Ma la causa primaria della sua tachicardia era la presenza di un alcaloide naturale in circolo nel suo organismo; la tubocurarina blocca la trasmissione dell’impulso nervoso dal nervo al muscolo, paralizzando i muscoli volontari ad eccezione del cuore e lasciando intatta la coscienza.
Non aveva più la percezione del tempo che aveva trascorso in quello stato vegetativo e di quanto ancora le rimaneva prima di poter muovere nuovamente anche un solo dito; erano passati esattamente ottantatre minuti dalle tre somministrazioni di quella sostanza e trentasette i minuti che avrebbe dovuto trascorrere ancora in quello stato stazionario.
…finché morte non ci separi, finché morte non ci separi…
L’unico ricordo che aveva prima di precipitare nel buio totale, prima di sentirsi incapace di ogni azione che per un essere umano è naturale compiere. Pur sforzandosi, non riusciva a recuperare altri ricordi e lì, in quel vuoto per lei immenso, nell’oscurità più nera non percepiva nulla che riuscisse a farla ragionare sulla presenza di quell’unica frase nella sua mente, sul come era finita in questa orrenda e spiacevole situazione, sul perché si trovasse proprio lì e soprattutto perché proprio lei.
C’era un silenzio quasi assoluto, eccetto per un qualcosa che cadendo, goccia dopo goccia, vicinissimo al suo corpo, produceva un rumore ipnotico. Non avrebbe mai potuto immaginare da cosa provenisse… sentiva anche un ronzio, pensò che si poteva trattare di insetti, api o mosche. Per lei era tutto assurdo, cosa ci facevano degli insetti, lì fuori? E perché quel gocciolare, dove era finita?
Freddo, una leggera sensazione di freddo le percorreva il corpo, brividi ai piedi, lungo le gambe, le braccia, la schiena, il petto, la testa.
Sì, era nuda.
Completamente nuda, priva di ogni tipo di indumento, se ne rese conto solo dopo che, al trentasettesimo minuto trascorso dal suo risveglio, terminato l’effetto dell’alcaloide, sentì un formicolio alle dita dei piedi e delle mani e con estrema lentezza riuscì a sfiorare le parti del suo corpo che poteva raggiungere con minimo sforzo, perché il risveglio dei muscoli le portò anche dei dolori lancinanti ovunque.
Era distesa su una superficie che al tatto sembrava liscia, fredda quasi come fosse una lastra di acciaio, un letto o un tavolo, qualcosa di non molto grande, sentiva con la punta delle dita dei piedi una sponda anch’essa fredda e liscia; con i polpastrelli cercava di tastare il più possibile il perimetro della superficie che la circondava, senza sforzarsi troppo per i dolori che la tormentavano. Sentì qualcosa di umido e tiepido su quel letto gelido, ritirò subito la mano perché dall’odore aspro capì che era urina… un senso di imbarazzo e pudore la colpì, non poteva immaginare che il veleno iniettatole aveva paralizzato anche i suoi muscoli genitali.
Insieme alle sue capacità motorie, si risvegliò il suo senso del dolore.
Malessere, fastidio allo stomaco, nausea, un’emicrania fortissima, un dolore localizzato nella parte sinistra del capo. Sentiva pulsare dietro la nuca, con una intensità tale da impedirle di muovere la testa. D’istinto cercò con la mano sinistra di toccare la parte dolorante, percepì della sostanza liquida, viscosa, densa, appiccicosa dall’odore forte, quasi ferroso. Non poteva essere altro che sangue, il suo. Era ferita, da quello che aveva potuto tastare, senza farsi troppo male e dal dolore che provava, pensò che si trattasse di un taglio profondo, ma non molto grande.
Ritirò istintivamente la mano.
Paura, intensa emozione dominata dalla minaccia del dolore o dalla sua percezione, una emozione dettata dall’istinto. Ha diversi gradi di intensità: timore, ansia, panico, terrore. Il terrore è la forma più estrema della paura; l’individuo cerca di ritrarsi dentro se stesso, è una vera propria fuga verso l’interno. L’unico sentimento che provava adesso.
Era terrorizzata da ciò che non conosceva: il dolore causato dalla ferita, la sua totale nudità, il buio che la circondava, il non ricordo di quanto accaduto prima del suo risveglio, il tempo che avrebbe dovuto trascorrere in quella situazione e il pensiero che la terrorizzava più di tutti era il non sapere se fosse mai uscita viva da quell’incubo in cui lei era la protagonista.
Non riusciva a pensare a nulla, cercava di esplorare, con molta cautela, l’ambiente freddo ed oscuro che la circondava, l’unico aiuto su cui poteva contare era la sua percezione tattile, dato che l’oscurità non le permetteva di vedere nulla. Fece per allungare un braccio perpendicolarmente al suo corpo disteso, lo ritrasse subito… un’altra superficie fredda e liscia era a pochi centimetri da lei, lo spazio minimo indispensabile per muovere la testa e gli avambracci senza urtare quella superficie che la teneva rinchiusa.
La claustrofobia è la paura degli spazi chiusi e ristretti, di tutti i luoghi angusti in cui il soggetto si ritiene accerchiato e privo di libertà spaziale attorno a sé. Si manifesta con una sensazione di malessere generale che risveglia paure archetipe quali la solitudine, il vuoto, l’impotenza. Era sempre stata la sua peggior nemica, non era mai riuscita a cancellare quei ricordi spiacevoli legati alla sua infanzia, che ogni notte la facevano svegliare di soprassalto. Paura degli spazi stretti, chiusi, che le impedivano il libero movimento del corpo, paura di rimanere intrappolata senza poter far nulla per liberarsi, tutto ciò che avrebbe voluto non accedesse mai più. Ed invece stava succedendo di nuovo, in quel momento doveva fare i conti con la sua fobia più grande.
Il panico iniziò a prendere il sopravvento.
Capì che quello in cui si trovava non era un tavolo o un letto come aveva immaginato. No, era come una sorta di vasca, della misura del corpo di un uomo chiusa ermeticamente, con poco spazio per muoversi. Iniziò ad agitarsi, sentì il cuore salirle in gola, le vene delle tempie iniziarono ad ingrossarsi ed a pulsare, non riusciva più a controllare il suo battito che aveva un ritmo irregolare con una frequenza molto veloce che le dava la sensazione di voler uscire dal petto. Con istinto frenetico colpì più e più volte il coperchio che la separava dalla salvezza, anche se lei non avrebbe mai immaginato che l’unico posto in cui poteva essere al sicuro era proprio quella stessa bara di acciaio in cui lei si sentiva intrappolata.
Erano svaniti tutti gli interrogativi che si era posta, adesso l’unico obiettivo era uscire da lì, liberarsi da quella trappola stretta, fredda, male odorante, con poco ossigeno ormai; cercò con le unghie di graffiare quella superficie liscia, ancora e ancora ininterrottamente finché non se ne spezzò un paio… perse il controllo delle sue azioni.
Si sentiva mancare il respiro, soffocare…
Pensò quasi di stare impazzendo, l’idea di essere rinchiusa la faceva morire.
…calmati, respira… respira a fondo… continua a respirare, prendi fiato, concentrati su un’immagine a te familiare… parole che il suo psicologo le aveva insegnato ad usare in attimi di panico per poter riprendere il controllo di se stessa, ed era proprio questo il momento giusto per ripetersele.
…calmati, respira… respira a fondo… continua a respirare, prendi fiato, concentrati su un’immagine a te familiare…
L’unica immagine che riusciva a focalizzare era il buio totale, il vuoto che sentiva intorno a sé pur sapendo che non si trattasse di uno spazio ampio…
Non era mai riuscita a mettere in pratica i consigli e gli esercizi che Doc, come lo aveva soprannominato lei, le aveva consigliato di applicare quando le sarebbero accadute spiacevoli situazioni. In realtà non le era mai successo di finire in uno spazio così stretto da sola.
…devo assolutamente riprendere il controllo della situazione altrimenti qui mi schizza il cuore fuori dal petto sul serio! Cazzo, devo stare calma, devo uscirne viva per guardare negli occhi quel maledetto bastardo che mi ha fatto questo…
Pensò, con le lacrime che le rigavano il volto, mentre cercava di calmarsi e di far rallentare il suo ritmo cardiaco. Fece un lungo respiro, con la paura che le scorreva nelle vene, cercò invano di trovare qualche fessura, un’apertura in quella bara infernale. Niente, solamente dei piccoli fori sulla superficie che copriva quella vasca…
Oh! Ti ringrazio, caro bastardo… io sono il tuo topolino bianco che hai rinchiuso dentro una scatola da scarpe, però ti sei ricordato di fare dei buchi sul coperchio per farmi respirare, grazie… se esco viva da questo incubo ti prometto che…
Un rumore sordo la bloccò.
Marco Petrolini (proprietario verificato)
Alex, non vedo l’ora di leggere la tua storia. Grande Adriana, un sogno che diventa realtà!! Ora non mi resta che aspettare Maggio…