…Quando arrivarono le tanto agognate vacanze di primavera, la scuola organizzò un campo scuola in un bosco vicino, il bosco Centalberi, chiamato così perché in esso erano cresciuti, col tempo e con mistero, cento specie di alberi e piante diverse, tutti con una particolarità.
Mabel era molto attratta da questo posto: era la sua meta preferita durante le gite fuoriporta con i suoi genitori, sebbene non fosse molto “fuori dalla porta” di casa sua. Ad ogni modo, era un luogo carico di mistero, potenzialmente idoneo quindi a far accadere straordinarie avventure.
Il giorno della partenza, il cortile della scuola sembrava un formicaio, gremito di piccole formiche operose: mamme e papà che correvano da una parte all’altra per riacciuffare i propri ragazzi; bambini che si rincorrevano gioiosi…chi piangeva, chi non stava più nella pelle.
Mabel arrivò con gli occhiali a forma di stella gialli, gli stivali antipioggia e il suo vestito a quadri bianco e verde, sotto il poncho impermeabile verde e giallo a strisce. Sorrise.
Davvero tutti sembravano formiche: chi con gli occhiali, chi con il berretto, chi con i baffoni! Masticando una gomma al cocomero, si avviò verso l’autobus che li avrebbe portati fino al campo e, sebbene preferisse mezzi di trasporto inusuali, si sedette rilassata e tranquilla nei posti centrali, vicino al finestrino.
…Il sentiero nel bosco era tracciato molto bene: formava varie S e in alcuni tratti anche qualche N, ma tutto sommato era regolare e in pianura.
Liam e Cora camminavano poco volentieri, quasi svogliati, probabilmente perché la sveglia del gallo, quella mattina, era arrivata un po’ troppo presto. Nathan camminava ben dritto e con passo deciso: faceva venir voglia di fischiettare, ma nessuno si azzardò a farlo.
“Quanto tempo ci vuole per arrivare?” chiese Cora infastidita mentre cercava di scrollarsi di dosso un insetto. “Sicuramente un po’ dovremo camminare” rispose Nathan, che intanto sogghignava, conoscendo perfettamente le abitudini poco avvezze allo sforzo della cugina. Liam intanto alzava gli occhi al cielo. “Credo che il punto di incontro con gli altri sia proprio al centro del bosco… e gli altri hanno preso dei sentieri diversi dal nostro!”…
… I ragazzi stavano scrutando la cartina per verificare a che punto si trovassero, quando l’attenzione di Mabel fu attirata da una luce tra la felce alta che emetteva segnali luminosi ad intermittenza. In un primo momento sembravano irregolari; poi con una attenta osservazione, capì che così casuali non erano. Nascondevano un messaggio.
– – –
“Ma che strano!” pensò ad alta voce Mabel, attirando l’attenzione degli altri.
“Cosa c’è? Cosa hai visto?” chiese Liam strizzando gli occhi per focalizzare qualcosa, più per paura che per curiosità.
“Mi è sembrato…” Mabel arricciò il naso per concentrarsi nel ricordo, e intanto si immerse nella piscina verde di felce, richiamando ora l’attenzione dell’intero gruppo.
“Mabel! Mabel” gridò Nathan fuori di sé, “dove vai? Non puoi uscire dal sentiero segnato” e intanto le correva dietro. Liam e Cora non capivano cosa stesse succedendo, ma non volevano rimanere da soli in quel punto, così si accodarono a Nathan nell’inseguire Mabel. Si addentrarono un bel po’… e si ritrovarono tutti e quattro davanti un grosso mandorlo fiorito.
Mabel lo scrutava minuziosamente alla ricerca di qualcosa che era sicura di aver visto; gli altri se ne stavano impalati col naso all’insù e la bocca spalancata: un mandorlo di una bellezza indescrivibile, con rami lunghi e pieni di fiori, che facevano da ombrello. Cosa ci faceva un albero così in un bosco? Erano estasiati dalla sua bellezza per poter dare una risposta a quella domanda.
“Certamente è frutto di un errore umano” esordì Liam mettendosi a posto gli occhiali “sicuramente qualcuno avrà lasciato cadere una mandorla passeggiando nel bosco”.
La spiegazione per quanto plausibile però, non placò gli animi dei ragazzi.
“Ah! Lo sapevo!” esclamò Mabel.
… Mabel si avvicinò ad un nodo concavo del tronco, stranamente illuminato, e vi tese la mano.
“Non è una buona idea, non è una buona idea!” continuava a ripetere Cora che ogni tanto si copriva gli occhi come se da quel buco dovesse uscire un mostruoso insetto; “Stai tranquilla, vieni con me, i miei amici vogliono aiutarti!”
Mabel estrasse il pugno chiuso ma non stretto, come per proteggere, e si diresse verso i ragazzi che erano appena dietro di lei. Indietreggiarono.
“Oh andiamo ragazzi!! Non abbiate paura! È solo una fata!” li esortò Mabel avvicinandosi.
“Ah bè, è solo una fata” esclamò tranquillo Nathan “UNA FATA?!?!”
Sgranarono gli occhi.
Mabel, scrutando i loro sguardi attoniti, aprì il pugno e… sorpresa!
La creaturina si tolse le mani dagli occhi spaventata, e si alzò ritta sul palmo della mano di Mabel. Era alta poco più di dieci centimetri, assomigliava in tutto e per tutto ad un bambino umano: aveva grandi occhi (probabilmente per vedere al buio) e orecchie a punta. Vestita solo di foglie, aveva due ali di farfalla bioluminescenti che le conferivano una graziosa aurea dorata. Iniziò a squittire come un topolino, agitandosi.
Ancora sbalorditi dalla straordinaria scoperta, i ragazzi erano ancora più increduli nel vederla comportarsi così. “Secondo me sta tentando di dirci qualcosa” esclamò Mabel “ma non riesco a capire cosa, perché parla troppo velocemente!”.
“Davvero il problema è che parla troppo velocemente?” chiese incredulo Liam, “tu conosci il linguaggio delle fate?”
“Si, ovviamente!” fu allora che Mabel si sentì per la prima volta strana, diversa. Notare lo stupore e l’incredulità nei suoi coetanei per una cosa che lei pensava fosse normale la fece riflettere…ma per un attimo…perché nello stesso tempo pensava, anzi, era convinta, che se quella fata si era palesata a loro, solo loro erano gli unici in tutto il bosco anzi, nel mondo, a poterla aiutare…
… Proseguirono un po’ a piedi e poi risbucarono in un luogo incantato: una grande radura sovrastata da ponti e capanne, che ricordavano tanto le casette di legno per gli uccellini, con dei tetti a forma di guscio di ghianda di mille colori diversi. Si potevano notare fate di ogni genere e fattezza; sembrava il mercato di un borgo medievale…ed era bellissimo. Più in là, sopra un ceppo secolare, c’era un insieme di capanne tutte sovrapposte ed accoppiate; spiccava sulla radura a mo’ di torre di guardia e i ragazzi capirono che si trattava del castello della Regina Celestia: in effetti, metteva un po’ di soggezione, ma a quel punto, un sentimento valeva l’altro, era successo di tutto durante quella giornata!
Mabel si avvicinò a Ly e cominciò a fare mille domande sulle abitudini delle fate, su cosa mangiavano, quale fossero le loro abilità e Ly sembrava molto bendisposta a rispondere ad ogni richiesta della ragazzina.
… L’atmosfera era surreale nella sala del castello della Regina Celestia. La luce bianca che aveva accompagnato i ragazzi fino ad allora, d’un tratto si fece cupa, così come il viso della regina. Sospirò e cominciò il suo racconto. “La magia è nata prima dell’uomo e di tutte le creature. È il motore che ha permesso di esistere a tutto il mondo conosciuto. Nella natura essa trae il suo maggiore potere. Come la luce ed il buio si alternano, si scontrano e si rincorrono, così la magia si esprime in maniera positiva o negativa, influenzando tutto ciò che ci circonda. All’inizio dei tempi, due grandi maghi, fratello e sorella, decisero di usare la magia per creare il mondo: il maggiore era Thule, un elfo dei ghiacci nato durante il Solstizio d’inverno che amava le terre aride e gelide del nord; e poi Boreas, una splendida fata marina, nata nel solstizio d’estate. Essendo le uniche due creature fatate esistenti, si ritrovarono a gestire una grande quantità di materiale magico, formule, incantesimi, amuleti, per non parlare di pietre, metalli, piante. Tutto da conservare per le generazioni di creature magiche che sarebbero esistite nel tempo. Quindi decisero di raccogliere tutto lo scibile in un Libro, il Melica Auge, il nostro libro sacro, che contiene tutto il sapere della magia buona e pura dei nostri antenati. Benché il lavoro sul libro sembrava essere condotto da entrambi Thule, abituato al freddo, al gelo, all’aridità, cominciò a provare interesse per la magia nera, per l’occulto, per la negatività; e lo fece del tutto da solo, nascondendosi da sua sorella con il chiaro intento di essere l’unico padrone e avere il controllo totale su questo tipo di magia. Creò un altro libro: il TEOREMA MAGI…
… Il sole stava scendendo, Mabel era rimasta indietro con Nathan tessendo le sue lodi per il successo della loro ultima impresa e ora le risate riecheggiavano in quel punto di bosco. Gli alberi avevano un’altezza incommensurabile agli occhi dei ragazzi, che erano piccoli come funghi e non riuscivano a vedere la sommità; camminavano nell’erba che per loro era diventata come una casa ormai. Quando il tramonto ebbe fatto il suo tempo, i ragazzi si aspettavano che la luna facesse capolino nel cielo: Ly si sentiva agitata e pur non avendo abbassato la guardia, sapeva che tutti nel regno erano addormentati per via dell’incantesimo ma nonostante ciò, si sentiva irrequieta, e a ragione.
Cominciò a piovere.
In pochi minuti, anche se avevano accelerato il passo, si ritrovarono impantanati fino alla vita e procedevano lenti, impauriti e bagnati aggrappandosi ai fili di erba che erano ancora salvi dalla pioggia. “Non ce la faremo mai!” si lamentava Liam che non riusciva a tenere su gli occhiali. “Dovremmo ripararci da qualche parte!” Cora faceva lunghi passi per uscire dal fango. La poltiglia era quasi arrivata alle spalle e i ragazzi ormai nuotavano invece di camminare: intorno a loro fluiva di tutto, sassi, ramoscelli, fili d’erba. Era notte, si era allagato tutto e assolutamente non sapevano dove stessero andando. Ly aveva le ali inzuppate e non riusciva a volare. A quel punto Liam, che come al solito era rimasto indietro, chiamò Nathan “Nat!Nat! Usa la fune magica per salire su qualcosa!” ma il rumore dell’acqua che scorreva, della pioggia, dei sassi che sbattevano l’uno contro l’altro impediva al ragazzo di capire il messaggio. Liam a quel punto gli tirò dell’acqua sulla testa che fino ad allora Nathan era riuscito a mantenere asciutta, anche per preservare la sua cresta. “Liam! Ma che diavolo fai!” sputacchiando fango si girò verso di lui “La corda Nathan! Usa la corda” gridava gesticolando il ragazzo. Appena Nathan capì i vari segnali prese il lazo e lo lanciò verso la radice di un albero: questa sì ancorò saldamente e permise ai ragazzi di salire e di mettersi in salvo. “Coaff, coaff” tutti tossivano per liberarsi dell’acqua che avevano bevuto, mentre cercavano di ripulirsi i vestiti e i mantelli “Come non ci ho pensato prima non lo so!” si domandava Nathan rivolgendosi a Liam “Ma grande! Ci hai pensato tu!”
Liam si sentì avvampare.
Per lui era molto strano ricevere complimenti: fino ad allora in quell’avventura i suoi interventi erano stati sempre criticati, perché erano delle lamentele o degli appunti non graditi, forse perché avrebbe fatto la metà delle cose in modo decisamente diverso. Essere stato d’aiuto in quel momento lo aveva reso felice e sereno, anche bagnato e infangato come era. “È bello averti con noi in questo viaggio!” disse Mabel sorridendogli; sembrava che quasi capisse le emozioni che stava provando, ma Liam pensò fosse normale per lei, in fondo l’aveva sempre considerata una ragazzina strana, gentile certamente e ne era da sempre incuriosito, da quando M, così l’aveva soprannominata, aveva mostrato interesse per i suoi disegni fuori la scuola.
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