amore sfortunato, una figlia della quale ignora la vera paternità. L’incontro con un uomo riemerso dal suo passato segnerà il punto di svolta nella sua vita, un autentico prima e dopo, che la porterà a confrontarsi con la follia quotidiana della violenza subita.
“L’amore che fa male è il secondo titolo di una trilogia, che include “Fai la brava e comportati bene”.

Perché ho scritto questo libro?

È stata una necessità. Non mi ritengo una scrittrice ma una viaggiatrice che ha attraversato un luogo dove il dolore è nascosto, invisibile agli altri. La mia storia non è solo una narrazione, ma una dichiarazione che nonostante la mia oscurità, io sono qui e ho trovato la forza di raccontarla.

 

Chi pre-ordina la versione ebook avrà subito in omaggio un ebook che comprende i primi due volumi della nostra saga best seller “The Drunk Fury”.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Prefazione

Forse era destino.

Ma che cosa avrei fatto se avessi avuto la possibilità di tornare indietro?

«E se…?». Cosa sarebbe successo se avessi preso una decisione diversa? Avrei permesso che le cose andassero in quel modo, o avrei lasciato che finissero così?

Se ho considerato l’amore come una via di scampo, non voglio credere di aver fatto un errore. L’errore è stato semmai non accettare che l’amore alcune volte può trasformarsi in qualcosa di nocivo, diventare un amore che ferisce, un amore tossico. Quando smette di essere un rifugio e diventa carcere, è il momento di riconoscere i segnali. L’amore autentico eleva, non distrugge mai.

Rimanere intrappolate in quell’idea romantica che l’amore, a prescindere dalle circostanze, meriti di essere preservato a tutti i costi, è una lezione che va appresa il prima possibile, ma, liberarci da un amore che fa male, è il primo passo da compiere, verso la guarigione.

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È facile? No, non lo è. Per me non lo è stato. Anche se spezzate, mi sono confrontata con quella parte di me che è rimasta nascosta, nel tentativo di sopravvivermi. Riconoscere un amore non sano è la sola via di salvezza.

Se mia madre mi avesse insegnato a riconoscere nell’aria l’odore della caccia che inizia, se mi avesse preparato a fermarmi e ascoltare quella voce interiore che grida di fuggire al momento giusto, avrei schivato tanti dolori e molte trappole. Ci sono i segnali di pericolo e riconoscerli va insegnato. Noi madri lo dobbiamo fare, perché dopo, le ferite si possono solo leccare.

È stato un percorso difficile da iniziare, perché mi ha obbligato a rivalutare tutto ciò che credevo fosse giusto.

Volere raccontare un amore violento è stato un po’ come intraprendere un viaggio nell’oscurità, un cammino che mi ha costretto a esplorare le profondità delle relazioni umane e a confrontarmi con la complessità dell’affetto e dell’amore.

L’amore violento rompe l’illusione e costringe a guardarsi dentro, a fare i conti con l’amore e la possessività, con l’affetto e il controllo, a percepire come certi gesti di affetto possono invece rivelarsi manifestazioni di dominio e manipolazione. Una storia diventa la storia di tutti, il riflesso di tutte le altre storie, i frammenti di ognuno si nebulizzano, passano attraverso la pelle, si addentrano nell’amore che si trasforma in un legame che imprigiona anziché liberare.

Questi frammenti, polverizzati nelle storie, costringono a confrontarci con le paure inespresse, spingono a esplorare i confini dell’amore. Ho potuto scoprire che la violenza emotiva si insinua nella vita di una coppia, trasforma l’intimità in un campo di battaglia, rispetto e fiducia vengono calpestati.

Ecco allora che ognuno di noi diventa quella coppia di vicini affettuosi che si possono incontrare sulle scale del condominio, che scambiano con noi il buongiorno, possono anche essere quei due amici cari con cui ci piace uscire a cena di tanto in tanto, siano vicini di casa o amici. Sono la parte fragile, quella in ombra che si portano dentro e che vorrebbero scomparisse, che vorrebbero non facesse più male.

Il dolore della violenza è un’esperienza devastante e difficile da esprimere a parole. È un dolore che va oltre le ferite, è un tipo di male che penetra nell’anima e lascia filamenti invisibili che possono durare per anni, certe volte per tutta la vita. L’isolamento e la solitudine diventano compagne costanti, mentre l’incapacità di confidarsi con gli altri per paura del giudizio, la maledetta sensazione di vergogna che fa sentire sporchi e indegni di amore, diventano la nostra prigione invalicabile.

Il ricordo non svanisce da solo con il tempo, chi ve lo dice, mente, questa operazione richiede un lavoro di ricostruzione della propria vita, richiede la capacità di fare pace con i sensi di colpa che ci hanno afferrato e che non ci mollano più, richiede di fare pace con la paura, e concedere il perdono.

Vi invito a riflettere su questa donna, Marina, che ha trattenuto dentro di sé l’inferno per tanto, troppo tempo, tanto da diventarne parte, tanto da esserne stata marchiata, tanto da vedere la sua stessa umanità ridotta in cenere.

Questa donna ha vissuto in un abisso di disperazione che le ha consumato ogni speranza e ogni sogno.

Ogni giorno una battaglia, ogni respiro un atto di resistenza contro un mondo che sembrava deciso a schiacciarla.

PRIMO CAPITOLO

Come ogni sera, mi ritrovo a fare i conti con un silenzio che mi demolisce l’anima.

Me ne sto seduta sul bordo del letto, con lo sguardo perso nel vuoto, schiacciata dalle preoccupazioni che non fanno che diventare ogni giorno più pesanti.

Luca non è più la persona che ho conosciuto tanti anni fa, durante una sfilata di moda. Mi chiedo se sia davvero cambiato, oppure se sono stata io a volerlo vedere sotto un’altra luce.

In quel periodo stavo lavorando come modella per una casa di moda e la mia vita, in quel momento, aveva tutto il potenziale per diventare il mio, sogno ad occhi aperti.

Ci siamo incontrati per la prima volta a casa di un’amica comune, durante una serata piacevolmente calda.

Ero in compagnia di altre due amiche, colleghe di lavoro, avevamo deciso di uscire in giardino per fumarci una sigaretta e godere del fresco del giardino. Il nostro camminare sicuro sulle altezze del tacco dodici, avevano attirato l’attenzione di tutti coloro che ci vedevano passare. In mezzo a tutta quella gente, il nostro passaggio aveva suscitato l’ammirazione e anche un po’ l’invidia, delle signore.

Avevamo la strafottenza degli anni e di chi sa di avere il mondo ai nostri piedi.

«Io sono veramente stanca di queste serate. La noia di queste feste è davvero imbarazzante». Ero vestita di rosso, gli orecchini mi scivolavano lungo le spalle nude, avevo emesso un sospiro plateale, e mi ero appoggiata alla ringhiera di ferro. «Veramente stanca», la voce era seccata mentre mi avvicinavo alle labbra un piccolo tramezzino al formaggio.

In mezzo al frastuono le voci non trovavano più ascolto, ogni parola perdeva la propria identità, e non poteva fare a meno di mescolarsi al rumore generale, come una nota smarrita in un’orchestra stonata. Era come se lo stesso tempo fosse stato abbandonato alla deriva in mezzo a quei tessuti costosi. Si era arreso alla sua condizione di prigioniero di quell’eterno presente che non aveva né forma né sostanza, apparentemente incapace di trovare una via d’uscita da quel limbo senza nomi.

Avevo lasciato che il mio sguardo vagasse tra le persone, catturando alcuni frammenti delle conversazioni. Ogni angolo era un mondo a sé, popolato da chiacchiere sussurrate e da sorrisi stereotipati. Nonostante gli scrosci di allegria, le risate erano vuote di quella sincera ilarità, che avrebbe dovuto accompagnarle.

«Certo che non hai tutti i torti Marina» aveva risposto Sabrina passandosi una mano tra i capelli e lasciando che le ciocche le scivolassero tra le dita. Anche lei si trovava d’accordo, fingere un interesse che non provava di fronte a certe conversazioni banali e alle battute alle quali non trovava nessun senso, era sempre più estenuante.

Quelle persone sembravano vivere in un mondo parallelo, fatto di frivolezze e superficialità. Tutto questo l’aveva stancata

«Mi fa male la faccia a forza di sorridere», disse con rassegnazione.

«Io mi sto divertendo un mondo» rispose Lucrezia, la terza del gruppo di amiche, reclinando la testa all’indietro e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli biondi.

«Stare tra di noi non ci procura certo da lavorare», continuò rimettendo le cose nella giusta prospettiva, «Quindi» proseguì incalzante, «Propongo di muovere le nostre bellissime chiappe e ritornare di là, sorridenti e molto interessate a chiacchierare con ognuno dei presenti»

Lucrezia, tra le tre, risultava certamente essere quella meno incline alla contemplazione profonda e sempre pronta a ridere, ma al di là di questa disposizione al divertimento sempre e comunque, era anche la più ancorata alla realtà, con i piedi ben piantati a terra.

«Hai ragione» concordò Sabrina, iniziando a sistemarsi l’ampia scollatura che metteva in risalto un décolleté perfetto. La sua straordinaria bellezza metteva a disagio uomini e donne, mentre lei ne era del tutto ignara, sia del proprio fascino sia dell’effetto intimidatorio che esercitava sulle persone. I tratti del viso erano definiti con una precisione quasi chirurgica, il naso sfidava la perfezione e le labbra avevano linee così ben definite da sembrare tratteggiate con cura da un chirurgo estetico.

«Va beh, io mi concederò una breve pausa prima di buttarmi nella socializzazione. Vado a prendermi qualche cosa da bere». Mi ero staccata dall’appoggio della ringhiera, che fino a quel momento era stato il mio fedele compagno di osservazione. Mi allontanai salutando le due pazze con un gesto della mano. «Ci vediamo in giro ragazze».

Mi ero mossa verso il bar consapevole che bere mi avrebbe certamente aiutato a raggiungere la fine di quella serata. Cercai un posto libero dove potermi sedere.

«Un mojito, per favore» dissi con un cenno della testa, mentre mi stavo lasciando cullare dal suono della musica. Il rumore del frullatore e il profumo fresco della menta mi fecero compagnia fino al termine della preparazione del drink. Con un sorriso di anticipazione, mi avvicinai il bicchiere alle labbra, pronta a lasciarmi trasportare dal sapore del mojito e dalla quiete della mia temporanea solitudine.

«Non sono l’unico ad annoiarsi stasera». La voce dell’uomo mi era arrivata improvvisa alle spalle e mi fece trasalire in modo impercettibile.

«Sembrerebbe di no» risposi senza far trasparire nessun cenno d’interesse.

«Scusami», aveva sorriso, il tono della voce era calmo e rassicurante. «Non volevo infastidirti».

Lo sconosciuto aveva la testa piena di riccioli scuri che gli davano un’aria sbarazzina, anche se era chiaro che dietro quella capigliatura ribelle, ci fosse una persona profondamente consapevole di se.

«Sei con qualcuno?»

«Con due amiche»

«Belle come te?»

«No davvero!» scherzai, per rompere il ghiaccio. «Queste serate possono essere davvero noiose», avevo continuato, sorseggiando con disinvoltura dalla cannuccia di plastica. «Non trovi che questa festa sia di una noia mortale?»

«Direi proprio di si, ma ogni tanto, c’è spazio anche per un imprevisto» rispose in modo estremamente sornione.

Sollevai lo sguardo, colta di sorpresa da quella strana risposta

«E l’imprevisto sarebbe…?», domandai socchiudendo leggermente gli occhi.

«Chissà…la vita riserva sempre delle sorprese»

«Oh… Interessante. Piacere Marina», mi presentai, allungando una mano per stringere la sua.

«Luca…Il piacere è naturalmente tutto mio» rispose portandosi la mia mano alle labbra, senza però toccarla. Non avevo potuto fare ameno di sorridere mentre lo guardavo. L’eleganza e la galanteria sembravano provenire da un’epoca diversa, un tempo in cui i gesti cortesi e le buone maniere erano la norma. Era raro incontrare uomini come lui, che sapevano fare sentire una donna speciale con un semplice gesto come un baciamano.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Fabiola Toni-Hoffman
Fabiola Toni-Hoffman, nata a Lerici, La Spezia, il 9 marzo 1964. Educatrice montessoriana. Laureata in scienze pedagogiche. Insegnante yoga per bambini; fin dall’infanzia nutre la passione per la scrittura, che diviene la sua ancora di salvezza nei momenti più difficili.
“Fai la brava e comportati bene” sua opera prima (in vendita su Amazon) costituisce il primo titolo di una trilogia, seguito dal secondo libro “L’amore che fa male".
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