Cap. 7
La luna di quella notte d’autunno brillava tra le foglie rosse degli alberi della Silva Somnia, la natura fittissima era tinta dai colori caldi della stagione.
Gli estremisti sfrecciavano tra i tronchi massicci sui loro cavalli muscolosi che sbuffavano di tanto in tanto, le foglie si sollevavano dal terreno sospinte dalla ferocia di quella corsa febbrile. Costeggiarono il fiume Adamantem e arrivarono quasi ai piedi della Vecchia Rupe.
L’unica sagoma più gracilina sembrava essere quella di Julia, la Prinses van die oorlog, ma dalla furia con la quale stringeva le briglie del cavallo per incitarlo a correre più veloce, era alquanto chiaro che non fosse da meno a nessun altro. I suoi occhi di ghiaccio erano vigili e spiccavano sul nero della pelle.
L’unico dettaglio che la rendeva certa di essere figlia del Siel, data la pelle diversa di lui, erano gli occhi cerulei, così chiari da sembrare trasparenti, proprio come i suoi.
Il rumore degli zoccoli furiosi che calpestavano le foglie secche sul terreno, sembrava un urlo di battaglia.
Julia lanciò un’occhiata a Isak, il ragazzo con la cicatrice all’occhio, di fianco a lei. Anche lui sembrava completamente assorto nella furia della corsa.
Serigius si fermò improvvisamente facendo impennare il suo cavallo e anche quello dei ribelli poco dietro. Lo stallone di Julia quasi non la disarcionò, quando si alzò sulle zampe posteriori.
I nitriti dei cavalli stanchi furono gli unici suoni udibili oltre a quelli della foresta circostante.
Serigius scese dal cavallo, si tolse il cappuccio e poi anche la bandana che gli copriva parte del viso.
Julia e Isak si lanciarono un’occhiata con circospezione, non avevano idea del motivo per il quale l’uomo si fosse fermato proprio lì, poi scesero entrambi dal cavallo raggiungendo il Siel.
L’Arpione si acquattò, con un paio di gesti decisi spostò quanta più terra e foglie riuscì, finché non trovò quello che stava cercando, gli occhi chiari gli si illuminarono e smise di sollevare tutta quella polvere.
«Gevind!» ‘trovato’, gridò Serigius ai ribelli che nel frattempo l’avevano accerchiato incuriositi.
Dalla terra emerse una porta, grande appena per far entrare un uomo, nascondeva certamente una sorta di botola. La porticina era in ferro e vi emergeva una specie di maniglione tenuto tra le fauci di un leone dalla criniera ormai arrugginita. L’uomo tirò fuori da una tasca ben nascosta una boccetta contenente un liquido rosso e denso. Aprì la boccetta con i denti e svuotò il contenuto in una piccola fessura nascosta tra i ghirigori di ferro. Passarono diversi secondi prima che qualcosa cominciasse a muoversi, si sentì all’inizio una specie di sbuffo seguito poi da un cigolio, ingranaggi induriti dal tempo che si muovevano per la prima volta dopo anni di stabilità e che adesso si trovavano di nuovo a doversi incastrare gli uni agli altri per aprire la porta di ferro.
Poi ci fu il silenzio.
Serigius afferrò il maniglione, spalancando l’entrata senza troppa grazia.
«E’ un bunker» sussurrò qualcuno tra gli estremisti mascherati poco dietro di loro.
«Vuur!» ‘fuoco’, ordinò il Siel.
Uno degli estremisti prese una fiaccola e la passò al capo clan.
«Liewe dood, ek is reg» ‘Cara morte, sono pronto’ sussurrò Serigius fissando la botola nera sotto di lui, poi prese la torcia e vi si gettò all’interno.
«Come ha fatto a trovare il bunker?» sussurrò Isak, avvicinandosi a Julia perché potesse sentirlo solo lei.
«La vera domanda è: dove ha trovato il sangue di un governatore?» ribadì lei, senza togliere gli occhi dalla botola nella quale si era appena infilato suo padre.
Poco dopo, sia i due ragazzi che una buona parte di ribelli, furono dentro al bunker. L’interno era molto più grande di quanto non ci si immaginasse, date le minuscole dimensioni della porticina d’ingresso.
Le pareti in ferro erano incastonate nel terreno e inaccessibili. Non appena le fiaccole furono abbastanza da poter illuminare l’enorme spazio, si cominciarono a vedere le prime armi. Erano ovunque: appese ai muri, impilate in alcune scatole, appoggiate per terra, avvolte in panni bianchi e altre chiuse in dei bauli i cui lucchetti vennero facilmente distrutti dai possenti colpi di sciabola di alcuni estremisti. La temperatura in quella stanza era più bassa dell’esterno di almeno una ventina di gradi, forse era così che quelle armi inutilizzate da tempo mantenevano le loro caratteristiche come fossero state appena fabbricate.
Piccole nuvolette si condensavano davanti alla bocca dei ribelli che temprati dalla loro vita truculenta e coperti com’erano, si erano a mala pena accorti del violento cambio di temperatura.
Serigius raccolse una pistola da un baule aperto, la osservò ma gli bastò un attimo per disattivare la sicura e premere il grilletto. Un ribelle proprio di fronte a lui si beccò una pallottola in mezzo agli occhi. Il poveretto finì per terra con un tonfo.
Il rumore dello sparo echeggiò per tutto il bunker, rimbalzando tra le pareti massicce.
«Funzionano» sentenziò alla fine Serigius rivolgendo un sorriso vittorioso alla figlia e lanciandole al volo la pistola che lei afferrò prontamente.
«Direi che la prossima domanda da porsi è: come fa tuo padre a saper usare le armi del Vecchio Mondo?» le sussurrò Isak all’orecchio, quando le passò di fianco con una grossa cassa che l’Arpione aveva ordinato di portare al villaggio.
Julia rimase interdetta, fissò la pistola che si ritrovava tra le mani, incapace di darsi le risposte che voleva.
Serigius selezionò una buona metà di armi e poi ordinò: «Queste caricatele sui cavalli e correte al villaggio, veloci, prima che sorga il sole».
«Che facciamo col resto delle armi?» chiese Julia al padre.
L’uomo non rispose, le accennò un sorriso divertito, quasi si prendesse gioco della sua ingenuità, poi si arrampicò sulla scaletta e uscì dal bunker.
Julia e Isak, spinti da una curiosità ardente, tornarono in quel luogo antico appartenuto a popolazioni che avevano camminato su quella terra molti anni prima, dopo un paio di giorni ma non vi trovarono traccia delle armi che Serigius aveva deciso di abbandonarvi all’interno, né trovarono traccia dell’estremista a cui l’Arpione aveva sparato.
L’unica testimonianza di quella notte era una lunga striscia di sangue, indicava che qualcuno avesse trascinato il corpo esanime del ribelle fin fuori dalla stanza sotterranea.
ESTRATTO n.2
Cap. 42
[…]
Dalla porta spuntò il viso conoscete di Vondel e Moon sorrise felice fosse lui e non suo padre.
«Sono passato a controllare come stessi».
«Sono viva» rispose la ragazza allontanandosi dallo specchio.
L’uomo le si avvicinò e fu allora che notò la mancanza della collanina dal collo della ragazza. Moon capì immediatamente.
«Ho dovuto. Sono ribelli, prendono ciò che vogliono» si giustificò.
Non poteva certo dirgli l’avesse gettata nel fuoco di sua spontanea volontà suggestionata da una credenza malsana della quale le aveva parlato Ryder.
L’uomo le accennò un sorriso, poi fece per toglierle i vestiti strappati dalle mani ma Moon li strinse in un movimento quasi involontario. Fu un attimo, quando si rese conto del gesto inappropriato mollò immediatamente la presa.
Vondel la guardò più perplesso di come l’avesse guardata suo fratello quando lei aveva provato a raccontargli di chi fossero gli abiti che aveva indosso.
«Spero possano sopravvivere ancora a lungo» sussurrò alla fine lei, ammettendo più a sé stessa che al maestro quanto realmente si fosse affezionata ai ragazzi.
«Un giorno, quando sarai pronta, ti racconterò delle storie» rispose l’uomo con un sorriso pacato sul volto.
Quella risposta la spiazzò, sentì delle goccioline d’acqua profumata dai petali di rose che avevano adornato il suo bagno, scenderle giù dai capelli e poi lungo la schiena.
«Non mi interessano, questo è il mio posto, è qui la mia famiglia» rispose Moon voltandosi e guardandosi allo specchio. Era dimagrita ma restava comunque di una bellezza disumana.
«Famiglia, non sono coloro che possiedono il tuo stesso sangue, famiglia è per chi sei disposta a morire» disse a un tratto l’uomo con tranquillità.
Quando Moon colse il significato di quelle parole e si voltò per controbattere, Vondel era già uscito dalla stanza portando con sé i vestiti strappati e trascinando via con essi i ricordi di quei giorni surreali.
[…]
ESTRATTO n.3
Cap. 50
[…]
Una sagoma nera si acquattò alla finestra della ragazza. Erano passate diverse ore da quando lei aveva preso sonno. La figura incappucciata scese dal cornicione acquattandosi, silenzioso come un gatto, nella stanza buia. L’unica luce era quella flebile della luna alta nel cielo della notte. La figura, così veloce e precisa, sembrava quasi fosse solo un’ombra riflessa sulle pareti della stanza. Spostò il lungo mantello e si sfilò il pugnale dalla cintura. La lama lucente scintillò non appena l’uomo l’alzò avvicinandosi al letto della ragazza.
I passi veloci uno dopo l’altro, nessun rumore, nemmeno quello del suo respiro, sembrava inesistente, sembrava morto.
Poi fu un baleno. Tirò via le lenzuola e tappò la bocca della ragazza.
Lei si svegliò di soprassalto, sgranò gli occhi non appena distinse la figura incappucciata che la guardava con brama famelica. Le puntò il coltello alla gola e Moon scalciò, l’adrenalina in corpo le aveva svegliato tutti i sensi eppure non riuscì a togliersi il corpo dell’uomo di dosso.
Durò tutto una frazione di secondo, l’espressione della figura incappucciata si tramutò. Da famelica e bramosa di sangue, improvvisamente, sembrò confusa e spaesata. Si allontanò da Moon che istintivamente urlò così forte da far tremare le mura dormienti del palazzo.
«Mia signora» sussurrò la figura, indietreggiando e togliendosi il cappuccio. Era ben consapevole ormai fosse in trappola, mascherare la propria identità non serviva più a nulla.
Fu allora che Moon lo riconobbe, l’aveva già visto all’accampamento di Ryder. Era un ribelle, il ragazzo dai folti ricci rossi che le aveva rivolto un reverenziale inchino quando lei aveva lasciato la Radura.
Proprio mentre la ragazza stava disperatamente cercando di fare mente locale, dalla porta fecero irruzione diverse Aiden, accompagnato da diversi guerrieri. Il ragazzo, ancora intontito dal sonno, fissò la scena confuso. Che diavolo stava succedendo e che cosa aveva fatto questo animale a sua sorella?
Aiden non diede nessun ordine, afferrò la spada di una delle guardie accanto a lui e fece per avvicinarsi al ribelle.
Il ribelle in tutta risposta incrociò lo sguardo di Moon con una tranquillità che lasciò la ragazza completamente spaesata. A che gioco stava giocando? Prima cercava di ucciderla, poi se ne pentiva e le chiedeva scusa e adesso la fissava con quello sguardo quasi d’ammirazione?
Chi l’aveva mandato? Ryder? A Moon si gelò il sangue nelle vene, sentì una morsa attanagliarle le viscere e gli occhi le si imperlarono di lacrime. Aveva tanto sperato di poterlo rivedere e adesso la realtà la schiaffeggiava beffarda. Avrebbe voluto chiedere al ragazzo se fosse stato Ryder a mandarlo ma non lo fece, mostrarsi interessata alla vita di un ribelle, di fronte al fratello e alle guardie, era fin troppo pericoloso.
Il ribelle dalla folta chioma rossa fece un breve ma significativo inchino a Moon, ancora accovacciata tra le lenzuola con gli occhi celesti sbarrati, poi si voltò verso Aiden, che nel frattempo aveva alzato la spada, e sputò sonoramente, sporcando di saliva la maglia del ragazzo.
«Non servirò mai un falso re» sussurrò con gli occhi rossi d’ira.
Poi si tagliò la gola. Moon si portò una mano alla bocca per non urlare ma una lacrima le scivolò giù fino a bagnare le lenzuola.
Il sangue schizzò fin alle pareti e il corpo del ribelle si accasciò scosso da spasmi. Ben presto il pavimento non fu altro che una pozza viscida che nel buio della stanza sembrava petrolio, l’odore metallico invase l’aria che diventò quasi soffocante.
«Mio dio» sussurrò disgustato Aiden voltandosi dall’altro lato, schifato dalla scena. «Portate via il corpo e mandate qualcuno a ripulire questo scempio» ordinò poi alle guardie, riconsegnandogli la spada.
«Stai bene?» disse avvicinandosi alla sorella, l’abbracciò ma lei non si mosse.
Moon rimase con gli occhi fissi sul corpo del ribelle, le palpebre ancora aperte e quel profondo squarcio alla gola. Adesso capiva.
Ricordò quando, durante la missione per riportarla nel Nuovo Mondo, lei e i ribelli erano stati costretti a continuare a piedi perché qualcuno aveva deciso di avvelenare i cavalli.
“Chiunque sia stato vuole la guerra ma non la morte di Moon” aveva detto Ryder.
«Non è me che stava cercando» sussurrò alla fine la ragazza senza curarsi di asciugarsi il viso bagnato dalle lacrime.
Aiden si scostò dalla sorella per guardarla in viso ma lei non ricambiò lo sguardo, restò a fissare il cadavere del ragazzo steso a pochi metri da lei e poi continuò: «Stava cercando te».
Commenti
Ancora non ci sono recensioni.