Dopo aver minacciato di morte la moglie Johanna Bonger, sposata meno di due anni prima e il figlio di pochi mesi, Willem Vincent, Théo Van Gogh è in cura presso l’omonima clinica psichiatrica del dottor Willem Arntsz, a Utrecht, in Olanda, per una continua alterazione del suo stato mentale.
Gli sarebbe stata diagnosticata una precoce demenza paralitica causata dalla sifilide che lo porterà alla morte a soli 34 anni. Nei giorni che precedettero la sua fine soffrì di violenti attacchi epilettici dai quali non si riprese più. Il romanzo ricostruisce e immagina la carne viva di Théo, in quei mesi che passò in clinica e che precedettero il suo decesso.
I dialoghi, in forma serrata e stringente, sono di pura immaginazione e raccontano, attraverso 22 disegni di mano di Théo, gli ultimi settanta giorni di vita del fratello di Vincent. Il professor Arntsz, che ha in cura Théo, ipotizza un anticonvenzionale approccio alla sua patologia, basato sulla possibilità di recuperare l’attenzione del paziente verso le piccole cose della vita, stimolandolo a una nuova visione delle sue vicende personali, preparandolo così all’accettazione dell’idea della morte, ormai imminente.
L’originalità della “cura” del professor Arntsz, consiste però nel suggerire a Thèo di disegnare una semplice bottiglia al giorno, impoverendo sempre più il segno grafico, fino ad arrivare alla dissoluzione della figura e alla sua inevitabile indistinguibilità dallo sfondo.
Giorno dopo giorno i disegni di Thèo, e il continuo dialogo col fantomatico dottor Arntsz, si caricano di attese e suggestioni che, se da una parte ravvivano nel paziente il piacere della vita, attraverso l’osservazione artistica (Théo è stato uno dei più noti mercanti d’arte a Parigi), dall’altra lo gettano, progressivamente, in uno stato di inquietudine e di disorientamento che non sarà dovuto soltanto all’effetto della sua malattia.
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