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Le memorie del parassita

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I giornali dovrebbero essere pieni di articoli su una preoccupante epidemia. Eppure non si spreca una goccia d’inchiostro né si dà spazio alle notizie: con sbrigatività e faccia contrita si parla, poco, di suicidio e si passa subito ad altro.
Se solo qualcuno volesse osservare meglio, troverebbe le tracce di un misterioso ed efferato serial killer. Un ferale parassita si aggira in mezzo a tutti noi, invisibile se non a pochi, indisturbato. Ed è proprio l’assassino a traghettarci fra gli ultimi istanti delle sue vittime, fra i loro ricordi e i loro racconti. Fino a quando una di loro lo costringe ad affrontare se stesso.

CAPITOLO 1
IL GUARDIANO

Vagava privo d’espressione a tutela di viaggiatori senza meta, i quali contavano sulla sua guardia per ricevere protezione, ignorandone l’inattitudine. Indossava la divisa – non condividendo però con i colleghi la fierezza che essa comporta – trascinandosi con lo sguardo fisso al suolo, in un eterno andirivieni.

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Il suo turno iniziava nel primo pomeriggio e, alla sera, si concludeva un’ora dopo l’apertura della trattoria dove era solito cenare. Lì sedeva in un angolo, consumava il pasto, pagava il conto e svaniva, inghiottito dal buio di una città prossima al riposo. Sebbene lo avessi pedinato a lungo, mai lo vidi dialogare – a eccezione di sporadiche richieste – né variare la routine terminante all’ingresso della propria abitazione.
Era smarrito, e io, incrociandolo, volli scorgere per lui un sentiero.

Concedetemi una pausa, doverosa, per chiarire il mio metodo.
Anni addietro mi resi conto che vi è un processo di selezione tramite il quale la società squalifica chi non ritiene degno di farvi parte, chi rappresenta un peso. È la spiegazione al perché vengano prediletti alcuni individui a scapito di altri, ed è il medesimo meccanismo alimentante il suicidio, strumento ideale per l’espulsione degli indesiderati. Un essere umano compie l’estremo gesto, un generale d’ordine giunge sul luogo e, invece di prodigarsi al fine di scongiurarne ulteriori, segue la direttiva di liquidare la tragedia. Il solo sforzo consiste nel sollevare il tappeto di un anonimo artigiano e nascondervi sotto lo sporco, impedendogli di disperdersi nei saloni del quieto vivere. In un sistema così strutturato, agire è semplice, poiché non si tiene conto dell’abilità di simulazione. Abilità da me perfezionata.
Quando odo il richiamo dei passeggeri, non ricorro alla prepotenza: presto loro ascolto, dialogo, paziento trattenendo il disaccordo; guido il discorso attendendo che mostrino natura e colpe cui sono sottomessi e, qualora commettano la leggerezza di lasciarmi entrare, essi si ritrovano sull’ultimo battello. Dunque, possedendone i segreti, creo per le vittime uno scenario in sintonia con la storia preesistente, in modo da rendere plausibile l’ipotesi del suicidio.
Sono un prolungamento del meccanismo sopra illustrato, ne colmo i punti ciechi, assicurandomi dalla società la grazia.

Finita la cena, il guardiano soffermò lo sguardo sul piatto vuoto e io, approfittando dell’occasione, presi posto al suo tavolo. Nel vedermi fu lieto al punto da non domandare spiegazioni, commuovendosi per il mio interessamento. A seguito di una disimpegnata conversazione, realizzò di potersi concedere una tregua dalla solitudine, quindi mi invitò a seguirlo, e insieme ci dirigemmo verso la sua abitazione.
La casa era anonima. Le foto di cari, o di momenti immortalati, non abbellivano le nude pareti né spiccavano sulle mensole. Cercai indizi motivanti la nascita dell’oblio, tuttavia nulla si rivelò utile alla ricostruzione, quasi non avesse un passato. Impaziente di sapere, lo esortai a raccontarsi.

Narrò di un bambino che, a dodici anni, aveva aperto gli occhi in un mondo irriconoscibile. Nonostante i volti attorno a lui fossero gli stessi, nonostante l’ambiente fosse il medesimo, ogni cosa pareva mutata. La realtà conosciuta aveva cessato di esistere e il giovane si era sentito estraneo persino in compagnia dei genitori. Con loro aveva smesso di condividere gioie, di ridere, rivolgendo loro la parola solamente se interpellato, non godendo del calore insito nell’esser parte di una famiglia. Avrebbe desiderato renderli partecipi dell’angoscia causata dalla sua condizione ma, incapace di spiegarla, aveva preferito nasconderla, confidando nel sanativo effetto del tempo.
A modificarsi con il susseguirsi delle primavere era stata la sola intensità del sentimento. Un pomeriggio di dicembre, fissando l’asfalto sulla via di casa, si era accorto di aver cambiato tragitto. Ricordava bene le ore in cui venne dato per disperso, perché nel momento in cui il padre – un poliziotto segnato da decine di persone scomparse – lo aveva trovato seduto ai piedi di un albero, gli aveva impedito di tacere ancora. Scuotendolo violentemente aveva promesso che le cose sarebbero cambiate, e il figlio quindicenne si era ritrovato privo degli abituali spazi. Costretto quindi a compiacerlo, il giovane aveva edificato una vita fittizia spesa tra i banchi scolastici.
Parlava di inesistenti amici, fantasiose infatuazioni, goliardici episodi; in verità, l’adolescente guardiano aveva affidato ai coetanei il senso della verde età. Per lui era stato l’avvento del gelo, l’assenza di amori, ambizioni e volontà, il principio di un inverno mai concluso.
Conseguito il diploma aveva mirato ad assicurarsi un impiego stabile, al fine di guadagnare il denaro con cui comprare l’esilio da genitori divenuti alieni. Su consiglio del padre era entrato nel corpo della polizia ferroviaria.

Affidare a chi non ha ideali una simile responsabilità può condurre a due unici risultati: nel primo caso, il potere verrà sfruttato per assecondare cupe pulsioni; nel secondo, l’inattitudine produrrà delle vittime. Fiducioso nell’una o l’altra conseguenza, spinsi per scoprire con quale mi stessi confrontando.

Di ritorno da un turno differente dagli abituali orari, a notte inoltrata si era imbattuto in un’aggressione. Aveva visto da lontano due uomini trascinare con sé un ragazzo ben vestito, conducendolo in un vicolo da dov’erano risuonate le suppliche. Il guardiano era accorso estraendo l’arma dalla fondina, ma, raggiunta la scena, uno degli aggressori aveva puntato a sua volta la pistola, intimandogli di andarsene. La guardia aveva provato un brivido nel constatare l’attaccamento alla vita di cui non credeva gli importasse e, sottraendosi agli obblighi, era fuggito dal pericolo. Aveva bevuto allora – come adesso fece nel ricordare – e si era messo a letto scacciando l’immagine del ragazzo che, l’indomani, era stato trovato morto.

Vomitato il peccato si abbandonò a lacrime di autocommiserazione, mentre io provai una repulsione capace di allontanare la noia del suo racconto.
Mille e più impieghi avrebbe potuto svolgere, eppure aveva accontentato il padre, secondo il quale una divisa era motivo d’orgoglio. Dal vicolo la vittima sarebbe riemersa, se in lei si fosse imbattuto un agente capace e io non avrei dovuto vendicarla.
Privato delle difese, il guardiano non si accorse dei passi che mossi veloce alle sue spalle. La sua amica, l’unica compagna ancorata fedelmente al suo fianco, esplose il giudizio negandogli l’assoluzione. Così cadde, serenamente, con il viso sul tavolo della spoglia sala, colpevole d’aver indossato immeritate vesti.

2022-04-11

Aggiornamento

Buonasera a tutti, sono felice di informarvi che in meno di 10 giorni abbiamo raggiunto e superato la soglia di 60 pre-ordini. È un traguardo importante, poiché permetterà, anche qualora l'obiettivo di 200 pre-ordini non venisse raggiunto, l'arrivo del libro nelle case di chi lo ha già ordinato e di coloro che continueranno a farlo. Ringrazio di cuore ogni singolo sostenitore, perché grazie ad ognuno di voi le vittime riceveranno ascolto. Grazie a voi, anch'io avrò una voce. Continuate a supportare "Le memorie del parassita" per permettergli di arrivare in tutte le librerie d'Italia e seguite i vari canali social per rimanere aggiornati

Commenti

  1. Angelo De Luca

    Mi devo accontentare di mettere 5 stelle, ma il libro merita molto di più, le tematiche in esso contenute sono state affrontate con grande maestria ed intelligenza, il tutto arricchito da una notevole originalità. Una combinazione perfetta che vi terrà incollati al libro dall’ inizio alla fine.

  2. (proprietario verificato)

    Libro molto interessante, affronta temi difficili in modo molto coinvolgente. Super consigliato!

  3. (proprietario verificato)

    io ringrazio la casa editrice per aver pubblicato questa perla. È unico

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Simonpietro Mazza
nato nel 1995 in un contesto insidiato da varie difficoltà, si avvicina presto al tema della salute mentale e nel 2022 consegue la laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche. Amante della narrazione in ogni sua forma, crede nel potere dei racconti e tenta di avvalersene sia per trovare se stesso sia per incontrare il prossimo.
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