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Le insolite avventure di Tea

Le insolite avventure di Tea
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Consegna prevista Aprile 2024

Provate a immaginare tre personaggi a dir poco improbabili e improponibili. Tre personaggi -positivi, per carità!- cui forse non affidereste neanche una commissione di una certa complessità. Fatto? Bene. Ora provate a immaginare un paio di villain anche loro piuttosto insoliti. Uno, avido di denaro, mosso solo dal desiderio di cambiare in meglio la sua vita abbastanza disgraziata; l’altro, spinto dalla sua megalomania, smanioso solo di conquistare il mondo. Fatto? Bene. Ora provate a immaginare l’avventura più divertente, imprevedibile, bizzarra e folle che siete in grado di concepire mettendo insieme questi ingredienti e, vi posso garantire, sarete ancora lontanissimi dal riuscire a farvi un’idea di questa storia. Il mondo è in pericolo… chi avrà la meglio?

Perché ho scritto questo libro?

Ho scritto questo romanzo perché, pur leggendo molto, non ho mai avuto modo di gustare una sola storia capace di mettere insieme dosi massicce di umorismo e originalità in un mix allo stesso tempo folle e imprevedibile. Insomma, da amante dell’ironia qual sono, volevo plasmare qualcosa di assolutamente unico, capace di stupire e divertire chiunque…e credo di esserci riuscito.

ANTEPRIMA NON EDITATA

I

Alle nove, puntuale come un orologio svizzero, Antea Campanella, per tutti Tea, mostrò il suo bel viso al mondo venendo fuori da un palazzone di via Giuseppe Bozzi, a Bari. Pressochè tutti sapevano che si sarebbe vista in strada a quell’ora. Vicini di casa, commercianti e abituali passanti sapevano che a partire da quel preciso istante si sarebbero potuti imbattere nella slanciata quattordicenne dai lunghi capelli rossi. Tutti avevano imparato a volerle bene, sia per i suoi modi educatissimi (amava salutare chiunque con un’amabile “Felice giornata”) sia per i meravigliosi sorrisi che elargiva di frequente. Inoltre, quando il delicato viso lentigginoso le si imporporava per un complimento ricevuto e i piccoli occhi azzurri prendevano di conseguenza a sprizzare gioia, avrebbe potuto mandare in brodo di giuggiole anche un intero coro di angeli.

Oddìo, nelle ultimissime settimane sorrideva un po’ di meno: il padre si era rotto una gamba finendo investito da un motociclista e vederlo tutto il giorno a casa, parzialmente immobilizzato in quella brutta ingessatura, non era di certo la cosa più bella ed entusiasmante del mondo. Pietro Campanella, comunque, da persona molto pratica qual era, era riuscito a trovare il bicchiere mezzo pieno anche in quella situazione: visto che il suo lavoro di agente di commercio gli imponeva da sempre di essere ben poco a casa, ora si sarebbe gustato maggiormente la compagnia della moglie Rita, di Tea e di Marcello, il suo vivacissimo batuffolo di sei anni.

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Tornando a Tea, in quell’abbagliante e afosa estate aveva preso l’abitudine di uscire di casa tutti i giorni alle nove per andare a trovare la prozia Cecilia, una delle tante anziane abitatrici del centro storico. Aveva “scoperto” la zia paterna solo pochi mesi prima: nel giorno del suo settantesimo compleanno, il padre (il preferito tra i suoi nipoti) era andato a farle visita in compagnia della famiglia e Tea, per la prima volta in vita sua, aveva trascorso con lei un periodo di tempo superiore a quello che occorreva per un rapidissimo scambio di saluti e battute in strada (situazioni molto rare, tra l’altro). Nonostante fosse un po’ suonata (era certa di vivere ancora con il marito Rocco, deceduto ormai da un lustro), l’aveva fatta ridere un sacco raccontando nel suo sgangherato italiano tutta una serie di storielline, a base di corna e di varie situazioni pepate, che andavano circolando come fuoco sulla paglia nei vicoli e nelle stradine dell’antico quartiere.

Ma la simpatia della zia non era l’unico motivo per cui andava da lei così spesso: ci si recava anche perché lì avrebbe incontrato Danilo, ormai diventato il suo migliore amico. Danilo non era né un parente, né un infermiere, né un badante. Era il figlio diciannovenne di un vicino di casa della donna, un pescatore che trascorreva molto più tempo in mare e nei bar della zona che a casa propria, e non lo si poteva di certo definire un ragazzo fortunato: l’esser stato travolto da un auto insieme alla madre (morta nella circostanza) a nove anni e l’aver trascorso buona parte della sua esistenza a ingozzarsi di fumetti e di film di supereroi gli avevano mandato qualcosa in tilt nel cervello. Danilo, infatti, rappresentava un caso clinico psichiatrico pressoché unico al mondo: a seconda di come gli girava in un determinato momento, poteva “tramutarsi” in Extraman, Patman, Superspider, Wall Verin e Gulk… in buona sostanza, i protagonisti dei suoi fumetti preferiti. Per farla breve, si trattava di un caso di personalità multipla a dir poco eccezionale. Il tutto era partito sei anni prima.

Tutte le terapie ambulatoriali cui si era sottoposto non avevano condotto da nessuna parte e presto si era capito che Danilo avrebbe dovuto farsi seguire in un istituto psichiatrico di primissimo livello. Ma quelli, come è facile immaginare, costano un capitale e Mario Fucci, il padre di Danilo, sempre a corto di soldi (larga parte dell’assicurazione se n’era andata per non farsi spaccare le gambe da uno strozzino cui doveva parecchi soldi e per acquistare un motore nuovo per la sua barca), aveva preferito affidarlo alle amorevoli cure della signora Verni, una vicina di casa che, essendo priva di figli, aveva sempre visto con grande affetto quel timido ragazzino grassottello. Danilo, così, aveva iniziato a trascorrere molto più tempo da “nonna Cecilia” che nella propria dimora. In seguito sarebbe arrivata Tea e la sua compagnia avrebbe reso ancor più gradevole la “detenzione” in casa del fu Rocco Mongelli.

Tea era piuttosto abitudinaria anche a proposito del percorso da seguire prima di essere da Cecilia. Era il suo preferito e non lo avrebbe cambiato neanche in cambio di una vaschetta di gelato al pistacchio, ghiottoneria per cui andava matta: venendo fuori da via Bozzi, percorreva una piazza alberata che dava sul lungomare di Crollalanza, attraversava la trafficata arteria, s’affacciava sull’antico porticciolo cittadino, girava attorno all’ex teatro Margherita, scivolava nell’ampia e affascinante piazza del Ferrarese e iniziava a inerpicarsi lungo la splendida e panoramica via Venezia, un’antica fortificazione che delimitava gran parte del centro storico (e chiamata confidenzialmente “muraglia” dalla cittadinanza), da cui avrebbe goduto della visione di un mare da cartolina.

A una certa altezza della muraglia si diresse verso una pittoresca scaletta di pietra e la discese. Al termine superò una coppia di archi carica di secoli e, svoltata a sinistra, si ritrovò in una piazzola incassata tra la muraglia e la basilica; dopo si ritrovò proprio di fronte all’inizio di strada Palazzo di Città, una via tortuosa sovrastata da un nugolo di balconcini. Dopo pochi metri fu al civico che le interessava ma, ancor prima di porre mano al citofono, un urlo disperato scoppiò alle sue spalle. Si voltò e ne inquadrò subito l’origine: il cono gelato di una bimbetta bionda era precipitato al suolo e non era stata cosa gradita. Ancor prima che la madre della piccola potesse fare qualcosa per interrompere il violento piagnisteo, Tea le si inginocchiò vicino, tirò fuori dai jeans un fazzolettino di carta e, sorridente, le asciugò con dolcezza gli occhi «Se vuoi un altro gelato, te lo prendo io.»

Rossa in volto, la piccola annuì.

«Ti piace il pistacchio?»

«Non lo so, non l’ho mai mangiato.»

«Allora devo comprartelo, è buonissimo.» Poi l’accarezzò e un sorriso a trentadue denti apparve dove un attimo prima sostava un gran bel broncio. La lasciò e, nella fretta di raggiungere il bar vicino, quasi si scontrò con un nanerottolo dall’inguardabile camicia in stile hawaiano. Comunque, in un paio di minuti si era già procurata un cono ricoperto da un’enorme palla verde; la piccola se lo vide davanti, gli dette una leccata e parve prodursi in un sorriso ancor più largo del precedente.

«Grazie, signorina.» fece la madre, tirando fuori dalla borsa un portamonete «Quanto hai speso?»

«Nulla, signora. Ho comprato del gelato così tante volte in quel bar che, ogni tanto, il titolare me lo regala. Felice giornata.» Poi si accomiatò con uno dei suoi deliziosi sorrisi e andò a citofonare.

Ora, il passante comune, adocchiando la scena, avrebbe di certo immaginato che la gentilezza e la disponibilità di Tea avevano avuto una sorta di effetto taumaturgico sullo stato d’animo della piccola e per certi versi non si sarebbe neanche sbagliato… ma non era stato il suo calore umano a modificarlo così drasticamente bensì le sue mani. Sebbene a sua insaputa, Tea aveva la dote straordinaria di infondere gioia lì dove c’era tristezza, serenità dove imperversava l’ansia e dolcezza dove rinfocolava la rabbia, e il tutto con un leggero tocco delle sue dita.

Da quando si era avviata la sua pubertà le era capitato decine e decine di volte di compiere quel prodigio ma non era mai stata capace di rendersene conto. Piuttosto ingenuamente, era certa che fossero i suoi sorrisi e la serenità infusa con le sue carezze ad aiutare chi si imbatteva in lei… e, se non fosse finita protagonista dell’incredibile susseguirsi di eventi narrato in questa storia, forse non lo avrebbe mai capito.

Fu la gracchiante voce di Cecilia a farsi udire al citofono «Chi è?»

«Io, zia. Sono Tea.»

Il “clack” seguente segnalò l’apertura del portoncino di legno. Tea lo fece cedere sotto una lieve spinta e si ritrovò ai piedi di una stretta e ripida scala di pietra bianca. Non aveva mai capito come la zia, con tutti i problemi reumatici che l’angustiavano, potesse discenderla senza cadere e fracassarsi a dovere.

Arrivata al pianerottolo, s’infilò nell’uscio lasciato aperto e pose piede nella piccola sala d’ingresso dell’abitazione. Il mobilio si riduceva a un tavolo ricoperto da una bella tovaglia rossa, tre sedie e un mobiletto traballante su cui troneggiava l’unico tocco di modernità della dimora: un monitor tv regalo del padre e di un altro paio di nipoti. Seduta al tavolo, la donna era occupata dal lavoro di pulitura di un piccolo melone. Sommersa da una cascata di capelli pressoché bianchi e carica di rughe, indossava una maglietta turchese che, curiosamente, assomigliava molto a quella portata dalla visitatrice. Ma le similitudini non si fermavano lì: a parte un paio di piccoli dettagli che non avevano in comune, era incredibile constatare quanto fossero simili esteticamente le due. Non per niente, l’anziana aveva imparato a vederla come la figlia che non aveva mai avuto.

«Ti aiuto a pulirlo, zia?»

«No, grazie. Ho quasi firnuto.*» replicò la donna senza sollevare lo sguardo dalla grossa ciotola di plastica in cui stava affettando il frutto.

«Dov’è Danilo?»

«Da quella parte. Sta facendo Entr…Eltr…Estr…vabbé, quello che vola.» e con un gesto della mano indicò la modesta camera da letto alle sue spalle.

Un attimo dopo si prese a gridare a squarciagola dalla stessa «Via! Più veloce della luce!»

Tea e Cecilia non ebbero neanche il tempo di pronunciare un monosillabo: un fragore assordante le raggiunse con la forza di uno schiaffone ed entrambe ne rimasero sconvolte. La prima a reagire fu l’anziana: nonostante l’artrosi alle ginocchia, scattò in piedi come un pupazzo a molla e, immaginando che fosse capitato qualcosa di brutto ai suoi miseri beni materiali, emise una sorta di ruggito imporporandosi in volto. Afferrò il bastone appoggiato al tavolo, si voltò, mise qualche passo in direzione della stanza e fece la stessa faccia di quando, anni prima, aveva saputo delle corna messe alla cugina: Danilo, evidentemente issatosi in cima all’armadio servendosi del comodino come scala, aveva ben pensato di lanciarsi sul letto matrimoniale, fracassandolo. La donna aveva immaginato qualcosa di brutto, ma non di così brutto.

Danilo sollevò il viso paffuto dal materasso morente e, senza riuscire a nascondere la sua meraviglia, disse «Volevo partire per Brypton ma, non so perché, non ci sono riuscito. Giurerei che questa è opera di Rex Luther.»

La donna rimase interdetta un attimo, poi fece esplodere tutta la potenza dei suoi polmoni «E mò dove dobbiamo dormire io e Rocco, l’animaccia tua!»

Tea fece un rapidissimo ragionamento: se la zia si incavolava per bene solo se lo vedeva – in versione Superspider- provare a saltellare sulle pareti lasciando impronte dappertutto, che caspita avrebbe fatto adesso? Se gli scaricava addosso una bastonata (a detta del ragazzo, una soluzione dolorosa come il colpo ricevuto da un mostro galattico) per una cosa del genere, ora, come minimo, lo avrebbe gonfiato come una zampogna… quindi, spinta dal suo animo caritatevole, le si lanciò contro abbracciandola «No, zia! Non fargli niente, ti prego! Lo sai che non lo fa apposta!»

Una deliziosa brezzolina di positività dissipò la nube nerissima che si era formata nella testa della donna. Il rossore da magma incandescente svanì dal suo volto e il vecchio ma ancora forte corpo si rilassò. Infine disse «Sempre queste cose fai, Danilo? E ora Rocco che cosa deve dire quando torna dalla passeggiata?»

I grandi occhi nocciola del ragazzo fissarono quelli verdi della donna, poi, mettendosi una mano con aria pensosa tra i perennemente arruffati capelli castani, ribatté «Non sono Danilo! Io sono Extra… ehm, Clark Dent!» Poi, puntando lo sguardo sulla rossa visitatrice, fece «La mia cara Lois Kane! Ti vedo sempre con piacere.»

«Ciao, Clark.» replicò l’amica. Poi, mollando la zia, le rivolse la parola «Chiederò a papà e a Tommaso e Pasquale, i figli di tuo fratello, di metterci un po’ di soldi per sistemare tutto.»

La donna sorrise «Che brava figlia! Ma ora lo zio, con quella schiena arrunata che ha, come deve dormire sul quel rimmato?**»

Tea replicò al sorriso «Tu e anche Danilo, se non tornerà dal padre, almeno per stasera potreste dormire a casa mia, nella stanza degli ospiti. Non ti preoccupare per lo zio, è un uomo forte e sono certa che può dormire per una notte su un letto del genere.»

Cecilia l’accarezzò «Sei un angelo, ma casa tua è lontana per le mie gambe.»

«Non è un problema, verrà mia madre a prenderci con la sua macchina.»

A quel punto Danilo si volle associare al coro di sorrisi «Ho capito bene? Andiamo su Brypton? Ci andiamo con una capsula spaziale?»

«Proprio così, mio caro Clark.»

Alcuni forti colpi alla porta d’ingresso attrassero quindi la loro attenzione. Poi si fece udire una

voce spaventata « Cecì, Cecì, tutto a posto? Cos’era quel rumore?»

La padrona di casa andò ad aprire seguita da Tea e Danilo. Sull’uscio trovò una donna piccola e occhialuta sui sessanta: era Carmela Lisco, amica e vicina di casa. «Non ti preoccupare, Carmelì. Entr…Eltr…Estr…vabbé, Danilo mi ha fatto uno scherzo.»

Poco prima del tramonto furono raggiunti sulla muraglia dalla Touran grigia di Rita Campanella. Un bel viso paffutello, ben incorniciato da un curato caschetto fulvo, fece capolino dall’auto «Aspettate da molto?»

«No, mamma. Meno di cinque minuti.» rispose Tea.

«Chi mi aiuta a salire?» chiese Cecilia.

«Io, nonna.» rispose Danilo «A proposito: dove stiamo andando?»

Tea fu ben lieta di quella risposta: quando l’amico era il vero Danilo, un evento purtroppo abbastanza raro, considerava Cecilia alla stregua di una nonna vera e propria. Fino a pochissimo prima era convinto di essere Peter Carter, ossia l’acrobatico Superspider, nel bel mezzo di una missione speciale: difendere Lory Jane e zia Mary dall’imminente attacco del Dottor Hocus Pocus.

«Trascorreremo la notte a casa mia.» rispose l’amica «Il letto è crollato. Per ogni evenienza ho informato tuo padre tramite whatsapp.»

Mentre aiutava la “nonna” a salire in auto, Danilo sbottò «Potevi risparmiartelo. Per quello che gliene frega di me…»

Quella risposta scaricò un bel po’ di amarezza nel cuore della giovane e, mettendosi a riflettere sulla stessa, non si ravvide di un piccoletto dalla camicia piuttosto appariscente che, non troppo distante da loro, la stava osservando con una certa insistenza.

(*= Finito)

(**= Rovinata, rifiuto)

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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Vito Di Pinto
Sono un grande appassionato di arte e di antichità, non per niente ho conseguito una laurea triennale in beni culturali. Quando non sono occupato con il mio lavoro di videoterminalista, adoro visitare musei e monumenti e, di tanto in tanto, mi permetto una gratificante immersione nella natura facendo del trekking.
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