(Anche tu sei già morta).
E quel “cara”, o “carissima” che sia, ha anche l’altro significato che si attribuisce a questa parola. Cara come un gioiello speciale – qualcosa per la cui preziosità hai dovuto pagare. Mi trovo così a riflettere di questo cara mamma. Che sarebbe stato scontato, se non fosse che tu queste lettere non le leggerai mai. Non lo puoi fare. Non ci sei più. Kafka avrebbe scritto comunque cose così livorose su suo padre se lui, come te, si fosse tolto la vita?
Mamma.
Cara mamma.
Carissima mamma.
Dire che mi manchi mi sembra, come quel “cara” così insufficiente, un altro modo di sminuirti. Scrivendo la prima di queste lettere mi rendo conto che era vero quello che diceva Pirsig, e cioè che le parole definiscono, delimitano e quindi per loro natura distruggono la conoscenza vera. È che ci serve delimitare, descrivere. Ma certi sentimenti non ne escono inevitabilmente mutilati? (Esiste una parola, una frase, sufficiente a definire la mancanza di una mamma che si è uccisa? Non lo so. La troverò. Quantomeno, la cercherò. Per ora, mamma, accontentati di “cara mamma” e di un inflazionato ma quantomai sentito “mi manchi tanto”).
Ti scrivo dalla merceria, la merceria che ho odiato tanto da bambina.
La merceria che – ne ero convinta – mi aveva tolto te. La possibilità di averti sempre intorno, perché avevi scelto di lavorare e da bambini siamo naturalmente egoisti. Non desideravo altro che averti vicina.
Pare uno scherzo del destino il fatto che io oggi ti cerchi proprio qui.
Jeux de Dames, così si chiamava all’inizio. Giochi di dame.
Un gatto ne andrebbe pazzo: è il regno dei gomitoli colorati, l’impero definitivo dei cassetti e della lana e dei fili arcobaleno.
Se chiudo gli occhi ti vedo qui. È un dolore che cerco, perché è anche l’unico modo di rievocarti. Abbattere le barriere dello spazio e del tempo: immaginarti. Come un sogno. Vorrei solo che durasse per il tempo di queste lettere.
Tu, Federica – per me Fede – io Fabrizia. Dovevate chiamarmi Luce. Il fatto che me lo abbiate detto, unito al doppio significato del nome, mi fa pensare. Di solito si proietta ciò che non si è avuto, o che si sarebbe voluto avere meglio, o di più, sui cuccioli di essere umano. Lo si fa anche quando si pensa al loro nome. Luce è un augurio di gioia, ma forse è qualcosa in più. Luce era la tua ricerca; Luce, forse, era quello che speravi ti desse la mia nascita. Luce, per te, che forse l’ombra la temevi. Che perfino l’avevi presagita, chissà. Ma sto divagando. Dev’essere una forma di pensiero magico, perdonami. È che mi hai lasciata senza risposte, e con una marea di domande. Una marea, mamma.
Per cui mi trovo qui, nella tua merceria, a improvvisare un ultimo gioco di dame. Questo, temo, più pericoloso di quello che facevi tu. Tu facevi vestiti, e li aggiustavi (qualcuno ha aggiustato te quando ne avevi bisogno?). Io ora faccio i conti con i miei fantasmi, e anche con i tuoi. Voglio parlarti, e parlare a quella parte di te che vive e vivrà sempre in me. Voglio capire, pacificarmi. E, se è impossibile pacificarmi, mi accontenterò del tipo di gioia che resta a chi resta, per l’appunto: nessuno può impedirci di ricordare. Nessuno può impedirci di salvare la tua, di luce. Tenterò.
*
Mi rigiro tra le mani una foto che ho di te.
Nella foto sei incinta, incinta di me. Hai una pancia che a momenti neanche si vede e sembra che ti venga da ridere. Hai delle stelline negli occhi.
Indossi una salopette di jeans che ti dà un’aria ingenua, e sotto la salopette porti un golfino rosso. Brilli come il sorrisone che regali alla fotocamera. Sei al lago in montagna con tua mamma e Marcello. Hai questa pancia con dentro me e la porti con grazia e soprattutto con una gioia infinita. Luce eri tu. Guardando questa foto mi risulta così difficile e, non ti nego, doloroso, immaginare il processo mentale che ti ha portata a essere sempre più ombra, sempre meno luce. A essere sempre meno te.
Kurt Cobain, che si era tolto la vita anche lui, aveva scritto: «Better to burn out than to fade away». Meglio bruciare che scivolare via. Andarsene come una stella che scoppia. Immagino fosse quella la sua idea. Forse un privilegio dei famosi, immaginarsi stella che esplode. Quando penso a quello che è successo a te mi pare che tu sia stata entrambe le cose, ma non riesco a togliermi dalla mente l’idea che tu sia, in effetti, scivolata via. Ci sei scivolata dalle mani come un gomitolo di cui perdi il segno. E ora sono qui a cercare di seguire quel filo. Come quello di Arianna nel labirinto del Minotauro. Che forse non è tardi per capire, e di certo non lo è per ricordare. (Come se fossi in grado di dimenticarti, poi. Che quelli veramente bravi trovano l’equilibrio tra ricordare e scordare. Se ricordi sempre impazzisci. Non impazzisci di meno se dimentichi, se neghi il dolore e l’amore che sono stati. Bisogna essere eroi, bisogna ricordare e scordare: insieme).
Roberto Moneda (proprietario verificato)
Grazie ad una segnalazione ho letto il testo pre-ordinato. Testo da consigliare.
Questo ho scritto a lui che riporto anche qui:
Caro Luca, ho finito di leggere ieri la lettera, intima, profonda, toccante. La vita è mistero e le fotografie rappresentate dalla lucida scrittura di Fabrizia, ne ritagliano incantesimi di dolore. Aleggia sull’intero testo una vibrante voglia di riscatto: tra l’impossibilità di comprendere la verità e l’illusione di carpirne i segreti per un arbitrio che dona la vita e che la vita si è portata via. Ne emerge un’anima Zen, fluttuate tra la coscienza di essere anima e vita e il bisogno di sentirsi parte di qualcosa di più grande, più intimo e al contempo universale e naturale. Gli animali sono l’energia di Fabrizia, il ponte di contatto con i suoi più profondi desideri di “sapere”. Esperienze concrete di un significato invero intangibile.
Fai i complimenti a Fabrizia. Speriamo sia la prima di una lunga serie di esperienze letterarie.
Luca Magnotta
Ho avuto la possibilità già di leggerlo avendolo pre-ordinato. E’ un viaggio emozionante tra le paure e la speranza, una grande forza d’animo che con coraggio sfida le avversità che la vita può farci incontrare, tra cui due che sono spesso ritenute tabù, come l’alcolismo e il suicidio.
Fabrizia affronta tutto questo come una superstite delle sfide che ha dovuto superare, con grande umanità e forza, un messaggio di speranza per chi ha toccato Il fondo ma ha trovato la strada per riemergere. Luca