Quanto conoscerete non contiene finzione. Abbiate il coraggio di toccare il male, poi, interrompetene il cammino.
Capitolo 1
Il guardiano
Vagava privo d’espressione a tutela di viaggiatori senza meta, i quali sulla sua guardia contavano per ricevere protezione, ignorandone l’inattitudine. Egli indossava la divisa non condividendo con i colleghi la fierezza che essa comporta, trascinandosi con lo sguardo fisso al suolo in un eterno andirivieni.
Il suo turno iniziava nel primo pomeriggio e alla sera si concludeva, un’ora dopo l’apertura della trattoria dove era solito cenare. Lì sedeva in un angolo, consumava il pasto, pagava il conto e svaniva, inghiottito dal buio di una città prossima al riposo. Sebbene lo pedinai a lungo, mai lo vidi dialogare ad eccezione di sporadiche richieste, né variare la routine terminante al portone della propria abitazione.
Era smarrito, ed io, incrociandolo, volli scorgere per lui un sentiero.
Concedetemi una pausa, doverosa per chiarire il mio metodo.
Anni addietro mi resi conto che vi è un processo di selezione tramite il quale la società squalifica chi non ritiene degno di farvi parte, chi rappresenta un peso. È la spiegazione al perché vengano prediletti individui a scapito di altri, ed è il medesimo meccanismo alimentante il suicidio, strumento ideale per l’espulsione degli indesiderati. Un essere umano compie l’estremo gesto, un generale d’ordine giunge sul luogo e, invece di prodigarsi al fine di scongiurarne ulteriori, segue la direttiva di liquidare la tragedia. Il solo sforzo consiste nel sollevare il tappeto di un anonimo artigiano e nascondervi sotto lo sporco, impedendogli di disperdersi nei saloni del quieto vivere. In un sistema così strutturato agire è semplice, poiché non si tiene conto dell’abilità di simulazione, abilità da me perfezionata.
Quando odo il richiamo dei passeggeri non ricorro alla prepotenza. Presto loro ascolto, dialogo, paziento trattenendo il disaccordo. Guido il discorso attendendo che mostrino natura e colpe cui sono sottomessi, e qualora commettano la leggerezza di lasciarmi entrare, si ritrovano sull’ultimo battello.
Dunque, possedendone i segreti, creo per le vittime uno scenario in sintonia con la storia preesistente, in modo da rendere plausibile l’ipotesi del suicidio. Sono un prolungamento del meccanismo sopra illustrato, ne colmo i punti ciechi, assicurandomi dalla società la grazia.
Finita la cena il guardiano soffermò lo sguardo sul piatto vuoto, ed io, approfittando dell’occasione, presi posto al suo tavolo. Nel vedermi fu lieto al punto da non domandare spiegazioni, commuovendosi per il mio interessamento. A seguito di una disimpegnata conversazione realizzò di potersi concedere una tregua dalla solitudine, quindi mi invitò a seguirlo, e insieme ci dirigemmo verso l’abitazione.
La casa era anonima. Le foto di cari, o di momenti immortalati, non abbellivano le nude pareti né spiccavano sulle mensole. Cercai indizi motivanti la nascita dell’oblio, tuttavia nulla si rivelò utile alla ricostruzione, quasi non avesse un passato. Impaziente di sapere, lo esortai a raccontarsi.
Narrò di un bambino che, a dodici anni, aprì gli occhi in un mondo irriconoscibile. Nonostante i volti attorno a lui fossero gli stessi, nonostante l’ambiente fosse il medesimo, ogni cosa parve mutata. La realtà conosciuta cessò di esistere e il giovane si sentì estraneo persino in compagnia dei genitori. Con loro smise di condividere gioie, di ridere, rivolgendogli la parola solamente se interpellato, non godendo del calore insito nell’esser parte di una famiglia. Desiderava renderli partecipi dell’angoscia causata dalla sua condizione, ma incapace di spiegarla preferì nasconderla, confidando nel sanativo effetto del tempo.
A modificarsi con il susseguirsi delle primavere fu la sola intensità del sentimento. Un pomeriggio di dicembre, fissando l’asfalto sulla via di casa, si accorse di aver cambiato tragitto. Ricordava bene le ore in cui venne dato per disperso, perché nel momento in cui il padre, un poliziotto segnato da decine di persone scomparse, lo trovò seduto ai piedi di un albero, gli impedì di tacere ancora. Scuotendolo violentemente promise che le cose sarebbero cambiate, tenendo fede alla promessa grazie all’aiuto di sua moglie, la quale non diede più spazio al figlio quindicenne. Costretto a compiacerli, egli edificò una vita fittizia spesa tra i banchi scolastici.
Parlava di inesistenti amici, fantasiose infatuazioni, goliardici episodi; in verità l’adolescente guardiano affidò ai coetanei il senso della verde età. Per lui fu l’avvento del gelo, fu assenza di amori, ambizioni e volontà, fu principio di un inverno mai concluso.
Conseguito il diploma mirò ad assicurarsi un impiego stabile, al fine di guadagnare il denaro con cui comprare l’esilio da genitori divenuti alieni. Su consiglio del padre entrò nel corpo della polizia ferroviaria.
Affidare a chi non ha ideali una simile responsabilità può condurre a due unici risultati: nel primo caso, il potere verrà sfruttato per assecondare cupe pulsioni; nel secondo, l’inattitudine produrrà delle vittime. Fiducioso nell’una o l’altra conseguenza, spinsi per scoprire con quale mi stessi confrontando.
Di ritorno da un turno differente dagli abituali orari, a notte inoltrata si imbatté in un’aggressione. Vide da lontano due uomini trascinare con sé un ragazzo ben vestito, conducendolo in un vicolo da dove risuonarono le suppliche. Il guardiano corse estraendo l’arma dalla fondina, ma raggiunta la scena, uno degli aggressori puntò a sua volta la pistola, intimandogli di andarsene. Provò un brivido nel constatare l’attaccamento alla vita di cui non credeva gli importasse e, sottraendosi agli obblighi, fuggì dal pericolo. Bevve allora, come adesso faceva nel ricordare, e si mise a letto scacciando l’immagine del ragazzo che, l’indomani, venne trovato morto.
Vomitato il peccato si abbandonò a lacrime di autocommiserazione, mentre io provai una repulsione capace di allontanare la noia del suo racconto.
Mille e più impieghi avrebbe potuto svolgere, eppure accontentò il padre, secondo il quale una divisa era motivo d’orgoglio. Dal vicolo la vittima sarebbe riemersa se in lei si fosse imbattuto un agente capace, ed io non avrei dovuto vendicarla.
Privato delle difese, il guardiano non si accorse dei passi che mossi veloce alle sue spalle. La sua amica, l’unica compagna ancorata fedelmente al suo fianco, esplose il giudizio negandogli l’assoluzione. Così cadde, serenamente, con il viso sul tavolo della spoglia sala, colpevole d’aver indossato immeritate vesti.
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