Scrivere è sempre stata la mia più grande passione, cresciuta di pari passo con quella della lettura. Dopotutto, leggere e scrivere sono due attività sorelle per definizione. Non esiste scrittore che non sia anche un buon lettore. E, probabilmente, non esiste lettore che non abbia desiderato, anche solo nel profondo del proprio cuore, di provare a trasmettere al mondo le proprie storie. Chi scrive è figlio e figlia delle parole che ha letto nella propria vita. È anche vero, però, che passiamo per varie tipologie di testi, differenti nel modo di comunicare e nella loro essenza. Sono fermamente convinto che nella vita sia opportuno sperimentare, soprattutto per chi voglia intraprendere questo tipo di percorso. Ecco perché ho sempre voluto coltivare o testare ogni aspetto di quest’arte tanto affascinante quanto profonda. Ognuno di essi è riuscito ad arricchirmi in modo diverso: la rigorosità scientifica (saggistica), la capacità di intessere e costruire trame e personaggi (narrativa) e la possibilità di far emergere la parte più emotiva e profonda della persona tramite le parole (poesia).
Nonostante io sia un grande appassionato di saggistica e della scrittura di articoli critici e di ricerca (in ambito letterario, pedagogico o linguistico), la scrittura narrativa ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore. E non solo: ho sempre cercato di sfruttare ogni piccola occasione per allenarla. Dai forum online, su internet, dove ho costruito storie e personaggi, per passare dalla pubblicazione del primo romanzo, fino poi ad arrivare a un blog personale nel quale mi sono occupato – e continuerò ad occuparmi – di poesia. I componimenti e le sezioni di cui è fatta questa raccolta arrivano proprio da quella piccola pagina web, The Open Closet – letteralmente, il cassetto aperto. Aprire quel cassetto mi ha permesso di trovare il coraggio di testare la poesia come tipo di scrittura creativa. È stato proprio quest’ultimo genere letterario a permettermi di entrare in sintonia con le mie emozioni e di tradurle in linguaggio, a partire da una serie di sperimentazioni personali e dalla volontà (e necessità – perché per chi, come me, sceglie di intraprendere questa strada, scrivere diventa non solo più una passione, ma un qualcosa di necessario) di riunire in un’unica opera, su carta, tutte quelle emozioni che la poesia mi ha insegnato a raccontare.
Una piccola osservazione, ancora, sul titolo: le piccole cose. Concetto, questo, a cui io tengo particolarmente. Quando mi sono approcciato per la prima volta all’arte poetica, nella mia mente si era insinuata l’idea (sbagliata) che per “fare poesia” fosse necessario affrontare grandi tematiche. Insomma, mi ero persuaso di dover fare “alta” poesia usando solo ed esclusivamente paroloni (grave errore) e trattando di temi di altrettanto alto livello. Qualche mese e (soprattutto) qualche sperimentazione in versi dopo ho capito che il ragionamento avrebbe dovuto essere l’inverso: la poesia ci può raccontare tante cose. Soprattutto quelle piccole, vicine al cuore e che narrano delle nostre quotidianità. Rincorrere con la mente idee astratte e altrettanto vaghe parole solo per il significato che potrebbero avere si è rivelato un ostacolo alla mia creatività. Vorrei riflettere anche, per un attimo, sulla seconda parte, ovvero le grandi parole: perché la lingua è uno strumento enorme, oserei dire gargantuesco (per chiunque voglia cogliere la citazione a Tarantino), che può raccontarci tante cose in tanti modi diversi, risvegliando le nostre emozioni più
profonde. Ho usato l’aggettivo grande proprio in opposizione all’astrattismo dei paroloni eruditi, bensì per valorizzare le infinite sfumature di significato che tutte le parole, anche le più piccole e apparentemente insignificanti, possono avere.
Non resta che aggiungere, a conclusione di questa introduzione, qualche pensiero su quello che è il cuore di questa raccolta. Proprio come le parole ne rappresentano l’essenza, le immagini traducono i significati di questi componimenti in effetti visivi. Da sempre, scrittura e pittura si sono contese il mondo della rappresentazione, spesso unendosi nel definire paesaggi, emozioni, idee, corpi, visi, relazioni. Nonostante entrambe dominino su aspetti differenti, gli occhi una e mente l’altra, ciò che hanno in comune è proprio il legame imprescindibile con l’immaginazione. Noi vediamo un’immagine ed essa suscita, in noi, una moltitudine di sensazioni diverse. Allo stesso modo, quando leggiamo una parola, una frase o un testo, i nostri pensieri si muovono dipingendo nella nostra mente ciò che compare sotto forma di inchiostro. Ecco perché ho tanto insistito nel collaborare con una giovane e bravissima artista, Nicole: credo fortemente che la letteratura non debba perdere il suo contatto con le altre arti e viceversa. Le immagini raccolte assieme a questi componimenti non sono intese come semplice accompagnamento le une degli altri ma come un unico. Perché tutti i sensi possano, così, godere dell’arte dell’immaginazione e dell’interpretazione.
Lascio spazio, dunque, a queste forme d’arte e a questo libro un po’ ibrido e un po’ particolare, che mischia poesia e immagini, italiano e inglese, tradizioni poetiche occidentali e orientali. Perché la pluralità e le intersezioni saranno sempre valori aggiunti. Soprattutto, però, apro ora la porta e faccio entrare voi lettori, sperando che possiate apprezzare appieno tutte le sfaccettature di questa raccolta e, mi auguro, creare interpretazioni nuove e personali.
Un primo stop: sulla poesia come genere complesso
Perché la poesia, oggi, sembra essere così distante? #riflessioni
Qualunque sia il contesto in cui si tocchi questo tema, la risposta pare essere sempre la stessa: “la poesia è difficile”. Non importa se si tratti di persone che amano leggere e che praticano quest'attività come passatempo o per il piacere di scoprire e vivere la cultura. Oppure se si tratti di alunni che, come da consuetudine nei nostri ormai fossilizzati programmi scolastici, devono per forza superare questo rito di passaggio: l’analisi del testo poetico.
La poesia non piace. Ricordo una conversazione avuta con un collega, un insegnante come me ma con molta più esperienza, dove si è discusso di come la poesia sia un genere letterario che non arriva più ai giovani di oggi. Anzi, sembra proprio non arrivare più in generale. Si tratta di un linguaggio che pare non funzionare più. E l'ho scoperto in prima persona quando è giunto il momento che forse ogni insegnante di letteratura teme più di qualunque altro: insegnare l'arte poetica. Ho anche accolto con interesse l’idea che a mettersi nei panni di un insegnante di lettere bisognerebbe essere spaventati della parte sulla poesia. Probabilmente, ancora più della matematica. Tutto questo mi ha portato a pensare spesso: “ma che cos'è che ci fa paura del testo poetico? Cos'è che ci terrorizza tanto da farci rigettare questo genere letterario che agli albori della letteratura era ritenuto il più nobile ed il più vicino (se non l’unico!) all'esprimere i sentimenti e l'anima dello scrittore o della scrittrice?”
I Trovatori, nell'Antica Francia, cantavano le loro canzoni scritte in versi. La poesia era musica, era suono, era pubblico. Era, forse soprattutto, intrattenimento. Ma i versi erano anche usati per trasmettere i sentimenti, basti pensare al Dolce Stilnovo (chi non si ricorda le note amorose e liriche di Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante) o ai sonetti amorosi di William Shakespeare. E la poesia veniva utilizzata da questi autori per parlare, descrivere e mostrare i tratti distintivi delle donne o, per quanto ancora oggi molti abbiano paura a dirlo – soprattutto a scuola! – degli uomini amati. I poeti raccontavano di questi sentimenti travagliati, delle ripercussioni psicologiche, della sofferenza intima che riempiva il loro cuore per il non essere corrisposti. Insomma, si struggevano ancora e ancora e ancora per raccontare, in versi, quel che provavano e sentivano. Ma la poesia non è solo amore e sentimento.
Una delle associazioni principali che sento fare, soprattutto dagli alunni che si approcciano, ancora sui banchi scolastici, al testo poetico è: la scrittura in versi equivale a parlare dell’amore. Chi scrive poesie è una persona introversa e, con tutta probabilità, estremamente romantica. Ma la poesia è anche altro. Pensiamo all'inglese Geoffrey Chaucer, che con i suoi versi ha raccontato le storie di un folto e vario gruppo di persone in pellegrinaggio, proprio come Giovanni Boccaccio ha fatto nel suo Decameron. Non si tratta solo di narrare i sentimenti o ciò che sta nel cuore dell'autore/autrice. Si tratta, anche, di raccontare storie, persone, fatti, avvenimenti. Così come Coleridge ci racconta quello che accade al suo Mariner, tanto interiormente quanto esteriormente. O come fa Tennyson con il suo Ulysses, rivisitando il mito greco tanto caro a tutti noi. E proprio a parlare di Ulisse, si può dire che la poesia è anche viaggio: è movimento, dinamicità, spostamento.
La poesia, nei secoli, ci ha raccontato i viaggi degli eroi, le loro avventure, i loro disagi, le sconfitte, le vittorie, gli amori. A partire dal cantore e poeta francese Chrétien de Troyes, che ha dato vita al cosiddetto ciclo bretone di Re Artù, fino ad arrivare ai nostri Boiardo, Ariosto e Tasso. Perché la poesia è anche epica, è fatta di cavalieri, di scontri, di dinastie, di amori e lotte fra religioni diverse. Di spade, scudi e, soprattutto, di magia. Ed è proprio insegnando un testo così denso e complesso come l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto che me ne sono reso conto.
Non è che la poesia non paria più a noi. Siamo noi che non parliamo più con lei. Perché non la conosciamo. Perché la stilizziamo e stereotipiamo in un circolo vizioso di poche e singole poesie scelte, sempre uguali, come Leopardi, Dante, Montale, Ungaretti, usando sempre gli stessi titoli che vengono presi e ripresi in continuazione negli anni, rimanendo sempre uguali e fini a sé stessi. Sempre con gli stessi sonetti, le stesse canzoni. E così il testo poetico rimane quello. Lontano. Quello che analizziamo dicendo che ci sono le rime, le strofe. Ma di quelle rime e di quelle strofe non sappiamo più, forse, dire nulla. E soprattutto non proviamo a scriverla, perché ci spaventa e ci fa così tanta paura che l'abbandoniamo in partenza. Senza nemmeno provare a spingerci un po' più in là. Qualche volta sento studenti che dicono “scrivo poesie nel tempo libero” – timidamente, quasi sottovoce, quasi a non volersi far sentire dai compagni e dalle compagne di classe. Ma in classe non li facciamo provare: perché gli alunni e le alunne non sono poeti e poetesse. Perché tanto a loro non serve. Tanto nessuno di loro diventerà scrittore. Ma se decidessimo di abbandonare queste profezie della maga Melissa, che è riuscita a predire niente meno che tutta la dinastia degli Estensi durante il suo incontro con la valorosa Bradamante (cosa di cui penso nessuno sia capace) e provassimo davvero a fare incontrare studenti e studentesse con la poesia vera? Quella fatta di racconti, magia, spazi bianchi, versi corti, lunghi. Fatta di parole. Quelle vive, però.
Ecco perché questa raccolta si pone non tanto in termini critici e difficili, con il solito linguaggio degli umanisti ricco di tecnicismi e analisi del testo a tratti molto complessi. Ma da lettore e appassionato di lettura, linguaggio e letteratura.
Non solo.
Vorrei provare ad andare oltre. Leggere tante poesie, ultimamente, mi ha portato a voler sperimentare di prima persona questo genere letterario che, prima di questo periodo, mi ha sempre spaventato. Proprio così: anche a me il testo poetico faceva molta paura. Perché troppo difficile. Perché pensavo che servisse un particolare tipo di capacità espressiva. Ma ho comunque voluto provare. Ho fatto dei tentativi. E ho scritto – anzi, sto scrivendo, delle poesie mie. Personali. Magari brutte. Magari no.
Ma è solo conoscendo più a fondo questo mondo fatto di rime, sillabe, racconti, canzoni, musicalità e magia che potremo, forse, de-costruire meglio la poesia per farla nostra. Ancora una volta, come nei secoli passati.
Nubi in tempesta: sull’inquietudine
Quando la nube
cavalca il vento,
solca il cielo
la tempesta.
Trasparente, appena,
all’orizzonte si scorge:
figura che si staglia
di un uccello
immobile.
Affronta il vento –
s’oppone. Trema.
“A che? A chi?” Direte voi;
“a ciò che è instabile”, dico
– alla tempesta.
Immagine sì, d’equilibrio
incerto.
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