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L’amore giovane

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Consegna prevista Settembre 2025

Appena li ho visti insieme, ho deciso come sarebbe andata a finire. Il bambino è dolce e a suo agio. La morte della mamma
gli ha dato una nuova chance e il caso lo ha riunito con la sua metà che lo aspettava al supermercato. Mi sono ricordata di una poesia di Schiller in cui parlava che non sono i legami di sangue a renderci figli. Non ho neanche più ascoltato lo psicologo e il bambino, osservavo lui. E poi, si assomigliano addirittura!

Perché ho scritto questo libro?

Scrivo per dare voce alle esperienze, alle emozioni e alle osservazioni che mi hanno segnato. Ogni racconto è nato dal desiderio di condividere storie con spunti di riflessione su temi universali. La scrittura è un ponte tra il mondo interiore e quello esterno, un modo per creare connessioni profonde attraverso le parole.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Libero

“Figliolo, ti accompagno io.”

“Grazie, papà.”

“Sei sicuro di voler andare? Ieri sera ancora non stavi bene.”

“Grazie, Zahra. Voglio andare.”

“Sicuro?”, Zahra stende un braccio verso il ragazzo che si ritrae.

“Andiamo su, o faccio tardi al lavoro.”

In macchina, il padre gli chiede: “Perché fai così con Zahra?”

“Mi dà fastidio.”

“Cioè?”

“Papà…”

“Ci siamo sposati che sono… quanto? Sei mesi ormai. Potresti essere gentile.”

“Non le ho mai mancato di rispetto. Piuttosto è lei che è troppo gentile.”

“Che vuoi dire?”

“Pensa che sia un bambino. Mi sta addosso, mi chiede in continuazione come sto, se ho bisogno di qualcosa. Certe volte è proprio stramba.”

“Libero, perché non me lo hai detto prima?”

“Papà, devi girare. La scuola è di là.”

“Porco…”

Milo accosta e fa un’inversione a U.

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“Ehi! E avevi detto che volevi insegnarmi tu a guidare…” Milo ride.

Libero è seduto quasi in fondo all’aula.

“Quella di terza mi rompe il cazzo. Perché non le dai il tuo numero?” gli dice Ugo, il suo compagno di banco.

“Ma è scema? Perché viene da te? Le ho detto che non mi interessa.”

“Sei scemo tu. È una figa stratosferica e tu non la caghi.”

“Figa… Insomma…”

“Libero, hai qualcosa di rotto nel cervello. Diglielo una volta per tutto che non ti interessa.”

“Gliel’ho detto. E ora faccia quello che vuole. Se sei così ossessionato, dalle il tuo numero.”

“Non mi guarda neanche per sbaglio. Sei tu il figo.”

Quando torna a casa, Zahra lo chiama dalla cucina.

“Ti ho preparato pasta con le zucchine”, lo bacia sulla guancia. Libero resta immobile. “Quella che ti piace tanto.”

“Grazie, ma ti ho detto che avrei mangiato fuori.”

“Libero, ma dai! Ogni volta una scusa diversa.”

“Vado in camera.”

“Aspetta. Almeno il gelato. Lo vuoi?” Apre il frigo per prenderlo, ma quando si volta il ragazzo non c’è.

Libero è steso sul letto e guarda il soffitto. Bussano alla porta.

“Posso?”

“Zahra, no. Mi sto spogliando.”

Da dietro la porta, Zahra gli parla: “Scusa per prima. Quando sei pronto, ti preparo il caffè.”

“Porca puttana”, dice Libero a bassa voce. Resta sul letto, si volta e chiude gli occhi.

Scorre il feed di Instagram. Lo seguono tante ragazze, quasi tutte di scuole, e qualche suo compagno. Lui invece segue molti judoka. Trova un messaggio della ragazza di terza: “Ciao. Ti scrivo qua. Aspetto sempre che un giorno mi dirai di sì.”

“Ma va…” dice ad alta voce.

“Hai parlato con me?” dice Zahra dal corridoio.

“No. Mi stai spiando?”

“Ma che dici? Sono passata adesso per caso.”

Libero va alla scrivania e inizia a fare i compiti per il giorno dopo. Trascorre un paio d’ore quando sente bussare alla porta.

“Dimmi Zahra.”

“Ho preparato la merenda. Vieni?

“Arrivo tra due minuti.”

Si siede al tavolo in cucina. Zahra è già seduta con una tazza di tè davanti. Gli sorride.

“Grazie”, le dice freddo e mangia il panino. “Comunque, non c’è bisogno che ti disturbi. Mi sono preparato merende e cene da solo dopo che è morta la mamma.”

“Sì, certo, ma ora che abitiamo insieme, vorrei rendermi utile e mi fa piacere esserti d’aiuto.” Mentra parla, gli tocca il braccio con una mano. Libero resta immobile. Dopo qualche secondo, lei lo ritrae.

“Dovresti trovare qualcosa per tenerti occupata.”

“Faccio le cose di casa, aiuto tuo padre. Se potessi occuparmi anche di te, la giornata sarebbe bella piena.”

“Ce la faccio da solo, grazie.”

“Non ti capisco, Libero. Sei un ragazzo meraviglioso, hai un viso che incanta, quelle volte che sorridi è gioia pura e semplice.” Libero è impassibile. “E invece sei sempre cupo. Bello come sei, dovresti avere qualcuno e invece te ne stai chiuso in camera ed esci solo per il judo e la scuola.”

“Zahra, smettila per piacere”, posa il panino sul piatto.

Zahra gli stringe il braccio. “Se avessi conosciuto te invece che tuo padre…”

Libero si alza e se ne va in camera. Chiude la porta a chiave e si stende sul letto, nascondendo la faccia nel cuscino.

Squilla il cellulare. È il promemoria che gli ricorda l’allenamento. Si prepara ed esce senza salutare Zahra.

“Non contrasto il mio avversario. Cerco di capire la sua forza e la sfrutto per sconfiggerlo.” Libero ripete in testa il suo mantra prima di cominciare l’allenamento.

“Ricordatevi che mancano due mesi al campionato italiano”, urla un allenatore sovrastando i rumori della palestra.

“Ricordatevi che tra un mese decidiamo chi partecipa”, aggiunge un’allenatrice.

Libero ha di fronte Alessandro oggi, tutti e due hanno la possibilità di partecipare al campionato. Si assomigliano molto – capelli neri, occhi verdi, snelli – e all’inizio gli allenatori li confondevano. Si fissano e studiano le prese. Alessandro attacca con un colpo al tallone che Libero schiva. L’allenatore li osserva in silenzio. Libero si avvicina velocemente e lo prende alla cintura da dietro e cerca di sollevarlo, ma Alessandro si volta velocemente e gli passa dietro cercando di metterlo a terra. Cadono, ma Libero si gira velocemente e nell’orecchio gli dice: “Ce l’hai sempre duro quando combatti o sono io?”

Alessandro si deconcentra e Libero lo mette con le spalle a terra.

“Sei uno stronzo”, gli dice Alessandro quando entrano nello spogliatoio.

“Anch’io ti amo”, gli risponde Libero. “Ale, sei troppo suscettibile.”

“Come farei senza i tuoi consigli?”

“Sfotti, sfotti. Intanto, ti ho fregato. Comunque, sono lusingato che ti ecciti per me.”

“Ma vaffanculo”, Ale ride e gli lancia un asciugamano.

“Ci prendiamo qualcosa da bere?”

“Sì. Ti dispiace se lo dico anche a Isabella?”

“No, no. Anzi.”

“Sei tutto scemo.”

All’uscita dello spogliatoio, trovano l’allenatore ad aspettarli.

“Libero, non vinci con i trucchetti.”

“Scusa, Nullo.”

“Però la battuta faceva ridere”, dice Alessandro ridendo.

“Ale, inutile che lo difendi. Probabilmente ai campionati ci andate tutti e due, ma non voglio più scorrettezze del genere.”

“Va bene, coach”, dicono insieme.

Isabella è già seduta al tavolo quando arrivano..

“Sei sempre più bella, Isa”, dice Libero.

“Grazie. Anche tu.”

“Oh oh. Ale, preoccupati.”

Ridono.

“E poi non so quanto il tuo moroso sia etero.”

“Basta con sta storia, Libero.” Ale ride, ma è infastidito.

“Ogni volta che ci fanno combattere insieme, mi dimostra la sua passione” e con un gesto del braccio imita un’erezione. Ridono, mentre Ale resta serio.

“Ma dai, su”, Libero lo spinge, “non si può più scherzare?”

“E allora perché ti incazzi se la tua matrigna ti rompe i coglioni?” dice Ale ad alta voce. Cala il silenzio.

“Che è sta storia?”, chiede Isa.

“Niente. Io prendo uno spritz con il Select. Voi?”

Arriva a casa a ora di cena. Si siede a tavola con il padre e Zahra.

“Novità per il campionato?”, chiede Milo.

“Nullo dice che sarò selezionato.”

“Bene! E Alessandro?”

“Anche lui. D’altronde, siamo i meglio.”

“I migliori”, precisa Zahra.

Libero fa finta di nulla. “Per fortuna che è proprio dopo che è finito il quadrimestre.”

“Perché? Problemi a scuola?”

“Il solito. Matematica.”

“Libero, lo sai che Zahra può aiutarti.”

“Gliel’ho detto cento volte”, aggiunge Zahra.

“Vorrei farcela da solo.”

“Sì, ma piuttosto che rischiare l’ennesimo debito fai qualche ripetizione con lei. Dai, su.”

“Va bene papà.”

Zahra sorride.

“Si definisce logaritmo in base a di un numero x l’esponente da dare ad a per ottenere x, ossia…”

“Zahra, ma ti piace veramente sta roba?”

“Non mi sarei laureata in matematica se non mi piacesse.”

“Ma io proprio non c’ho la passione per ste cose.”

“Lo sai che è un mito, vero? Bisogna trovare il modo giusto per impararle e soprattutto per insegnarle.”

“Ecco, vedi? Ti abbiamo trovato una carriera.”

“Dai su, concentrati. Come dev’essere l’argomento x?”

“Maggiore di zero.”

“Bene. E la base a?”

“Pure maggiore di zero.”

“Sì, ma anche qualcos’altro.”

Libero pensa, ma non risponde.

“Dai, queste sono cose facili.”

“Figurati le altre. Tutta roba inutile.”

“Libero, devi liberarti di questi preconcetti se no non vai avanti.” Gli tocca il braccio. Libero si scosta.

“Se continui a pensare alla matematica così, non entri nel suo mondo.” Gli mette una mano sulla coscia. Libero cerca di allontanarsi, ma la mano di Zahra resta lì.

“Vuoi fare l’architetto? Devi conoscere la matematica!” Si avvicina con il volto al suo. Libero si tira indietro. Quando lei gli mette una mano tra le gambe, Libero si blocca sulla sedia.

“Zahra…”

“Hai capito?”

“Leva la mano!”

Lei la infila nei pantaloncini. Lui si alza e istintivamente con un colpo la spinge a terra.

“Ahi!”

“Scusa, scusa.” Si china per aiutarla. “Ti ho fatto male?”

“Un po’.” Lo bacia sulle labbra e Libero si alza ed esce dalla stanza.

Va in bagno e scrive ad Ale: “Ci vediamo?”

“Sto studiando. Tra un paio d’ore al bar?”

“No. Adesso. Vengo da te.”

Esce di casa così come è vestito, maglietta, pantaloncini e infradito. Di corsa arriva da Ale in un quarto d’ora.

“Ma come sei conciato? E come hai fatto ad arrivare così presto?”

Libero non dice niente e va verso la camera dell’amico.

“Volete la merenda ragazzi?”

“Sì mamma. Tra dieci minuti veniamo. Grazie.”

“Mi dici che cazzo…”
“Quella stronza tra un po’ mi violenta. Non ne posso più.”
“Chi? Zahra?”

“Lei.”

“Ma Libero, che dici?”

“Che dico? Mi ha messo una mano sul cazzo e mi ha baciato. L’ho spinta a terra e me ne sono andato.”

“Le hai fatto male?”

“Un po’, ma non me ne frega niente.”

“Mi sa che è ora che parli con tuo padre.”

“Quello è rincoglionito. È così innamorato che non mi crederà e poi non c’è mai a casa. Da quando si sono sposati è un incubo.”

“In ogni modo, devi parlare con qualcuno. Vuoi che lo accenni alla mamma?”

“No, no. Niente psicologi, per favore.”
“Ma lei…”

“Ale, sono venuto da te perché sei mio amico. Se devi tormentarmi anche tu…”

“Tranquillo. Come vuoi tu. Però devi parlarne a un adulto.”

Libero lo abbraccia: “Lo farò.”

Fanno merenda in cucina.

“Tutto bene ragazzi?”, chiede la mamma di Ale.

“Sì sì Marghe. Tu stai bene?”

“Sì grazie Libero. Tu non sembri tanto a posto però.”

“Sono uscito di corsa.”

“Si vede. Sei quasi in mutande.” Ridono. “Se vuoi ti riaccompagno in macchina.”

“No no. Torno a casa quando rientra papà.”

“Zahra è a casa?”

“È sempre a casa lei.”

“E come mai non vuoi tornare?”

“Con Ale facciamo dei compiti insieme.”

“Di che cosa?”

Indugia prima di rispondere. “Matematica.”

Margherita ride. “Sei proprio uguale a quando eri bambino. Non sai dire bugie. Lo diceva sempre Rider…” si interrompe a disagio.

“Puoi parlare della mamma. Nessun problema.”

“Se c’è qualcosa che non va, io sono qui.”

“Grazie Marghe.”

Passa il pomeriggio con Ale. Si fa mandare i compiti da Ugo sul telefono, ma non riesce a concentrarsi.

“La tizia che ti sta dietro a scuola?”

“Un’altra rottura di coglioni.”

“Libero, ma perché non…”

“Ale, ancora sta domanda! Non mi frega niente delle ragazze, non sono gay, non mi frega niente dei maschi. Sto bene così adesso. Te l’ho detto mille volte. Sta pippa del sesso a tutti i costi non mi tange, non me tocca come a voi.”

“Ok ok. Non sta’ a incazzarti. Scusa.”

Libero non parla per un po’.

“Scusa amico. Quella stronza mi sta tirando fuori il peggio.”

Scrive un messaggio al padre e resta a cena da Ale. Dopo, Margherita lo accompagna in macchina.

“Libero, senti Ale quando c’è qualcosa che non va”, gli dice Margherita salutandolo.

Il padre lo aspetta seduto sul divano. Quando lo vede vestito così, resta sbalordito.

“Che cos’è sta novità?”

“Sono uscito di corsa per andare da Ale.”

“E non avevi tempo per vestirti?”

“Ti dispiace se vado a letto? Sono stanco.”

“Domani esco presto. Devi andare in autobus a scuola. Buonanotte.”

Libero si addormenta appena si mette a letto, ma si risveglia di notte. Guarda l’ora sul telefono, sono le due e mezza. Si alza per andare al bagno senza accendere la luce. Si cala i boxer e siede sul gabinetto. Zahra apre la porta e lo guarda. Libero è come congelato. Dopo un po’ riesce a dire solo: “Vattene o chiamo papà.” Lei resta sulla soglia per qualche secondo, poi va via e chiude la porta.

Libero prende un asciugamano, se lo mette sul viso e ci soffoca un urlo. Si alza e dà una testata contro lo spigolo della doccia. Cade a terra svenuto.

Quando si sveglia, il padre è al suo fianco. Gli sta rimettendo i boxer e gli parla preoccupato. Dietro di lui c’è Zahra in piedi che guarda senza nessuna espressione sul viso. Libero si sente come se avesse un temporale nella testa e non riesce a dire niente di sensato. Il padre gli ha messo qualcosa di freddo e bagnato sulla fronte. L’acqua gli cola sul viso.

Il mattino dopo è nel suo letto. Guarda sotto le lenzuola: ha addosso boxer e maglietta. “Chi me li ha messi?” si chiede. Guarda l’ora, sono le 10. Ha ricevuto un messaggio di Ugo e uno di Ale, ma non li legge.

“Na giornata intera con questa?”, si dice a bassa voce. “Finisce che mi ricoverano.”

Si alza e sente una fitta alla testa. Ha una garza fermata con del cerotto sulla fronte. Si affaccia nel corridoio e ascolta. Non ci sono rumori. Va in cucina e si prepara il caffè. Si siede e risponde ai messaggi: “Sono svenuto in bagno stanotte e mi sono fatto male alla testa.” Poi ad Ale scrive: “Vieni da me quando puoi? Mangiamo insieme. Ti preparo i miei famosi maccheroni, burro e grana!”

Una vibrazione del cellulare, è Ale: “Oggi finisco prima. Sono da te per l’una.”

Beve il caffè e si sente meglio. Soprattutto, è il silenzio che lo conforta. Quando ha finito di bere, esce in giardino. Sente un rumore nel giardino a fianco e si avvicina al recinto.

“Ciao Onorio.”

“Oh ciao. Che bello che sei Libero. Se solo fossi più giovane…”

“Dai Onorio che sei giovanissimo.”

“Allora se ti sposo finiamo sui giornali. Ottantenne sposa il giovane amante di 14 anni.”

“Onorio, non ho più 14 anni. Ne ho compiuti 17.”

“Madonna che vecchio che sei diventato!” Libero ride.

“E poi sei già sposato, ti ricordi?”

“Divorzio subito se mi dici di sì.” Ridono tutti e due. Onorio smette di ridere e saluta freddamente: “Buongiorno.” Libero si volta e vede Zahra.

“Libero, sei indecente a uscire così.”

Libero non le risponde, saluta Onorio e rientra in casa. Si chiude in camera. Cammina a passi veloci nella camera, stringe i pugni e i denti. Si mette le mani nei capelli e ne strappa qualcuno. Guarda quello che ha fatto. Lo fa ancora una volta e urla per il dolore. Sente battere alla porta, ma non capisce quello che gli dice la donna. Prende il telefono e scrive ad Ale: “Porta da bere”.

“Ma che hai combinato? Che è sta roba?”

“Niente.”

“Ma… Ti sei tirato i capelli? Libero!”

“Niente.”

“Vestiti e vieni a casa.”

“No. Aspetto papà e gli racconto tutto.”

“Va bene, ma intanto non ti lascio con questa matta.”

In quel momento, entra Zahra.

“Cazzo, bussa prima!” urla Libero.

“Vi preparo qualcosa per pranzo?”

“Vai via!”, risponde Libero urlando.

Zahra si avvicina e i due ragazzi indietreggiano. Zahra ride con scherno.

“Due grandi e grossi che si mettono paura di una povera nera.” Esce dalla camera e chiude la porta.

“Andiamo.” Libero si veste ed escono.

Sono nella camera di Ale. “Non ti puoi fare male così. Sicuro che sei svenuto stanotte?”

“Ho dato una testata.”

“Parlo con la mamma.”

“No Ale. Parlo io con papà prima.”

“Ok. E adesso? Oggi abbiamo judo.”

“No, io non vengo. Scrivo a Nullo che mi sono fatto male.”

“Resto con te.”

“No, no. Vai. Io resto qua e torno a casa quando c’è papà.”

Quando Ale esce, Libero si tiene occupato al telefono. Sente il rumore della porta di casa. Esce e saluta Margherita. “Ma che è successo?” Libero spiega senza dire la verità. Margherita lo guarda incredula.

Quando è quasi ora di cena, Libero torna a casa. Entra e chiama il padre. Nessuno risponde. Va in camera sua. Scrive un messaggio al padre che risponde solo dopo una decina di minuti. “Ciao amore. Ho fatto tardi. Cenate pure voi.”

Si affaccia in cucina, apre il frigo, prende qualcosa e torna in camera. Mangia lì.

Si sveglia alle due. Va in bagno e chiude la porta. Ritorna velocemente in camera, si chiude dentro e si rimette a letto.

Si alza quando suona la sveglia. In bagno, tira un pugno contro la parete. Sente un dolore fortissimo. Prende del ghiaccio dal freezer e fa un impacco. Si prepara e va a scuola.

“Ehi, che è successo. Finalmente qualcuno te le ha date?” Ugo lo accoglie sorridente. Si accorge però che non è il caso di fare battute.

“Tutto bene?”

“No.”

“Che è successo?”

“Non ho voglia di parlarne.”

“Ok.”

All’intervallo, Libero parla con Ugo. “Scusa.”

“Di niente. Se e quando hai voglia, io sono qua.”

“Grazie.”

“Sai che alle medie ero finito anch’io in un vortice.”

“Cioè?”

“Mi sono tagliato per mesi sulle cosce.”

Libero lo guarda senza dire nulla.

“C’erano certi stronzi che mi rompevano il cazzo. Dicevano che ero grasso, cosa vera, che ero gay, cosa non vera, e che se non dimagrivo non avrei mai scopato. Questo purtroppo è ancora vero.”

“Mi dispiace Ugo. Che merde.”

“Se gliela dai vinta ai bulli, non finisce più. Avevo detto a mamma che non volevo andare a scuola, ma non mi ha neanche ascoltato. Più mi rompevano il cazzo, più mi tagliavo. Era l’unico modo per sentirmi meglio. Che cavolata, no? Ti fai male per non stare male.”

Libero si concentra sul judo e sulla matematica. Con Ale sono selezionati per il campionato italiano, ma il debito in matematica arriva comunque.

“Bravo figliolo. Quando hai il calendario, dammelo e ci organizziamo. Dove sarà?”

“A Livorno.”

“Così lontano?”

“Sono sei giorni, dal 2 al 7 febbraio.”

“Zahra, tu come sei messa in quei giorni?”

“Non c’è bisogno!” Libero si accorge di averlo detto in modo troppo stentoreo.

“Libero, che modi sono?”, chiede il padre.

“Scusate, ma non dovete sconvolgervi la vita per me.”

“Zahra, scusa, ci lasci soli per piacere?” Quando Zahra esce, Milo chiede a bassa voce: “E ora mi dici che cosa non va.”

“Niente, papà. Sarà la scuola e il campionato che mi innervosiscono. Non volevo alzare la voce.”

“Sarà, ma mi sembra di essere tornato indietro di sei anni.”

“Di che parli?”

“Di quando non volevi più andare a scuola perché un prof non faceva altro che prenderti in giro.”

“Io… ma quando?”

“Non te lo ricordi?”

“No.”

“Se non vuoi parlare con me, andiamo da uno psicologo. Oppure parli a un tuo amico o a un prof. Stavolta non voglio perdere tempo come quella volta là.”

Libero resta in silenzio.

“Amore, la mamma ti ha affidato a me e io voglio che tu ti senta protetto.” Lo abbraccia.

Il mattino dopo, padre e figlio si incontrano in cucina.

“Zahra dev’essere andata a correre.”

“Almeno fa qualcosa”, commenta sarcastico Libero. Milo finge di non capire.

“Se ti spicci, ti accompagno a scuola.”

“Arrivo.”

Milo sta per farsi un caffè quando vede una busta vicino alla macchinetta. Sulla busta c’è scritto “Per Milo”. La apre, è un biglietto di Zahra: “Non posso più andare avanti dopo che Libero si è approfittato di me. Ho troppa vergogna. Grazie di tutto Milo. Addio.” Milo lo legge di nuovo e ancora una volta.

“Sono pronto, andiamo?” Libero è tornato in cucina. “Papà?”

Milo si gira e gli mostra il biglietto. “Che cosa hai fatto?”

Libero lo legge. “Io… dov’è andata? … papà… non è vero niente!”

Milo lo spinge di lato e chiama la moglie. La trova nel bagno in soffitta, annegata nella vasca.

È stata una settimana convulsa. Milo si è dovuto occupare dei tanti parenti di Zahra venuti dal Belgio e naturalmente dei preparativi del funerale. Impegni che gli hanno permesso di non dover pensare molto alla seconda moglie che ha perso. Appena terminata la cerimonia della cremazione, affronta Libero con parole dure.

“Ora non voglio più avere niente a che fare con te. A marzo, quando compi 18 anni, te ne vai di casa.”

“Papà, te l’ho detto, è stata lei a tormentarmi, mi ha toccato, baciato. Quello che ha scritto non è vero niente.”

“Non ti credo. Una persona non si ammazza solo per rovinare la vita degli altri.”

“Zahra era malata. Lei aveva bisogno di aiuto, non io.”

“È già deciso. Ho parlato con lo zio. Te ne vai da loro in campagna.”

“Ma la mia vita? La scuola, lo judo…”

Milo si alza, prende il figlio per la camicia, alza una mano per picchiarlo, ma si ferma e lo spinge via. “La tua vita? Trovati un mestiere e una casa e continui la tua vita qui. Non con me però.” Si allontana urlando: “Non con me.”

Libero piange. Scrive ad Ale: “Possiamo vederci?”

“Scusa, adesso non posso”

“Mio padre mi ha cacciato di casa. Non posso fare neanche il campionato. Devo andare da mio zio nel buco del culo del mondo.”

Il giorno del compleanno, Libero prende le sue cose e lascia la casa. La sera prima, il padre gli aveva detto di aspettare che lui andasse via perché non voleva incontrarlo e meno che mai salutarlo.

Arriva un SUV e un colpo lungo di clacson lo invita a uscire. Al volante vede sorridente suo cugino Alessio.

“Cugggino! Dai monta su, andiamo via da questo postaccio.”

Si abbracciano.

“Grazie, pensavo che venisse lo zio.”

“Va bene che sono anni che non ci vediamo, ma ricordati che sono il cugggino maggiore. Ho preso la patente da un pezzo!”

Hanno sistemato le valigie e le borse di Libero e mentre chiacchierano, salgono in macchina e Alessio parte velocemente.

“Ma guidi sempre così?”

“Se vuoi ti insegno.”

“Mi piacerebbe prendere la patente. Occhio!”

“Rilassati e lascia guidare me. Non voglio un navigatore.”

“Va bene cugggino con tre g.”

“Buon compleanno!”

“Grazie. Sei l’unico che mi ha fatto gli auguri. Ormai sono un reietto.”

“Mi devi raccontare. Papà è stato molto sibillino.”

“Adesso?”

“Abbiamo quasi tre d’ore di viaggio prima di arrivare a Ripa.”

Libero gli racconta tutto.

“Ho sempre ammirato la zia Rider. Tua mamma era dolcissima.”

“Così la ricordo anch’io.”

“L’hai conosciuta così poco. Se Milo fosse stato più…”

“Cosa?”

“Tuo padre guida una merda e l’incidente è stata sicuramente colpa sua. E non mi meraviglio di quello che mi hai detto. Zahra mi è sempre sembrata una svitata.”

“Così stronza da dare la colpa a me per il suo suicidio.”

“Devi ringraziare papà. Lui ha avuto l’idea di farti venire. Se fosse stato per lo zio, ora saresti per strada a chiedere l’elemosina.”

Escono dalla strada principale e ne imboccano una sterrata. Quando arrivano davanti a un cancello, Alessio lo apre con un telecomando.

“Benvenuto alla tenuta.”

Guidano per mezz’ora ancora prima di arrivare alla casa. Lungo la strada, nei recinti ci sono molti cavalli e asini.

“Che belli!” esclama Libero.

“Quando li conoscerai meglio, te ne innamori.”

Libero è a suo agio tra i cavalli. Nel giro di due settimane, ha imparato velocemente a prendersene cura. Ne cavalca due, ma è affascinato soprattutto da Vento, un giovane dal manto nero.

“Meglio aspettare ancora. È buono, ma non si lascia montare facilmente.”

“Non posso provare con te vicino, zio?”

“Aspettiamo ancora. Piuttosto hai deciso per la scuola?”

“Penso che andrò all’istituto di Chianciano, indirizzo enogastronomia.”

“Ci manca qui alla tenuta uno così. Se dopo vuoi restare, sai che c’è sempre posto per te.”

“Grazie zio.”

“Non c’è bisogno. Piuttosto hai sentito mio fratello?”

“Dopo che non mi ha risposto quella volta che l’ho chiamato, non ho più provato. Papà non vuole avere più a che fare con me.”

“Non capisco come si possa mollare un figlio così. Davanti a una bugia così evidente.”

“Ha chiuso occhi e orecchie. Vale solo quel bigliettino. Ale gliel’ha ripetuto mille volte che gli avevo raccontato delle avance di sua moglie. Niente. Non crede a lui, non crede a me.”

“Più che non credere, non ascolta neanche. Dai su. Datti da fare con i cavalli. Ci vediamo a cena.”

Libero entra in un recinto e striglia un cavallo. Lo fa con cura e attenzione. Sono dodici gli animali e si prende cura di tutti, ma lascia Vento alla fine. Quando entra nel recinto, lo guarda negli occhi e lo accarezza sulla fronte. Il cavallo scuote piano la testa. Libero prende la spazzola e lo striglia. È lento, ancora più attento e amorevole di quanto ha fatto con gli altri. Ha un’erezione e sorride. Affonda la faccia sul fianco di Vento e inspira a fondo. Quell’odore gli fa girare la testa. Resta così per qualche minuto. La campanella della casa lo riporta alla realtà. È pronta la cena.

Libero è su Vento, lo cavalca a pelo. Si tiene alla criniera e corrono nei campi.

Si sveglia sudato. Si guarda intorno chiedendosi dove si trova. Nonostante abiti lì da mesi, ancora non si è abituato alla stanza di Alessio. Troppo grande, troppo buia.

Si accorge di avere eiaculato nel sonno. Va in bagno. Dopo essersi pulito, scosta le tendine della vasca per farsi una doccia. Sente un brivido lungo la schiena quando vede Zahra distesa nella vasca piena d’acqua.

“Libero, Libero!” Apre gli occhi e vede Alessio che gli tiene la testa sollevata da terra.

“Ecco dai. Mi senti?”

Mormora un debole sì.

A tavola in cucina, Libero gli spiega di averlo trovato a terra in bagno la mattina presto.

“Sono rimasto lì tutta la notte?”

“Non sai a che ora ti sei alzato?”

“No. Mi sono svegliato per un sogno e sono andato in bagno…”
“Brutto sogno?”

“Per niente. Stavo cavalcando Vento.”

“Dai su. Non ti sei fatto male cadendo, per fortuna.”

“Non dire niente allo zio, per favore.”

“Come vuoi. Però forse dovresti andare dal dottore.”

“No.”

Nella stalla, uno scudiero gli dà dei consigli su come fare la toletta.

“La Finch la usi solo per togliere il fango incrostato e comunque mai d’estate. Rischi di danneggiare il pelo e la pelle.”

“Ok. E questa?”

“Questa la usi sempre in direzione della crescita del pelo. Fai attenzione davanti e anche dietro perché lì il pelo cresce diversamente.”

“Ma sai tutto tu! Scusa, quanti anni hai?”

“Diciotto.”
“Abbiamo la stessa età. Io sono Libero, sono il cugino di Alessio.”

“Sì, lo so. Io sono Arti.”

“Non prendermi per razzista, ma di dove sei?”

“Sono nato a San Quirico”, dice ridendo. “I miei sono venuti qui dall’India.”

“E hai imparato tutto qui?”

“Tuo zio Cristoforo.”

Libero sorride. Pensa a quanto diversi siano i due fratelli, suo padre e suo zio.

“Grazie dei consigli.” Continuano a prendersi cura dei cavalli. “Ma perché non ti ho visto fino a oggi?”

“Vado a scuola e vengo qui solo la sera tardi, ma ora che è finita la scuola, mi vedrai tutti i giorni.” Arti gli sorride. “Cavalchi già?”

“Sì, ho montato Simba e Ares, ma mi piace Vento.”

“Vento è straordinario. Neanche io l’ho montato ancora. Cris… Il signor Cristoforo non vuole ancora.”

Libero nota che Arti è imbarazzato e guarda a terra.

“Che scuola fai?”

“A settembre comincio l’ultimo anno dell’Artusi.”

“Ehi, mi sono iscritto anch’io lì. Vado al quarto di Enogastronomia. Se supero gli esami.”

“Ma dai! Io faccio Produzioni dolciarie.”

“Che bello! Devi farmi assaggiare.”

“Vieni domenica a casa. Ti preparo le pesche di Prato.”

“Che cosa sono?”

Arti sorride: “Si vede che non sei di qui. È un dolce che sembra una pesca. Vediamo se indovini di che cosa è fatto.”

“Se ai tuoi sta bene, vengo volentieri.”

“Abito da solo.”

La domenica, Libero va in bici dalla tenuta a casa di Arti. Dopo un quarto d’ora, arriva a  una casupola isolata. Corrisponde alla posizione che Arti gli ha mandato. È quasi una baracca e Libero prova un senso di malinconia a vederla.

La porta è aperta, si affaccia e chiama, ma non ottiene risposta. Fa un giro intorno, ma non lo vede né sente rumori. Si avvia verso il fiume e vede Arti disteso sulla riva. È nudo. Si ferma a guardarlo. Dopo qualche minuto, Arti si volta per mettersi supino e lo vede. Sorride e lo saluta con la mano. Si alza e va verso di lui, camminando con naturalezza e sorridendo. Si avvicina e lo bacia sulla guancia.

“Ciao”, dice Libero imbarazzato.

“Ciao. Sono contento che sei venuto. Se vuoi fare il bagno, spogliati. Qui intorno non c’è nessuno. E poi, anche se ci vedono…”

Libero obbedisce. Arti lo guarda mentre si spoglia e ride.

“Perché ridi?”

“Scusa. Non volevo mancarti di rispetto. Sei tanto bianco.”

Libero si unisce alla risata. “Tu sei tanto scuro.”

Scendono insieme nel fiume.

“Cazzo, che fredda.”

“Ti ci abitui subito. Andiamo più in là.”

Arrivati in mezzo al fiume, il fondale è abbastanza profondo e l’acqua arriva loro alle spalle.

“Hai ragione, è bellissimo.”

Restano nel fiume senza parlare.

“Se resto ancora, mi si staccano le palle”, dice Arti.

Ridono ed escono dall’acqua. A casa, Arti porge un asciugamano a Libero.

“Vieni, è pronto da mangiare”, Arti gli fa strada. Ha preparato una tavola sotto un pergolato che Libero non aveva visto prima. “Siediti, arrivo subito.”

Libero si annoda l’asciugamano sui fianchi e si siede su una panca. Si sente solo il vento e le cicale. Chiude gli occhi e immagina Vento.

“Ecco”, Arti appoggia un piatto sul tavolo. “Fusilli bucati con melanzane e zucchine al primosale.”

Mangiano in silenzio.

“Ma tu sei già un cuoco eccezionale.” Arti sorride.

“Spero che ti piaccia il pollo.” Arti non aspetta la risposta e si allontana. Torna con un altro piatto. Lo scopre con un gesto teatrale dicendo: “Pollo e gamberi al curry.”

Libero mangia la sua porzione e poi ne chiede ancora.

“Tieniti libero per le pesche”, lo avverte Arti.

“C’è sempre uno spazietto per il dolce. Come mai abiti da solo?”

“Quando mamma e papà hanno deciso di andare in Romagna, li ho accompagnati. Ho visto dove avrebbero abitato e ho deciso che non volevo lasciare questo paradiso. Ho chiesto a Cris di… Scusa, ho chiesto a tuo zio e mi ha dato questa baracca.”

“Non ti pesa stare così isolato?”

“Ci sono i cavalli e gli asini. Non sono mai solo.”
“Anche a me piacerebbe qui. Non mi piace stare con le persone. A Roma avevo un solo amico. Due forse.”

“Niente ragazze?”

“No.” Dopo qualche secondo aggiunge: “E neanche ragazzi.” Ridono. “Giusto per essere chiaro. Non mi sono mai sentito attratto da nessuno.”

“Neanch’io”, precisa Arti e poi aggiunge: “Fino a qualche settimana fa.”

“Ah sì? E chi…” Libero si interrompe rendendosi conto di stare facendo una domanda superflua. Arti sorride e chiede: “Pesche di Prato?”

“Non vedo l’ora.”

Arti porta un piatto e lo scopre con un altro gesto studiato. Ridono.

“Arti, sono bellissime. Sembrano pesche sul serio.” Libero ne prende una con due dita e la morde piano. Chiude gli occhi mentre assaggia il pezzetto che ha preso in bocca. “E sono buonissime. C’è la crema e sento un liquore.”

“Sono fatte di pasta brioche, crema pasticcera e bagna all’alchermes.”

“Che cos’è l’alchermes?”

“È un liquore che si usa specialmente per i dolci. Vuol dire cocciniglia.”

“Ma la cocciniglia non è un insetto?”

“Sì. La coltivano apposta per colorare i liquori. Tutti quelli rosso cremisi erano fatti così. Poi hanno inventato i coloranti azoici.”

“Arti, che bravo.”

“Prendine ancora. Faccio il caffè.”

Dopo pranzo, si stendono sulle amache che sono sui tronchi degli alberi. Al fresco del fogliame, Libero si addormenta.

“Cugggino. Non ti vedo mai. Scusami, ma l’azienda è un vampiro succhiasangue.”

“Alessio, cugggino, ti voglio bene. Grazie ancora.”

“Dai, se fai così mi metto a piangere.” Ridono. “Piuttosto, vedo che un amico te lo sei fatto.”

“Arti è molto simpatico. E poi cucina benissimo.”

“La cucina è una sirena.”

Libero sorride, ma si chiede che cosa intendesse dire Alessio.

“Pronto a cominciare la scuola domani? Come fai ad andare a Chianciano? Papà ha già trovato la soluzione, scommetto.”

“No. Il padre di un compagno di Arti lavora a Chianciano e ci porta lui.”

“Tutto a posto allora.”

“Sì, tutto a posto.”

Quella notte, Libero non riesce a dormire. Alle cinque si alza e prende la bici per raggiungere la casa di Arti. Lo trova sveglio che prepara la colazione.

“Ehi che bello! Siediti ho fatto il naan. Non potevi dormire?”

“No. Pensavo alla scuola nuova. Solo un anno fa, ero in un altro mondo e ora non mi dispiace affatto quello che è successo. Sono in questo mondo che mi piace tantissimo.”

“Sono contento, Libero. Ne hai passate tante e te lo meriti.” Si alza per sparecchiare. Anche Libero si alza: “Ti aiuto.” In cucina gli chiede: “A che ora dobbiamo essere a casa del tuo compagno?”

“Alle sette e mezzo.”

“Sono le sei e un quarto.”

“Sì, sono le sei e un quarto.” Posa i piatti sul lavello.

“Abbiamo tempo.” Libero si avvicina ad Arti e lo bacia.

Cristoforo cerca Libero nella stalla. Da lontano lo vede che si sta prendendo cura di Vento e va verso di lui. Quando è più vicino, vede il ragazzo appoggiato al fianco del cavallo. Ha gli occhi chiusi e la faccia contro l’animale. Si ferma a guardarlo. Quando Libero apre gli occhi e lo vede, riprende a strigliarlo e saluta lo zio.

“Come ti trovi a scuola?”

“Benissimo. Mi piace moltissimo.”

“E Arti? Vedo che sei sempre con lui.”

“È un vero amico. E lui ti ammira come se fossi un dio.”

“Sì, Arti è un ragazzo caro. Credo che senta la mancanza dei suoi.”

“Dici? A me sembra contento di stare in quella casa. E poi in cucina è un maestro.”

“Sì, lo so.”

“Zio?”

“Dimmi.”

“Se andassi ad abitare da lui? Lascerei libera la stanza ad Alessio e non sarei più tanto un peso per voi.”

Lo zio sorride. “Fai quello che ti fa stare meglio. Venerdì pomeriggio monti Vento.”

Libero sorride felice. “Grazie. Ma solo se mi mostri tu, zio.” Lo abbraccia.

“Vengo ad abitare con te.”

Arti lo bacia.

“Solo se vuoi.”

Arti ride. “Lo voglio.”

“Lo zio mi lascia montare Vento. Vieni anche tu?”

“Davvero ti lascia?”

“Sì. Ma che hai?”

“Gliel’avevo chiesto anch’io, ma mi ha sempre detto di no.”

“Mi dispiace Arti. Se vuoi gli chiedo…”

“No, no. Lascia perdere.” Si alza.

“Ehi, non prendertela con me adesso. Non lo sapevo.”

“Il nipote bianco ha avuto l’onore. Lo schiavo marrone è buono solo per…”

“Arti, che dici?”

“Venerdì hai detto? Certo che ci sarò. Voglio vederti contento.”

Libero è pronto per montare Vento. Cristoforo e Arti lo aiutano a mettere le protezioni. Lo zio gli dice all’orecchio: “Ricordati che ​​non basta saper cavalcare, devi saper cadere.”

“Sì, zio.”

Arti lo aiuta senza dire nulla. Non lo guarda negli occhi. Si inginocchia per controllare i parastinchi. Cristoforo si rivolge a lui molto freddo: “Arti, non c’è bisogno. Può farlo da solo.”

A voce bassa bisbiglia: “Sì, badrone”, ma Libero lo sente.

Quando finalmente Libero sale su Vento, il cavallo sbuffa.

“Tranquillo, Libero. Se fa così, è rilassato”, lo rassicura lo zio.

Libero lo fa andare. Vento cammina.

“Va bene così, Libero. Fallo andare all’andatura che preferisce.”

Libero e Vento fanno dei giri circolari nel recinto.

“Se vuoi, vai pure più veloce.”

Arti guarda Cristoforo stupito. “Non è troppo presto?” Ma l’uomo non gli risponde.

Vento va al trotto. Arti nota che l’animale alza la testa una volta.

“Hai visto?”, dice Arti, ma Cristoforo continua a ignorarlo.

Vento alza la testa una seconda volta e poi più spesso. Cristoforo non interviene. Arti grida: “Libero, fai attenzione. Si sta innervosendo.”

Libero vede Arti che gli fa segno, ma non capisce quello che gli dice. Vento si mette improvvisamente dritto e Libero scivola ma si tiene alla briglia. Vento con un colpo di schiena scatta in avanti e Libero lascia le briglie cadendo a terra e batte forte il sedere.

Si risveglia in un letto. A fianco ci sono Arti e Alessio.

“Ehi campione. Come stai?” L’entusiasmo di Alessio lo fa sorridere. Sente un forte dolore tra le gambe e fa una smorfia.

“Ehi, come va?” Arti gli sorride.

“Insomma. Mi fa male qui tra le gambe. Che è successo?”

“Sei caduto e hai preso una brutta botta”, gli spiega Arti.

“Ecco papà.”

“Libero, amore, non preoccuparti. Ho parlato con il dottore. Hai una lesione uretrale per la caduta. Vedrai che con il catetere guarisci in un paio di settimane.”

“Uretrale?”

“Ho avvertito tuo padre.”

“Viene?”

“Per adesso no.”

“Meglio. Devo restare qui?”

“Stanotte. Ma dopo puoi venire a casa. Il catetere è una scocciatura, ma te la sei cavata bene.”

“Resto con te, se vuoi”, gli dice Arti.

“Bene”, dice Cristoforo. “Allora noi veniamo a prendervi domani. Alessio chiama la scuola per avvertire che non andate per qualche giorno.”

Quando sono soli in camera, Arti prende le mani di Libero. “Ho avuto paura.”

“Sono stato stupido. Ti ho visto, ma non ho capito che mi dicevi.”

“Ora puoi pisciare solo nella cannuccia.” Ridono.

“E non possiamo fare niente per un po’”, aggiunge Libero. Ridono di nuovo.

“Be’, ci sono tanti altri modi per divertirsi.”

“Vuoi approfittarti di un invalido?”

“Certo che voglio!”

Cristoforo è in macchina da solo. Raggiunge la casa del fratello e suona il campanello.

“Oh, Cris, che sorpresa!” Milo è gelido.

“Se non rispondi al telefono, mi pare l’unico modo per parlarti.”

Entrano in casa.

“Libero si è fatto male. Ti ho già detto che non è niente di serio. Il problema è questa tua cocciutaggine.”

“Non ricominciare…”

“Tu non ricominciare!”, dice Cristoforo ad alta voce. Si siede sul divano. “Libero non ha niente a che fare con la morte di tua moglie. Se non vuoi ammettere che Zahra non stava bene, fatti tuoi, ma non puoi compromettere la salute di tuo figlio. E neanche il vostro rapporto.”

“Non posso credere che una donna si tolga la vita per rovinarne un’altra. Io credo a quello che ha scritto.”

“Zahra non stava bene. Punto. Tuo figlio è gay!”

“Che dici?”

“Credo che abbia un ragazzo. È un giovane che lavora per noi, anzi abita da noi da quando era bambino. È rimasto dopo che i genitori si sono trasferiti perché è bravissimo con i cavalli. E anche Libero.”

“Gay? È vero che non ha mai avuto ragazze, ma…”

“Dio mio, Milo. Sembri che tu sia rimasto agli anni ‘50.”

“Ammetterai che per un padre sapere che il figlio se la fa con un uomo non è facile da digerire.”

“Proprio no. Non lo ammetto. Meno male che abitiamo a centinaia di chilometri. Uno come te non potrei proprio frequentarlo.”

“Mi stai dicendo che se Libero è gay, non può avere… non può essere andato a letto con Zahra.”

“Poco probabile.”

Milo resta in silenzio.

“Sei tu il padre, l’adulto. Devi fare qualcosa tu”, continua Cristoforo. “Il ragazzo può restare da me quanto vuole, ma non puoi tagliarlo fuori dalla tua vita.”

“E chi è questo ragazzo con cui Libero… sta?”

“Vuoi il curriculum? Vieni a chiederglielo.”

“Sì, no. Non so. Non adesso. Lasciami pensare.”

“Vado. Sono venuto solo per questo. Cerca di non fare più il bambino e rispondi se ti chiamo.”

“Va bene.”

“Ci sentiamo” e va verso la porta.

“Grazie Cris.”

Milo si accascia su una sedia. È scioccato dalla notizia. Si prepara un caffè e scrive un messaggio al cellulare.

“Zahra, amore mio, che cosa hai fatto?” e preme il pulsante di invio.

Libero è a casa di Arti. Si muove a fatica perché ha ancora il catetere, ma sta molto meglio dopo dieci giorni dall’incidente.

“Domani mi accompagna lo zio all’ospedale.”

“Ti dispiace se non vengo? Magari torno a scuola.”

“Sì sì. Vai a scuola. È già troppo tempo che ti tengo qui rinchiuso.”

Arti lo bacia. “Mi piace stare rinchiuso con te.”

“Anche a me”, gli risponde Libero.

Sentono chiamare dall’esterno. “Ehi, piccioncini?”

“Alessio, vieni. Entra.” Libero lo fa entrare mentre Arti tiene la testa bassa e va in cucina.

“Vi porto da bere.”

“Grazie Arti. Cugggino,  mi manda papà. È stato dallo zio Milo.”

“Davvero?”

“Mi ha chiesto di dirti tutto senza censure.” In quel momento, Arti rientra nella stanza con un vassoio. “Gli ha detto che stai insieme ad Arti e che quindi quello che ha scritto Zahra non può essere vero.”

“Che cosa gli ha detto?” dice Libero e contemporaneamente Arti: “Ma cosa? Chi glielo ha chiesto? Chi gli ha dato il permesso di intromettersi?”

“Calmatevi piccioncini. Questo è il male minore. Piuttosto che zio Milo continui a pensare che tu sia la causa della morte della moglie, era meglio riferirgli come stanno le cose. È il 2024, lo si può dire senza che rischiate di essere lapidati.”

“Io sì”, dice Arti ad alta voce. “Se i miei lo sanno, non ho neanche idea di quello che mi fanno!”

“Arti, lo sai che ormai fai parte della famiglia”, dice Alessio mettendogli una mano sulla spalla. “Sei con noi, sei uno di noi.”

Libero rompe il silenzio: “Certo che lo zio poteva avvertire.”

“Papà preferisce le cose traumatiche piuttosto che le discussioni e i ripensamenti. Ha deciso ed è andato. Vedrai che lo zio Milo si farà vivo presto.”

“Speriamo che tutto vada bene”, conclude Libero.

“Ehi Arti”, dice Alessio, “che c’è? Non devi piangere, tutto andrà per il meglio.”

“Sì, Alessio. È che nessuno mi aveva mai detto cose così. Non mi sono mai creduto uno della famiglia.”

“Ma certo Arti”, continua Alessio, “magari non te l’abbiamo detto, ma lo abbiamo sempre pensato.”

Arti resta in silenzio. “Tuo padre otto anni fa mi ha fatto capire che ero roba sua.” Gli altri aspettano che continui. “Roba sua.”

“Che dici?”, chiede Alessio con un tono completamente diverso.

“Avevo dieci anni quando Cris e io abbiamo fatto sesso per la prima volta.”

Alessio si alza di scatto. “È vero? Non lo stai dicendo solo perché sei arrabbiato?”

“È tutto vero. Chiedilo anche a lui.”

“Avevi dieci anni? Ed è andata avanti per quanto tempo?”

“Fino a quando ho conosciuto Libero.”

“Otto anni? Con un bambino?”

“Alessio, non dirgli niente”, continua Arti. “Io non ce l’ho con lui e credo di essere stato innamorato di tuo padre e forse anche lui…”

Alessio non parla. Libero è uno spettatore attonito.

“Mi ha ordinato di non rivolgergli più la parola dopo che gli ho detto di Libero. Mi ha detto di continuare la mia vita qui, ma devo fingere che lui non esista.”

“Ok, non ne parlo con lui se è questo che vuoi.”

“Grazie Alessio.”

“Vi saluto” e se ne va.

“Sei ancora innamorato di lui?” chiede Libero una volta rimasti soli.

“No. Forse non lo sono mai stato. Forse lo era il bambino di dieci anni.”

“E io?”

Arti lo guarda. “Non lo so, Libero. Mi piaci molto, con te sto benissimo, ma non mi far dire cose che ancora non so.”

“Va bene. Forse è meglio se torno a casa dello zio.”

“No.”

“Arti, io non ho mai avuto nessuno…”

“E io che cosa ho avuto? Un uomo che aveva trentacinque anni più di me? Come lo devo chiamare? Il mio ragazzo? Il mio uomo? Il mio violentatore?”

“Ma lui non ti ha violentato, vero?”

“Tutto si riduce a questo? Vuoi sapere se mi ha infilato il cazzo nel culo? No, non lo ha fatto.”

“Arti, mi dispiace.”

“Io non sono traumatizzato. Almeno penso. Ma quando ho conosciuto te, ho capito che cosa volevo. Cris, mi ha scelto lui. Mentre io ho scelto te, ti voglio e non voglio perderti.”

Si abbracciano.

“Resta qui”, gli chiede Arti.

“Solo se mi insegni tutto sui cavalli”, ridono, “e a fare le pesche di Prato.”

2024-12-24

Aggiornamento

Cari amici, sono passati 20 giorni dall’inizio della campagna di crowdfunding per il mio libro. Grazie a. voi, sono state prenotate 32 copie. Vi ringrazio di cuore per la fiducia. Tuttavia, il traguardo è ancora lontano: per pubblicare il libro bisogna raggiungere 200 pre-ordinazioni. Per questo vi chiedo un piccolo, ma prezioso aiuto: spargete la voce! Parlate del libro a chiunque possa essere interessato: amici, familiari, colleghi o gruppi che frequentate. Ogni condivisione è fondamentale per far conoscere il progetto. Link per pre-ordinare: https://bookabook.it/libro/lamore-giovane/ Grazie ancora per il vostro sostegno. Un caro saluto, Giacomo
2024-12-23

Aggiornamento

Cari amici, sono passati 20 giorni dall’inizio della campagna di crowdfunding per il mio libro. Vi ringrazio di cuore, perché ne sono state pre-ordinate 32 copie. Tuttavia, il traguardo è ancora lontano: per pubblicare il libro bisogna raggiungere 200 pre-ordinazioni. Per questo vi chiedo un piccolo, ma prezioso aiuto: spargete la voce! Parlate del libro a chiunque possa essere interessato perché ogni condivisione è fondamentale per far conoscere il progetto. Link per pre-ordinare: https://bookabook.it/libro/lamore-giovane/ Con il vostro aiuto, sono certo che possiamo farcela! Grazie ancora per il vostro sostegno e per credere in questo progetto insieme a me. Un caro saluto, Giacomo

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    I racconti, delicati quanto densi di umana profondità, che compongono Amore giovane – che ho letto in anteprima – offrono molteplici suggestioni al lettore. Essi mettono soprattutto a fuoco con sensibilità i problemi tipici dell’adolescenza, la conradiana “linea d’ombra”, segnata nello stesso tempo da titubanza e sprovvedutezza, dalla voglia di osare e insieme dalla paura di entrare nella maturità della vita, con le sue gioie e le sue amarezze. E spesso racconta – anche con scene erotiche lievi ma che pure si imprimono con pregnanza nell’immaginario – della scoperta di sé e della propria sessualità.
    Toccando temi di assoluto interesse – dislocati in tempi storici diversi, ricostruiti con perizia – il libro propone situazioni percorse ineluttabilmente da fremiti del cuore, entrando acutamente, anche grazie a incisivi dialoghi, nella psiche dei personaggi. Intessuti di simboli e di dotti riferimenti culturali, i racconti si offrono inoltre a più interpretazioni, così da soddisfare ogni tipo di lettore.

  2. (proprietario verificato)

    In questi racconti vengono affrontati temi che toccano in modo profondo e sensibile argomenti vicini ad ognuno di noi. Riscoprire aspetti del proprio vissuto o di vite parallele alle nostre con nuove prospettive, vivere con altri occhi momenti storici precisi, descrizioni cristalline ed emozioni percepebili in modo concreto che fanno riflettere e colpiscono nel profondo. I racconti di Giacomo sono un piccolo angolo di profonde riflessioni, spero con tutto il cuore che questo sarà il primo di molti libri.

  3. Antonio Pastore

    (proprietario verificato)

    I racconti di Giacomo sono davvero immersivi ed intensi. Avendone avuto la possibilità di leggerne un’anteprima, ho rivissuto le emozioni di quando ero ragazzo e mi affacciavo all’amore. È stato come entrare in una vecchia foto e rivivere quelle sensazioni una seconda volta… mi sono realmente sentito come se tornassi indietro a riprovarle. Consiglio davvero queste letture, vi emozionerete sicuramente.

  4. (proprietario verificato)

    Giacomo ha scritto dei racconti intensi, viscerali e ricchi di rimandi alla storia in cui esplora il passaggio dall’infanzia, all’adolescenza e all’età adulta. Spesso le sue storie evocano un senso di luogo e cultura, concentrandosi su temi di appartenenza, isolamento e su relazioni interpersonali complesse. Uno dei punti forti sono i dialoghi che rivelano molto dei personaggi senza bisogno di spiegazioni eccessive. La fluidità delle conversazioni rende la lettura piacevole e dinamica.

  5. Guglielmo Pozzi

    (proprietario verificato)

    Amore Giovane è una lettura intensa, toccante e ricca di profondità emotiva. L’autore affronta tematiche complesse e delicate con una sensibilità straordinaria, esplorando i legami umani, il dolore, l’amore e il coraggio di affrontare il passato. I personaggi sono incredibilmente autentici, ognuno con un bagaglio emotivo che cattura e coinvolge il lettore. Il dialogo, crudo e diretto, rispecchia la complessità delle relazioni, portando il lettore a riflettere sulle sfumature dell’amore e delle scelte personali. Consiglio vivamente questo libro a chi cerca una storia che sappia toccare il cuore e lasciare il segno.

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Giacomo Caruso
Nato e cresciuto a Napoli, vivo a Venezia da molti anni. Amante di cinema, lettura, fotografia, aerei e treni, ho dedicato gran parte della mia vita all’insegnamento in un liceo. Oggi esploro e racconto ciò che più mi ispira: Venezia, l’arte e l’architettura.
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