Mi guardo in giro e oggi il museo non è affollato di persone.
Sarà che è sabato e sono le dieci del mattino, sarà che
il venerdì sera è stato un po’ rovinoso per tutti i giovani, da
quello che ho visto ieri notte quando sono arrivata. Ragazze
brille sedute per terra in stato di euforia e mezze nude – intendo senza giacca, con solo con un top o giù di lì, e a marzo non è l’abbigliamento che un italiano si aspetterebbe – e
molti ragazzi completamente ubriachi.
Mi sono soffermata troppo a lungo a fissare il soffitto e la
luce mi ha accecata, così ci metto qualche secondo a mettere
a fuoco. Mi dirigo verso una panca a ridosso del maestoso Leone
e in quell’istante noto che un ragazzo, seduto su un’altra
panchina accanto a quella che sto cercando di raggiungere,
mi osserva quasi divertito per la mia espressione di estasi
contemplativa. È molto sexy.
Un po’ a disagio per la sua attenzione, copro i passi che
mi dividono dalla mia seduta velocemente, ma proprio un
istante prima che io possa sedermi, arriva una coppia di
ragazzi che mi ruba il posto. Mi guardo intorno e noto che il
tipo sexy, che ha visto tutta la scena, si sta spostando per
farmi posto con un mezzo sorriso… e così mi siedo.
Ora posso osservarlo e noto con molto piacere che ha
appena fatto la doccia. Ha un profumo molto buono e sicuramente
non ordinario. Da quando ho letto Gli occhi della
pelle, di Juhani Pallasmaa, do un significato più profondo e
diverso ai cinque sensi, perché mi sono resa conto che, come
scrive lui, in effetti il ricordo che permane di più nel cervello
è quello olfattivo. Ora però dopo l’olfatto uso la vista, uno dei
miei sensi preferiti e così, mentre è impegnato a guardarsi in
giro, lo osservo…
Tiene in mano un dépliant del museo anche se non sembra molto
interessato al suo contenuto, lo ha guardato di
sfuggita e poi lo ha ripiegato in due; è come se lo avesse preso
per tenere qualcosa in mano.
Ancora non ho visto bene il suo volto, ma posso ammirare il suo
corpo ben scolpito anche sotto il maglioncino e
le gambe muscolose sotto i jeans, in effetti si capisce che è
una persona che cura molto il suo aspetto e che passa molto
tempo a fare sport.
La mia curiosità è al massimo e, come direbbe qualcuno,
anche il mio radar, così senza farmi molti problemi lo studio
a lungo ma con discrezione, anche se sembra accorgersi dei
miei occhi puntati addosso.
Mi guarda di sottecchi a sua volta e a questo punto posso
notare l’inconfondibile colore degli occhi e la mascella mascolina,
lo sguardo aperto sulla fronte ampia, la sua bocca
così particolare e sensuale. Il suo viso è unico e resto a bocca
aperta: benché indossi degli occhiali da sole Ray-Ban Aviator
con lenti chiare grigio azzurro e una coppola grigia chiara
calcata sulla testa, lo riconosco. Dà l’impressione di voler
passare inosservato, ma con me è impossibile, riconoscerei
quei lineamenti marcati ovunque… Quando si volta e mi sorride
non ci sono più dubbi: ho accanto a me un sex symbol,
uno degli uomini più belli del mondo, nonché il mio attore
preferito! È lui, Daniel Grant!
Non posso crederci… ho appena visto al cinema il suo ultimo
flm e ho fantasticato su di lui per una settimana. Per un attimo
penso di chiedergli l’autografo, ma no… che fgura da scema.
Ecco, diciamo che ho un mio tipo fisico: se entro in una
stanza, mi guardo intorno e vedo un bel moretto con occhi
nocciola dal fare intellettuale e un biondo con mascella
squadrata e occhi cerulei, con un corpo scolpito… ovviamente non
ho che una scelta, il biondo.
Come adesso, solo lui ha attratto la mia attenzione.
È sempre stato così, quando ero bambina e guardavo
Starsky and Hutch e i Chips con mia sorella, ovviamente
io sceglievo sempre il biondo, Hutch e John Baker, come
pseudo fdanzato da pellicola, vuoi mettere? Mia sorella si cuccava sempre
il moro, il tipo latino. L’unica eccezione nel mio immaginario è
stata la cotta che dura tuttora per Tom Selleck, il moro bafuto
di Magnum P.I., ma lui è legato al ricordo del mio zietto
adorato che non c’è più, la somiglianza è notevole. Ma se vogliamo
esempi più recenti, non posso che pensare a Ian, il favoloso
svedese che ho conosciuto quest’estate, biondissimo occhi
azzurri e fsico da paura. Magari il prossimo viaggio potrei farlo a
Stoccolma e così potrei andare a trovarlo… ma Aurora, smettila
di divagare, torniamo all’uomo fantastico seduto qui accanto.
Cosa posso fare? Mi affretto a pensare, perché un’occasione
così non mi ricapiterà più, e mi ricordo di deglutire,
visto che ho trattenuto il fiato finora e probabilmente avevo
anche la bocca aperta, stile “Mi è caduta la mascella”.
Mi godo il mio attimo di estasi e poi dico in un sibilo:
«Buongiorno» volutamente in italiano, così che possa apprezzare la mia spontaneità.
«Hello» mi risponde lui con un accento inglese perfetto,
e mi sorride. Poi si gira a guardare di nuovo verso l’ingresso.
Non pensavo che un semplice sorriso potesse sciogliermi
in questo modo, dopo tutto quello che ho passato in quest’ultimo
periodo, ma del resto è lui! Penso a qualcosa da chiedergli per a
gganciarlo perché non posso lasciarmi scappare
questo uomo! «That’s beautiful» dico guardando verso l’alto
il tetto di vetro e acciaio sopra di noi.
Lui annuisce gentile con un timido sorriso, è un momento epico,
ho il cuore in gola e sono talmente emozionata che
non riesco a pensare…
Restiamo così seduti per un po’, potrebbero essere passati dei
minuti o solo dei secondi ma io questo non lo so, sono
sopraffatta dalla sua presenza, mi riprendo un attimo perché
so che non possiamo stare qui seduti in eterno, e così gli dico
che è una fortuna che ci sia così poca gente in visita, e mi
risponde con tono educato e calmo: «It’s true, today is a strange Saturday».
È vero, oggi è uno strano sabato. Tra me penso che è proprio così.
Poi gli domando se è andato a vedere la mostra sulle spade
giapponesi perché deve essere bellissima e io sono venuta apposta
per quella, ma risponde di no perché il museo ha aperto
da pochi minuti. Sono proprio una fessa, a questo punto non
so più che dire e mi arrendo alla triste realtà, lui è lì per
visitare il museo o semplicemente per godersi un po’ di pace, ma
penso anche che è probabile che stia aspettando qualcuno o
qualcuna. Per non subire l’umiliazione di vederlo andare via
con una super model o attrice alta un metro e ottanta, bionda
e bellissima, mi rassegno e decido di andare per la mia strada,
oltretutto può essere che l’ho disturbato e così mi alzo, lo
guardo negli occhi e gli dico dolcemente: «It was a real pleasure,
I’m sorry if I disturbed you. I wish you have a nice day».
È stato un vero piacere e scusami se ti ho disturbato. Ti auguro
una buona giornata. Lui mi osserva attentamente e noto
che ha una strana espressione che per me è indecifrabile, poi
mi liquida con: «Goodluck». Con una sensazione di sconfitta e
perdita al tempo stesso non mi resta che andare via.
Mi avvio verso la grande e maestosa scala bianca, in realtà ancora
non so dove porti ma tanto devo visitare tutto
il museo, quindi dovrò pur iniziare da qualche parte. Leggo
il cartello Reading Room e salgo gli scalini uno dopo l’altro,
allontanandomi sempre di più. Sento però i suoi occhi su di
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me, così, fingendo di aver dimenticato qualcosa, mi volto e
lui è lì che mi fissa. Ecco, avevo ragione.
Ma che sta pensando? Lo so che non sono una super model, ma
si può anche condividere del tempo con delle persone gradevoli
conosciute per caso! Abbozzo un sorriso e continuo a salire le
scale fino alla fine della rampa cercando di
non inciampare. Questa scala porta a un piano che in realtà
fa una sorta di anello che si ricongiunge con un’altra rampa
di scale gemella che torna all’ingresso, così mi affaccio e con
nonchalance guardo nella direzione che mi interessa, ma
mentre il Leone è sempre lì… purtroppo lui è sparito.
Non c’è più, sarà andato via, in un attimo è uscito dalla
mia vita.
Che peccato, un incontro casuale di questo calibro che finisce
in pochi minuti… il mio uomo ideale sedeva accanto a
me e io non ho neanche saputo rimorchiarlo! Però anche lui
se l’è tirata un po’, come si dice a Milano.
Che emozioni contrastanti! La mia giornata a Londra è
iniziata proprio bene… chissà quando dirò a Martin e Pier
che ho visto Daniel Grant! Sbaveranno tutti, ma soprattutto
non ci vorranno credere.
La vita a volte ti riserva strane sorprese, ma anche delle
delusioni… io comunque sono eccitata per la prima avventura del
mattino e mi dirigo lentamente giù per le scale guardando con un
po’ di rimpianto la panca sulla quale qualche
minuto prima mi trovavo con quel super boy e che ora è occupata
da una coppia di signori anziani.
Un pensiero mi attraversa come un lampo, chissà se
quando sarò anziana verrò qui con mio marito… questo romantic
thought mi fa sorridere per un istante e, continuando
a camminare, leggo le indicazioni e mi dirigo distrattamente
verso la mostra che mi interessa con la testa altrove.
È proprio camminando che si sogna a occhi aperti, e io lo
faccio di continuo. In questo momento fantastico di girarmi
e trovarlo alle mie spalle che mi viene incontro sorridendo,
proprio come nei film d’amore, o come facevano Raimondo
Vianello e Sandra Mondaini che si correvano incontro per
poi scansarsi all’ultimo momento. Ecco, questa parte preferisco
ignorarla, del resto loro erano dei comici, ma quando
sogno, sogno in grande. Così, un po’ incerta e un po’ speranzosa,
mi volto indietro… ma, ahimè, solo un gruppo di ragazzi
che si dirige nella mia stessa direzione.
Continuo a camminare, fingendo che questa mattina non
sia accaduto niente di rilevante, anche se il mio cuore è
ancora denso di emozioni, e così cerco di fare un semplice
esercizio: liberare la mente, e godermi la mostra in santa pace.
Entro nella sala della prima installazione, e vengo subito
rapita dai colori e dagli arazzi giapponesi, è una mostra che
parte dall’Ukiyo-e fino ai primi del Novecento, ampie sale
ricche di manufatti dell’età imperiale e pergamene, porcellane,
copriletti e kimono meravigliosi.
Intorno a me è pieno di oggetti che mi affascinano e che
normalmente è così difficile ammirare, così mi perdo e mi
ritrovo in un mondo molto diverso dal nostro, la loro cultura
millenaria e le loro tradizioni… oh, è davvero miracoloso!
Quando sono completamente immersa nella mostra, arrivo
alla sala delle spade dei samurai, che spettacolo! Resto a
bocca aperta, di nuovo, e mi rendo conto che fino a quel
momento non ho più pensato a Daniel.
Però mi sento strana, è come se qualcuno mi seguisse.
Sento uno sfarfallìo nello stomaco, è una sensazione
inspiegabile e io mi nutro delle sensazioni, ma a differenza della
negatività che svariate volte ho provato a Milano, qui mi
sento serena… mi sento elettrica, ma questo non mi turba.
Mi faccio da parte, vicino a una tenda rosso porpora che
scende dal soffitto e ha la funzione di dividere le sale,
e decido di aspettare e vedere se effettivamente ho ragione. Dopo
circa un minuto che sono lì e comincio a sentirmi un po’ stupida,
vedo l’uomo più affascinante del museo fare il suo ingresso nella
sala… non ho dubbi, è proprio lui, Daniel.
La mia testa è in confusione, sento un leggero capogiro
dalla botta di adrenalina. Ma non può essere vero, sarà una
casualità, anche lui era qui per la mostra, ma non ha voluto
dire niente? Del resto non era tenuto a rivelare i suoi programmi
a una sconosciuta, però qualcosa non mi torna. Non
lo so, c’è stato qualcosa tra di noi che mi ha fatto pensare…
ero catalizzata da lui, ma anche lui è rimasto colpito da me,
quel suo modo di guardarmi… è scattato qualcosa, c’era un’elettricità
palpabile nell’aria.
Osservo attentamente i suoi movimenti incredula, vedo
che guarda le spade, ma si percepisce che sta cercando qualcuno,
perché guarda tutto molto distrattamente. Istantaneamente mi
assale un pensiero: Sta cercando me.
Con noncuranza faccio un passo in avanti, ecco, diciamo
che mi metto a portata di sguardo e mi giro verso di lui.
Io sono in vantaggio, l’ho scoperto, se veramente è lì per
me può avvicinarsi, visto che sono sul passaggio verso una
teca di spade e pugnali… altrimenti può proseguire dritto facendo
finta di niente. È semplice e indolore per me, o quasi.
Mentre osserva in giro prosegue il suo cammino sul tappeto
rosso che corre lungo tutta la mostra e dopo un attimo mi vede.
Sì, mi vede, si blocca, per un secondo distoglie lo sguardo e
osserva distrattamente intorno a sé come per prendere tempo per
capire cosa fare, io resto immobile, non so se devo andargli
incontro, sento che questo è il momento della svolta, così scelgo
di non decidere, lascerò che sia lui a fare il primo passo.
A questo punto posso solo restare qui, lo vedo riacquistare
sicurezza. Riprende a camminare e abbozza un timido
sorriso, e poi la sua espressione diventa più dolce. Si dirige
verso di me velocemente, ci manca poco che si metta a correre,
ora mi fissa dritto negli occhi, ho il cuore in gola e ho
perso temporaneamente l’uso della parola, e prima che io
possa sorridere o fare altro a voce bassa mi dice: «Hello». E
mi sorride.
Ecco, sono senza parole, con la bocca asciutta e in uno
stato di semi infermità mentale, o semi incoscienza molto
raro per me. Si mette accanto e farfuglia: «I’m sorry, sono
stato abrupt, come si dice in italiano?».
Senza pensare rispondo: «Brusco».
«Thank’s, grazie, prima non sapevo cosa fare…» Ma lui sta
parlando in italiano e così mi rendo conto che ho di nuovo
la bocca aperta. Poi si affretta a dire: «Ti dispiace se ti parlo
nella tua lingua? La sto studiando e ne sono innamorato, è
molto difficile ma è una sfida, one day… voglio poter venire
in Italia e sentirmi a casa».
Io sono ancora scioccata dalla piega della conversazione,
per non parlare del fatto che stesse davvero cercando me, e
riesco solo a sorridere e annuire.
È davvero molto bravo, così dopo lo shock iniziale dico
che il suo studio ha dato buoni frutti perché parla molto
bene, la coniugazione dei verbi è normalmente molto difficile,
per non parlare del genere singolare e plurale, maschile
e femminile.
Mi chiede se può guardare con me la mostra e colgo una
strana esitazione in lui, o forse è semplicemente un po’ imbarazzato,
così fingo che sia una cosa normalissima il fatto
che lui sia qui e gli rispondo che per me è un piacere.
Non ci credo, stiamo parlando come due persone norma-
li, lui sembra a suo agio, io invece sono stordita. Sto
sognando a occhi aperti?
Ci inoltriamo nelle sale della mostra insieme, uno accanto
all’altra, lui è di buon umore e mi racconta che ora si trova
a Londra e che ha un po’ di tempo per rilassarsi e fare le cose
che gli piacciono perché ha preso una pausa dal lavoro, e mi
domando se ha capito che so chi è o se è convinto di essere
ancora in incognito, ma non faccio in tempo a finire il mio
pensiero che lui pronuncia queste parole: «I didn’t know…
non sapevo se eri una di quelle pazze che ogni tanto mi
fermano per strada… e quindi sono stato in disparte per questo
motivo».
Il bello e il brutto di essere una celebrità.
La mostra per cui mi sono recata al British ora è passata
in secondo piano, anzi direi che ho perso quasi completamente
l’interesse, ma distrattamente continuo a guardarmi
intorno. Lui intanto osserva attentamente alcune katane, assume
un’espressione di stupore e mi rivela che sono dei pezzi
rarissimi, poi mi spiega con una grande eccitazione nella
voce che le katane giapponesi che stiamo guardando fanno
tutte parte delle cinque scuole di maestri spadai corrispondenti
alle zone di estrazione mineraria del periodo Kamakura
che va dal 1181 al 1330.
Il wakizashi è una spada corta; il tsurugi è una spada lunga a
doppio filo; l’òtachi o nodachi sono le più antiche versioni di
spada a singolo filo. Una lezione privata di storia delle
spade giapponesi. Sono proprio sicura che sia il famoso attore e
non uno studioso di arte nipponica?
Mi ha sbalordita, anche lui è un amante delle spade e non
solo, i suoi occhi sono animati da bagliori intensi e ora posso
vedere che ha un’espressione affascinata, e mi confessa:
«Sai, a casa ho una collezione di spade che ho comprato io
stesso in Giappone da un collezionista…». Collezione di spade?
Mmmh chissà se è come quella di francobolli di Matteo?
Wow! Sarebbe molto interessante fare una visita guidata a
casa sua, ma non mi lascio andare a questi pensieri perché si
accorgerebbe all’istante che sto fantasticando.
Così ci mettiamo a parlare dell’amore per l’Oriente e
gli confido che adoro i kimono per stare in casa comoda ed
elegante, a Milano c’è un negozio vicino casa mia di articoli
giapponesi e io ho acquistato diverse cose, tra cui un tappeto,
una lampada, delle cornici, il libro del Kamasutra… be’ questo
posso evitare di dirglielo!
Mi racconta che anche lui adora lo stile essenziale giapponese
e possiede diverse cose nella sua camera… poi in una
teca ammiriamo i famosi servizi da tè, e pensiamo a questa
cerimonia, come non restare affascinati da questi riti che
esprimono l’essenza della loro cultura.
Potrei stare qui a parlarne per ore.
Un momento… non immaginavo che fosse così loquace.
Dopo aver visto tutta la mostra di spade, mi guida al piano di s
otto per la parte egizia, e quando entro nella grande
sala, tutto cambia. Niente più luci soffuse né pareti scure
che creano atmosfera, ma una sala inondata di luce, con volte
altissime che trasmettono tutta la grandezza di un popolo
che ha lasciato opere che risalgono a più di quattromila anni
fa. Resto sorpresa dalle dimensioni di alcune statue e rifletto
sul fatto che l’arte egizia è stata creata per l’eternità, essa
pervade la vita e la morte di re e aristocratici.
In una teca di plexiglass ammiro la scultura di un volto,
la targhetta a destra mi informa che si tratta del ritratto di
un nobile sconosciuto scolpito nel calcare nel 2500 a.C. e
rinvenuto in un cimitero vicino alle piramidi di Giza. La mia
attenzione è catturata da una bottiglia in vetro a forma di pe-
sce e da un lucente grappolo d’uva che testimoniano la raffinata
esistenza delle classi agiate.
Un viaggio che sogno di fare è proprio in Egitto, visitare le
piramidi credo che sia uno dei desideri più diffusi tra
i viaggiatori perché ancora oggi racchiudono i loro misteri.
Sono grandi e sono anche molto antiche, erano antiche perfino
prima che nel vocabolario dei greci comparisse la parola che
significa antico (me l’ha detto mia madre). Anche nei
racconti delle Mille e una notte, scritti nel X secolo d.C., si
narra di viaggiatori in visita alle piramidi.
Ricordo benissimo una parte della storia d’Egitto perché
un amico dei miei genitori faceva il professore di storia e
spesso a noi bambini raccontava degli aneddoti che potevano
suscitare il nostro interesse. Alcune cose mi sono rimaste
impresse in modo indelebile, come l’episodio di Napoleone
in Egitto. Egli condusse l’esercito francese sul delta del Nilo,
oltre due secoli fa, e al suo seguito c’erano molti studiosi,
grazie ai quali si dette un impulso determinante alle ricerche
sulla civiltà dei faraoni facendo, per la prima volta,
le ricerche sul campo. Quando arrivò dinanzi alle piramidi,
Napoleone ricordò ai suoi soldati che su di loro pesava lo
sguardo di 4000 anni di storia di quelle tombe colossali. A questo
proposito un amico marocchino una volta mi ha recitato un
proverbio arabo: L’uomo teme il tempo, ma il tempo teme le
piramidi.
Noto con la coda dell’occhio che Daniel mi osserva con
curiosità, in certi casi sembra sorpreso dal mio stupore per
la bellezza delle cose che ci circondano.
La nostra visita per le sale procede e tra di noi, in quasi
tre ore, si è creata una strana intesa, direi irreale.
Scherziamo e ci divertiamo, e parte del mio imbarazzo si è dissolto. Si
percepisce una certa elettricità nell’aria o forse sono io che
mi scaldo a ogni suo sguardo.
Quando passiamo davanti a una statua che ritrae un
uomo e una donna che fanno l’amore nella posizione di penetrazione
da dietro, arrossisco e lui mi fa un occhiolino con un
sorrisetto, poi con tono ammiccante dice: «Well… Certo che
loro sapevano come divertirsi, no?».
Oddio, fa lo spiritoso? E io sono imbarazzata, sono diventata
paonazza e ancora una volta mi rendo conto che devo
smetterla di fantasticare su di lui, perché mi si legge in faccia.
My god! Daniel Grant è qui con me! Nel preciso momento
in cui questo pensiero si imprime nella mente inizio a tremare e
realizzo: Lui è qui a un passo da me e niente mi impedisce di
vivere questa meravigliosa avventura… o meglio forse
qualcosa sì…
Dopo tre ore che giriamo per le sale avverto un leggero
capogiro e mi ricordo che non mangio dalla sera prima, così
prima di svenire e fare una figuraccia da sfigata gli dico:
«Daniel, avrei bisogno di sedermi un momento per riprendermi».
Ma parte una specie di interrogatorio: «Did you eat this
morning? Io se non faccio colazione non ho la capacità di parola,
vieni andiamo in un caffè e prendiamo un cappuccino e
una brioche».
Ecco, ora sì che mi sento una bimbetta di cinque anni…
Lo seguo come un cagnolino e mi lascio portare, e scopro
che avere qualcuno che ti guida in un paese straniero è
davvero una bella sensazione.
Dopo aver sorseggiato un buon cappuccio allo Starbucks
praticamente di fronte all’ingresso del British mi sento
meglio e il colore ritorna sul mio volto, lui è ancora qui davanti a
me e mi osserva, e io mi sento stranamente agitata ma anche
a mio agio. Dal nostro tavolino, davanti a una grande vetrata,
posso osservare la strada e coloro che la popolano.
«Cosa fai a Londra?» mi chiede all’improvviso dopo un
lungo silenzio, e aspetta la mia risposta con un certo interesse.
«Sono venuta qui per un paio di settimane per staccare
dall’università e fare un po’ di vacanza.»
Sento la mia voce cambiare improvvisamente tono e farsi
più malinconica. «Studio a Milano, ma d’estate torno in
Sardegna dove sono nata e lavoro sempre, non mi concedo neanche
un giorno di riposo… sono davvero stanca, avevo bisogno
di una pausa. Sono venuta a trovare mio cugino che vive qui
col suo compagno da un po’ di anni. Ecco, oggi è proprio il
mio primo giorno, sono arrivata ieri notte.»
Con un’espressione stupita, riflette sul termine “compagno”,
ci scommetto, coppia gay… e invece: «But really? È la
tua prima volta a Londra?».
«Effettivamente sì» gli dico compiaciuta.
«Well, ci sono tante cose da vedere, in un paio di settimane
potresti farcela a girare bene la città…» non finisce la
frase ma lascia il tutto in sospeso.
Così prendo la parola e gli dico che ho letto una guida di
Londra e ho annotato le cose più particolari e interessanti da
visitare nonché quelle storiche, però se conosce qualche posto
curioso che non è citato sulle guide, può darmi l’indirizzo,
così sa che ho un programma per vedere da sola la città.
Infatti i miei cugini lavoreranno tutto il giorno e io sarò in
giro all day long da sola fino alle otto di sera.
Ovviamente nessuno mi vieta di stare tutto il giorno con
un figo come te, penso fra me e me.
Invece dico soltanto: «E naturalmente nessuno mi vieta
di riposarmi nei parchi che sono fatti apposta per il relax».
Gli faccio un occhiolino.
Mi sorride con calore, è davvero una persona molto alla
mano e devo dire che finora è stato più che un piacere stare
con lui: non è solo bello, è affascinante e ti disarma solo con
uno sguardo.
«Cosa studi?» mi chiede.
«Architettura al Politecnico di Milano.»
«Mmmh molto interessante, però…» Guarda il suo orologio e poi
continua: «Noi siamo qui insieme da tre ore e non
mi hai ancora detto come ti chiami…». Che stupida! È vero!
Mi ero completamente dimenticata di presentarmi.
«Piacere di conoscerti, io sono Aurora» mi affretto a dire.
«Aurora, io sono Daniel e il piacere è tutto mio.»
«Tu invece quanto starai in vacanza a Londra? Hai una
casa qui?» gli chiedo con un tono leggero e rassicurante, non
indagatore.
Riflette un momento e poi risponde con un tono abbastanza spensierato.
«Sì, ho una casa a Kensington comprata da poco e penso
che mi prenderò almeno un paio di mesi di libertà per finire
di arredarla e godermi un po’ di pace, il mio lavoro è molto
bello ma impegnativo, a volte si gira per mesi e non hai tempo per te,
o per la tua famiglia, e ti manca casa disperatamente. A volte desidero
solo un po’ di normalità.» Il suo tono diventa un po’ triste e malinconico.
Lo distraggo all’istante e col mio solito modo rilassato e
festoso mi butto e gli chiedo se ha programmi per la giornata o vuole
accompagnarmi in centro e farmi da guida, infatti
il mio secondo desiderio, dopo il British Museum, è quello
di vedere le vie del centro che ho studiato nel famoso Piano
di Londra di Regent’s Park e Regent’s Street. Il mio libro di
storia della città ne parla in modo preciso, ma io ormai ricordo
solo i dati salienti. Il piano fu pensato nel 1811-26 da
John Nash, architetto e urbanista che riceve l’incarico di realizzare
il più vasto progetto urbanistico mai concepito per
la capitale: la sistemazione di Regent’s Park e Saint James
Park, oltre che il tracciato di una nuova via, Regent Street
che doveva congiungere i due parchi attraversando tutto il
centro della città. Questo piano per Londra era molto importante
poiché la popolazione della città continuava a crescere
in modo esponenziale grazie al fatto che le industrie richiamavano
gente dalla campagna, quindi bisognava renderla
più fruibile oltre che realizzare dei polmoni verdi utili a
contrastare l’inquinamento crescente delle fabbriche. Il Piano
di Regent’s Park prevedeva originariamente la costruzione
di una serie di ville e grandi edifici, una delle quali era la
residenza per il principe reggente, in mezzo al parco: insomma,
l’intero piano lasciava immaginare una vera e propria città
giardino. Purtroppo il progetto centrale non fu mai realizzato,
all’interno del parco fu costruita solo qualche villa, ma
nel Park Village West, anche se in miniatura, si può intuire
la grandiosità visionaria di quell’architetto. Se a tutto questo
aggiungiamo poi che a spiegarmi queste cose è stato un professore
di eccellenza, che ha la capacità di presentare la sua
materia con grande passione e riesce a trasmettere concetti
importanti con semplicità, ecco dunque spiegato facilmente
il mio grande interesse per quella zona della città e la ragione
per la quale l’avevo inserita fra le prime tappe del mio tour
a Londra, la città che più di tutte desideravo da tempo visitare e
conoscere. Inoltre, grazie a quelle lezioni, ho imparato quanto
sia affascinante guardare le vecchie mappe della
città sui libri: quelle antiche carte ti fanno capire come nel
tempo questa “signora” sia cambiata, si sia rifatta il trucco,
ed è questo che affascina gli architetti: poter “vedere le differenze”
e sentirla quindi più vicina, un po’ più tua.
Lo stesso è stato l’incontro con Daniel questa mattina,
due mondi lontani che si sono incontrati.
Ora è qui accanto a me, mi guarda e assume un’espressione interessata,
la sua tristezza si è dissolta.
«Certo, ti accompagno molto volentieri, anche io sono libero e a caccia di avventure.»
Grazie al cappuccino ho riacquistato un po’ di energie, e
così mi alzo in tutta velocità e pago il conto mentre lui rimane
di stucco, forse non si aspettava una “donna emancipata”.
Lo so che lui è un uomo molto famoso, ma perché non posso
farlo io?
Mi sorride, e oggi lo ha già fatto molte volte, e mi ringrazia
per il mio gesto gentile.
Lasciamo il locale e usciamo all’esterno.
«Well, Aurora, immagino che non sei mai stata su un vero
taxi londinese, sai quelli neri e grandi? Preparati perché ora
ne prendiamo uno che ci porterà in centro.»
Prima che me ne renda conto ha sollevato la mano per
chiamare un taxi, preso al volo la portiera della vettura che
si è catapultata dal nostro lato della strada, tenuto la portiera
aperta come un perfetto gentleman per farmi entrare nella
macchina ed è entrato a sua volta in un secondo.
Sono al settimo cielo. Sono in compagnia dell’uomo più
fantastico che abbia mai conosciuto e il suo modo di fare è
sicuro, elegante e molto virile… e qui dentro al taxi mi lascio
andare alla mia prima fantasia su di lui…
TIZIANA (proprietario verificato)
Beh, che dire… dalle prime pagine promette benissimo! non vedo l’ora di continare la lettura, quindi cercate di aiutarmi scegliendo questo libro anche voi!!
ma soprattutto: che volto diamo al protagonista? quale attore vi fa venire in mente???
🙂