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Letterbomb

Letterbomb

La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Marzo 2024
Bozze disponibili

21 marzo 2018: l’inizio della primavera.
Non per Fabrizia, che si troverà a fare i conti con una nuova stagione, quella del nero più assoluto. Un nero difficile da scrollarsi di dosso.
Letterbomb è un’agrodolce lettera scritta da una figlia alla propria mamma.
Un percorso sconvolgente e struggente che segue il filo dei ricordi nella malinconia, nel dolore, nel senso di colpa e nell’angoscia che accompagnano una tragica ed improvvisa scelta di non vita.
Un viaggio drammatico tra paura e speranza al centro del vissuto di una figlia che coraggiosamente affronta il tema dell’alcolismo e del suicidio, in cerca di quei perché che tanto affollano la mente di chi resta.
Un messaggio di speranza per chi ha toccato Il fondo, ma ha trovato la strada per riemergere affrontando con coraggio le avversità che la vita può metterci di fronte
”Non è finita finché non sei sottoterra, non è finita finché non è troppo tardi.”

Perché ho scritto questo libro?

Letterbomb vuole dare voce al tabù dell’alcolismo e del suicidio.
Questa lettera, indirizzata a mia mamma, vuole essere la voce di chi resta.
Li definisco i ‘sopravvissuti condannati’, inizialmente, ad una marea di domande e sensi di colpa ai quali è difficile trovare pace.
Una lettera che affronta il dolore, la fatica di rialzarsi in piedi dopo un’improvvisa e lacerante perdita.
È il mio viaggio di andata e ritorno dall’inferno esempio di come la forza della vita sia la chiave di tutto.

ANTEPRIMA NON EDITATA

Cara mamma

Come si inizia una lettera?

Cara. Cara mamma.

Ho sempre dato per scontato che le lettere cominciassero con quel “caro” o, come nel nostro caso, “cara”. Oggi però peso ogni parola, e mi viene spontaneo farlo anche, e forse soprattutto, con quelle che non ho scelto io. Cara mamma. Certo che mi sei cara. Forse dovrei cominciare con “carissima mamma”, come iniziano le lettere di Kafka a suo padre, quelle che non gli ha mai spedito perché erano troppo sincere, e in quella sincerità c’era anche parecchio rancore. Kafka non gliele ha spedite soprattutto perché il papà era già morto.

Anch’io non ti spedirò le mie.

Il motivo è solo parzialmente diverso.

Continua a leggere

Continua a leggere

(Anche tu sei già morta).

E quel “cara”, o “carissima” che sia, ha anche l’altro significato che si attribuisce a questa parola. Cara come un gioiello speciale – qualcosa per la cui preziosità hai dovuto pagare. Mi trovo così a riflettere di questo cara mamma. Che sarebbe stato scontato, se non fosse che tu queste lettere non le leggerai mai. Non lo puoi fare. Non ci sei più. Kafka avrebbe scritto comunque cose così livorose su suo padre se lui, come te, si fosse tolto la vita?

Mamma.

Cara mamma.

Carissima mamma.

Dire che mi manchi mi sembra, come quel “cara” così insufficiente, un altro modo di sminuirti. Scrivendo la prima di queste lettere mi rendo conto che era vero quello che diceva Pirsig, e cioè che le parole definiscono, delimitano e quindi per loro natura distruggono la conoscenza vera. È che ci serve delimitare, descrivere. Ma certi sentimenti non ne escono inevitabilmente mutilati? (Esiste una parola, una frase, sufficiente a definire la mancanza di una mamma che si è uccisa? Non lo so. La troverò. Quantomeno, la cercherò. Per ora, mamma, accontentati di “cara mamma” e di un inflazionato ma quantomai sentito “mi manchi tanto”).

Ti scrivo dalla merceria, la merceria che ho odiato tanto da bambina.

La merceria che – ne ero convinta – mi aveva tolto te. La possibilità di averti sempre intorno, perché avevi scelto di lavorare e da bambini siamo naturalmente egoisti. Non desideravo altro che averti vicina.

Pare uno scherzo del destino il fatto che io oggi ti cerchi proprio qui.

Jeux de Dames, così si chiamava all’inizio. Giochi di dame.

Un gatto ne andrebbe pazzo: è il regno dei gomitoli colorati, l’impero definitivo dei cassetti e della lana e dei fili arcobaleno.

Se chiudo gli occhi ti vedo qui. È un dolore che cerco, perché è anche l’unico modo di rievocarti. Abbattere le barriere dello spazio e del tempo: immaginarti. Come un sogno. Vorrei solo che durasse per il tempo di queste lettere.

Tu, Federica – per me Fede – io Fabrizia. Dovevate chiamarmi Luce. Il fatto che me lo abbiate detto, unito al doppio significato del nome, mi fa pensare. Di solito si proietta ciò che non si è avuto, o che si sarebbe voluto avere meglio, o di più, sui cuccioli di essere umano. Lo si fa anche quando si pensa al loro nome. Luce è un augurio di gioia, ma forse è qualcosa in più. Luce era la tua ricerca; Luce, forse, era quello che speravi ti desse la mia nascita. Luce, per te, che forse l’ombra la temevi. Che perfino l’avevi presagita, chissà. Ma sto divagando. Dev’essere una forma di pensiero magico, perdonami. È che mi hai lasciata senza risposte, e con una marea di domande. Una marea, mamma.

Per cui mi trovo qui, nella tua merceria, a improvvisare un ultimo gioco di dame. Questo, temo, più pericoloso di quello che facevi tu. Tu facevi vestiti, e li aggiustavi (qualcuno ha aggiustato te quando ne avevi bisogno?). Io ora faccio i conti con i miei fantasmi, e anche con i tuoi. Voglio parlarti, e parlare a quella parte di te che vive e vivrà sempre in me. Voglio capire, pacificarmi. E, se è impossibile pacificarmi, mi accontenterò del tipo di gioia che resta a chi resta, per l’appunto: nessuno può impedirci di ricordare. Nessuno può impedirci di salvare la tua, di luce. Tenterò.

*

Mi rigiro tra le mani una foto che ho di te.

Nella foto sei incinta, incinta di me. Hai una pancia che a momenti neanche si vede e sembra che ti venga da ridere. Hai delle stelline negli occhi.

Indossi una salopette di jeans che ti dà un’aria ingenua, e sotto la salopette porti un golfino rosso. Brilli come il sorrisone che regali alla fotocamera. Sei al lago in montagna con tua mamma e Marcello. Hai questa pancia con dentro me e la porti con grazia e soprattutto con una gioia infinita. Luce eri tu. Guardando questa foto mi risulta così difficile e, non ti nego, doloroso, immaginare il processo mentale che ti ha portata a essere sempre più ombra, sempre meno luce. A essere sempre meno te.

Kurt Cobain, che si era tolto la vita anche lui, aveva scritto: «Better to burn out than to fade away». Meglio bruciare che scivolare via. Andarsene come una stella che scoppia. Immagino fosse quella la sua idea. Forse un privilegio dei famosi, immaginarsi stella che esplode. Quando penso a quello che è successo a te mi pare che tu sia stata entrambe le cose, ma non riesco a togliermi dalla mente l’idea che tu sia, in effetti, scivolata via. Ci sei scivolata dalle mani come un gomitolo di cui perdi il segno. E ora sono qui a cercare di seguire quel filo. Come quello di Arianna nel labirinto del Minotauro. Che forse non è tardi per capire, e di certo non lo è per ricordare. (Come se fossi in grado di dimenticarti, poi. Che quelli veramente bravi trovano l’equilibrio tra ricordare e scordare. Se ricordi sempre impazzisci. Non impazzisci di meno se dimentichi, se neghi il dolore e l’amore che sono stati. Bisogna essere eroi, bisogna ricordare e scordare: insieme).

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Grazie ad una segnalazione ho letto il testo pre-ordinato. Testo da consigliare.
    Questo ho scritto a lui che riporto anche qui:
    Caro Luca, ho finito di leggere ieri la lettera, intima, profonda, toccante. La vita è mistero e le fotografie rappresentate dalla lucida scrittura di Fabrizia, ne ritagliano incantesimi di dolore. Aleggia sull’intero testo una vibrante voglia di riscatto: tra l’impossibilità di comprendere la verità e l’illusione di carpirne i segreti per un arbitrio che dona la vita e che la vita si è portata via. Ne emerge un’anima Zen, fluttuate tra la coscienza di essere anima e vita e il bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande, più intimo e al contempo universale e naturale. Gli animali sono l’energia di Fabrizia, il ponte di contatto con i suoi più profondi desideri di “sapere”. Esperienze concrete di un significato invero intangibile.

    Fai i complimenti a Fabrizia. Speriamo sia la prima di una lunga serie di esperienze letterarie.

  2. Ho avuto la possibilità già di leggerlo avendolo pre-ordinato. E’ un viaggio emozionante tra le paure e la speranza, una grande forza d’animo che con coraggio sfida le avversità che la vita può farci incontrare, tra cui due che sono spesso ritenute tabù, come l’alcolismo e il suicidio.
    Fabrizia affronta tutto questo come una superstite delle sfide che ha dovuto superare, con grande umanità e forza, un messaggio di speranza per chi ha toccato Il fondo ma ha trovato la strada per riemergere. Luca

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Fabrizia Pavetto
Fabrizia Pavetto, nasce ad Aosta nel 1984.
Da sempre amante della scrittura come forma di espressione e comunicazione più alta, si affaccia al mondo dell'editoria diventando giornalista nel 2007.
Radio, carta stampata, magazine, libri, sono il suo mondo.
La sua passione è la crescita personale e il coaching.
Dal 2021 è mental coach professionista specializzata in coaching oncologico.
Storie di vita complicate e formanti la porteranno a scrivere il primo libro ''Letterbomb'' tratto dalla sua vera storia.
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