Un ragazzo alto e dal bell’aspetto, sorridente e divertito… solitamente.
“Bella giornata, per carità… ma qui c’è una noia terribile! Sto per fare la muffa!” mormorò bruscamente il bardo guardando il soffitto, ancora a letto tanta la noia: “guarda tu se ora sono costretto a parlare da solo per divertirmi… non sono nemmeno simpatico se devo parlare da solo!”
La noia si arrampicava sul ragazzo dalla punta dei piedi fin sulle tempie, portando persino un fastidioso mal di testa. Si tirò a sedere sul letto, incrociando le gambe e puntando i gomiti sulle ginocchia: sul suo volto un grugno borbottante si guardava attorno alla ricerca di qualcosa. Passò una mano sui capelli. Quella mattina il suo colorito biondo non era ancora stato rinvigorito dalle polveri azzurre che usava per colorare i capelli.
“Qualcosa che mi possa divertire…”
Qualcosa che potesse impegnare le sue giornate.
“Qualcosa che mi possa salvare da questo strazio…”
Qualcosa che potesse-
“Un’avventura!”
Un’avventura.
Nel circoscrivere la sua piccola stanza con lo sguardo, i suoi occhi non poterono fare altro che cadere sulla mensola dedicata ai doni dei suoi amici, che da tanto ormai non vedeva. All’arrivo dell’idea subito alzò un dito e si gettò fuori dal letto, correndo alla scrivania a prendere pergamene e calamaio. Nell’impetuosità svegliò anche il suo fido compagno, che subito si diresse elettrizzato alla sua gamba alzandosi su due zampe e reggendosi all’amico. Il compagno che teneva di fianco era un piccolo cane dalla peluria bruna ma leggermente lucente, di piccola taglia e con due enormi occhi scuri e delle minute zampe curiose.
“Aspetta Nessuno, devo preparare l’avventura della nostra vita! Cioè… ripreparare!”
Alle parole del mezzelfo, nonostante scodinzolante, Nessuno sedette a terra impaziente di partire: in qualche modo sembra condividessero il desiderio di viaggiare… e chissà, forse anche il cane si stava annoiando in una mattina così chiara.
Impugnata la penna e raccolto l’inchiostro, dalla mano del bardo nacque una danza su carta, che dopo poco si trasformò in una gloriosa chiamata all’avventura.
“Mie cari amici, è tanto che non ci vediamo…
Qui alla Radura il tempo è ottimo, ogni cosa è al suo posto. Ogni uccellino cinguetta ed ogni fiore sboccia come ricordate: i ruscelli sono calmi e la melodia è armoniosa, fin troppo!
Oh e sono sicuro anche da voi sia lo stesso…
Il mare sarà certamente melodioso, così come i paesaggi innevati e le montagne orientali. Gli alti monti e le foreste saranno colme di tanti canti, è ovvio!
Ma so bene a cosa state pensando… pensate che tutto questo sia fin troppo tranquillo. Tranquillo e calmo.
Certamente piacerà al nostro buon principe, ma secondo me persino lui è annoiato.
Questa lettera è quindi la soluzione ai vostri problemi!
Questa lettera è la chiamata all’avventura che stavate aspettando, miei cari amici.
Ci incontreremo al crepuscolo dell’ottavo giorno da oggi, nella locanda dove ci siamo salutati la scorsa volta.
Portate pure tante provviste e monete, sarà un lungo viaggio!
L’avventura della nostra vita, l’esperienza che tanto abbiamo sognato di completare nei nostri comodi e noiosi giacigli.
Affrettatevi, otto giorni passano in fretta!
Vostro, Tell Marbell.”
Sorrise subito dopo aver finito di scrivere ed alzò davanti a sé i fogli di carta che aveva già preparato, per poi affacciarsi verso il compagno, scodinzolante e pronto a partire. Si alzò di corsa, spingendosi via dalla sedia.
Dentro di sé poteva sentire il suono di tutti i paesaggi che avrebbero visitato, tutte le persone che avrebbero conosciuto e tutte le gesta di cui si sarebbe parlato nelle locande al loro ritorno. Raccolto grossolanamente uno zaino e qualche provvista, agganciò la catenina al collo di Nessuno ed afferrò il suo fidato strumento.
Si precipitò fuori casa con un sorriso a solcare il volto, e non appena raggiunta la via principale salto dalla gioia ed esclamò.
“Finalmente avventura!”Capitolo 2: Principe
Come di consueto, a Terrabianca il clima era freddo e difficile.
La nevicata notturna aveva ricoperto il paesaggio con un candido velo bianco, in grado di tingere anche la più sgargiante delle case: all’interno delle abitazioni e le biblioteche i molti studenti si scaldavano al tepore di un dolce fuoco, insieme alle famiglie ed i membri della prestigiosa Accademia di Terrabianca. A nord della città, invece, spiccava l’argenteo palazzo reale, a cui la neve donava soltanto un aspetto più regale e prezioso. Nella torre più alta, l’erede del Primo Cuore di Terrabianca studiava silenziosamente nella sua stanza, in attesa del richiamo dei genitori per il pranzo.
Il principe era un elfo di alto lignaggio dai capelli argentei e la pelle lievemente pallida: sul retro della sua testa portava una clessidra, ottenuta attraverso diverse lunghezze del cuoio capelluto. Il suo corpo era minuto, a prima vista trascurato dall’ossessivo studiare, ma in realtà perfettamente sano. Nervoso e scocciato dalle ricerche ferme, con l’indice della mano destra creava minuscoli cerchi di ghiaccio sulla superficie della sua scrivania, riflettendo sul da farsi e le altre biblioteche in cui avrebbe potuto ricercare informazioni. Solo pochi secondi dopo, sua madre, la Regina di Terrabianca, bussò alla porta ed entrò con un dolce “buondì”.
“Madre, buongiorno… non sono passato a salutare questa mattina, vi chiedo scusa.” rispose il principe.
“Non c’è problema, figliolo. Sono venuta a dirti che a breve mangeremo, ti andrebbe di pranzare con noi?” disse amorevolmente, posando una mano sulla spalla del figlio.
“Ho alcune ricerche da finire per l’accademia… un collega mi ha chiesto delle informazioni.”
Le parole del figlio suscitarono un riso nella donna, che sedette vicino a lui e gli diede un bacio sulla tempia. Allungò la mano, conducendo lo sguardo del figlio alle mura del suo studio: su di esse erano innumerevoli onoreficenze e diverse lauree, il grande frutto dello studio del principe.
“So cosa stai per dire, ma penso ci sia ancora molto che posso apprendere…” rispose il ragazzo, voltandosi leggermente verso la madre, che nuovamente gli sorrise dolcemente.
“Quando ho sposato tuo padre ero sicura il nostro piccolo gioiello sarebbe stato un grande uomo, non serve superare quotidianamente le nostre aspettative.”
Il ragazzo sospirò alla dolcezza della madre e si alzò dalla sedia, tendendole la mano in segno di cortesia.
“Non ho tanta fame, verrò per farvi compagnia.”
La madre prese la sua mano e sorrise, avvicinandosi per un altro bacio sulla guancia.
“Immagino vorrai sistemare le tue cose, ti aspetteremo giù.” rispose lei caldamente, per poi avviarsi verso la sala.
Il principe si voltò verso i libri che aveva sul banco e ne spostò alcuni, rivelando quello che aveva abilmente nascosto al bussare della madre: con un gesto della mano lo rese invisibile e sistemò insieme agli altri, ripulendo poi la stanza e raggiungendo i genitori in sala.
Al suo arrivo i genitori erano già in tavola con i piatti serviti, al che subito sedette al fianco del padre.
“Buongiorno, piccolo studioso. Hai deciso di farci visita in questa fredda mattina?” disse il padre, allungando una mano a carezzare il capo del figlio.
“Giorno padre, vi chiedo scusa per la mia assenza in questi giorni… ero impegnato con le ricerche per l’accademia.” rispose, chinando il capo in segno di scuse dopo la carezza.
“Non ne dubito, Cyn’dor. Non scusarti. Per quale laurea stai studiando ora?”
Il ragazzo si soffermò a riflettere per un secondo, guardando il padre con la coda dell’occhio e socchiudendo leggermente le palpebre.
“Negromanzia, è da un po’ che volevo lavorarci.”
Mentre il padre mangiava, Cyn’dor si soffermò a guardare la sua espressione alla ricerca di una reazione, ma tutto ciò che notò fu un sorriso ed uno sguardo dolce.
“Certamente non una delle più praticate in accademia… ma molto interessante a parer mio, se non si sfiora il lato malvagio della scuola. Come sempre ti confermi una grande soddisfazione ed un ragazzo molto curioso. Ma fa ben attenzione quando studi questo genere di materie.” rispose il padre, sorridendo nuovamente al figlio.
Da lì, non avendo ottenuto le informazioni che voleva, anche il principe iniziò a mangiare per essere lievemente di compagnia. A tavola parlarono del più e del meno, con entrambi i genitori molto entusiasti e fieri del figlio, quando arrivò uno dei maggiordomi con in mano una lettera.
“Per il signorino, una lettera dalla Radura.” disse, posando elegantemente la lettera sul lato del tavolo di Cyn’dor.
“Vi ringrazio…” mormorò Cyn’dor, prendendo la lettera: “con permesso, potrebbe essere importante.”
“Leggi leggi, tranquillo. Dalla Radura è sicuramente qualcosa dal buon Tell.”
Dopo aver annuito silenziosamente Cyn’dor si soffermò a leggere la lettera ricevuta, che in lui suscitò una strana sensazione. Da un lato era felice di aver sentito nuovamente suo fratello, ma dall’altro la richiesta lo turbava lievemente.
Pensò che era una richiesta strana, che nessuno partirebbe per pura noia, e che ci doveva essere qualcosa di non detto.
Nonostante questo, la lettera riuscì quasi a regalare sollievo al ragazzo, che però non riusciva ad allontanare il pensiero dalle sue responsabilità. La madre notò subito l’espressione del figlio, così guardò il marito e gli fece segno di guardare con lei. Posando una mano sotto il mento il principe si fermò ancora qualche istante a riflettere sul da farsi, ma dopo poco non poté far altro che scuotere la testa e posare la lettera.
“Non ho tempo per un viaggio di questo tipo, soprattutto alla luce delle ultime scoperte… se dovessi tardare a scoprire cosa sta succedendo Terrabianca potrebbe subire gravi perdite.” pensò, carezzandosi il mento lievemente.
“Beh? Cosa dice questa lettera?” chiese pacatamente il padre.
“Tell è annoiato, vorrebbe partire con me ed i nostri vecchi compagni… mi toccherà scrivere una lettera di rifiuto, non posso muovermi in questo momento o gli studi ne risentiranno.”
Il padre non venne colpito dalle parole del principe, che nuovamente si dimostrò attento al suo ruolo e le sue responsabilità all’interno del regno.
“Mi permetto di dissentire da questa valutazione, Cyn’dor. Vorrei tu andassi a divertirti con i tuoi compagni, questa età non tornerà… e soprattutto: la conoscenza che cerchi non deve restare statica. Sei un ragazzo intelligente, oltre ogni misura ed aspettativa di me ed i nostri avi, ma hai bisogno di lasciar fluire la cultura dentro di te. Non devi lasciare che le mura di questo pallido palazzo facciano impallidire anche la tua vita. Va lì fuori, esplora. Tocca con mano la conoscenza che possiedi.”
Cyn’dor guardò nuovamente il padre, annuendo leggermente ai complimenti.
“Non lo so, padre… valuterò. Grazie per il consiglio in ogni caso… e grazie per il pasto.” disse, alzandosi e chinando il capo in segno di saluto.
Da lì la giornata passò con molta fatica.
Da qualche giorno aveva trovato nella biblioteca reale quell’antico testo della sua famiglia, colmo di interrogativi e dubbi, che segretamente lo aveva persino condotto ad una stanza nascosta nelle viscere del palazzo. Con la mente tempestata dalla lettera di Tell ed i suoi studi, la sera stessa si recò nella stanza che aveva trovato, alla ricerca di altre informazioni.
Scendendo silenziosamente le scale entrò nel buio e gelido corridoio che portava alla stanza: questo era molto lungo e per niente illuminato, tanto da costringere Cyn’dor ad utilizzare più di una Luce Danzante.
Le piccole lucciole magiche rivelavano ogni volta delle mura poco crepate e dall’aspetto quasi curato.
Strano, a parer di Cyn’dor.
Non dovevano essere tanti a conoscere quel luogo.
Nè tantomeno ad averne l’accesso…
Proprio mentre questi pensieri vagavano nuovamente intorno a lui, qualcuno mise rapidamente una mano sulla sua bocca.
Cyn’dor sussultò e cercò di girarsi verso la figura, che subito sussurrò:
“Sta’ calmo, Cyn’dor…”
Fortunatamente, la voce non era che quella del padre. Questo portò Cyn’dor a calmarsi e voltarsi tranquillamente, nonostante un po’ intimorito dal padre.
“Ero sicuro lo conoscessi, per quale motivo non mi hai detto nulla…?”
Nonostante l’acquisita sicurezza non poté fare altro che indietreggiare impaurito, mentre il padre gli donava uno dei pochi sguardi severi della sua vita.
Ghuran III, il padre di Cyn’dor, non era un uomo freddo né rigido.
Ma i suoi sguardi riuscivano a gelare persino il fuoco.
“Vieni su, parliamo davanti al focolare… tanto non riusciremo in nessun caso ad aprire quella porta. Il tuo bisnonno è stato molto attento a chiuderla ermeticamente…” mormorò, prima di girarsi e risalire le scale.
Cyn’dor seguì silenzioso, non sapendo disubbidire al padre ma ancora contrariato dall’avvenuto. Capitolo 3: Pirata
“CAPITANOOOOOO!”
Nel grande mare di Beril vagava cullata dalle onde la Volere del Mare.
Una nave imponente ed armata fino allo scafo, dalla poppa alla prua: resistente ad ogni urto, il veliero più temuto. A bordo un equipaggio di trenta uomini, dagli orchi ai goblin, passando per gli elfi ed i nani.
Uomini violenti, razziatori e spesso crudeli. Una banda di-
“CAPITAAAAAANO!”
…
Una banda di manigoldi rozzi e caparbi, nemici infimi della Curvelame di Cristallo.
Figli dell’oce-
“CAPITANO! CAPITANO! CAPITANO!”
“CHE CAZZO VUOI?!” urlò il capitano calciando la porta della sua stanza per uscire, ancora a petto nudo: “INTERROMPI ANCHE LA NARRAZIONE, POI QUESTO SE LA PRENDE CON ME!”
“C’è una lettera per voi!” esclamò il mozzo prima di correre a portare la lettera.
“E tu mi hai svegliato per una LETTERA?!” urlò di risposta in cagnesco, strappando la lettera dalle mani del mozzo: “di chi è?!”
“N-Non lo so, capitano… non l’ho-”
“Non l’hai aperta! NO! Bravo, ti sei salvato la vita.”
“Grazie capitano!” rispose il mozzo intimorito.
“Ora via dalla mia vista o ti strappo un braccio.”
Saromis Zaraga, il ragazzo più temuto al mondo e contemporaneamente il più ricercato. All’età di 24 anni era già stato condannato a morte 5 volte, catturato 23 ed attaccato 4 volte dalle flotte più grandi di Beril.
Taglia sulla testa corrispondente a 10560 monete d’oro, la più alta conosciuta.
Un uomo dalla chioma bruciacchiata e rossiccia, il fisico muscoloso… ma martoriato da innumerevoli cicatrici e ricoperto di piercing e tatuaggi. Occhi dal colore rosso, sfumati dal denso sangue al più intenso fuoco.
Coloro che lo conoscono hanno un certo detto: se si tratta di uno scontro, sempre scommettere su Saromis. Che sia su terra, in aria od in mare, è di comune credenza che questo mostro non abbia rivali in nessun’altra creatura esistente.
Il Re del Sangue.
Ossarosse, veniva chiamato.
Il Flagello dell’Oceano.
Il Più Crudele dei Viventi.
Si destreggiava nell’Unico Mare, il grande oceano che circondava Beril. Le sue onde erano spesso placide, ma non si trattenevano dall’abbattere i peggiori marinai quando questi si permettevano di sfidarle. Un mare cristallino, pullulante di antichi mostri e lunghe Serpi.
“Ma che cazzo…?” mormorò mentre leggeva la lettera: “ma questo è serio?”
Sbuffò e si passò una mano in faccia, salendo le scale per la parte anteriore della nave ed andando a sedere sul teschio di drago che utilizzava come trono.
Afferrò una delle bottiglie di rum che teneva vicino a sé e la buttò giù in qualche sorso, lanciandola poi fuori dalla nave.
Digrignando i denti si grattò la pancia, mentre continuava a leggere: intanto, in silenzio tutta la nave era salita a vedere dalla curiosità.
Il capitano alzò lo sguardo dopo aver finito di leggere e guardò i suoi sottoposti, alzando un sopracciglio dopo averli visti riuniti:
“Che volete?”
“Notizie da Marfangoso?” chiese Shakkar, il cuoco della ciurma.
“No, è mio fratello…”
“Un fratello?! Il capitano ha un fratello?!” esclamò Arma, l’artigliere capo.
“Lo conosci anche, stronzo!” urlò ancora, alzandosi dal trono.
Un solo urlo del capitano poteva far indietreggiare mozzi e redazzatori, tremolanti e spaventati davanti l’imponenza del ragazzo.
“Penso di dover andare… forza, salite. Discorsone del capitano.”
Ora stranita, la ciurma si guardò e tanti sguardi incerti volarono fra i vari membri. Dopodiché, ogni membro salì e tutti si riunirono attorno al capitano ed i membri più anziani della nave.
“Signori… Brodo di Pollo… Uova… non sono bravo con i discorsi, ed a voi non interessa quello che devo fare perchè sono CAZZI MIEI! MA! Devo allontanarmi per un po’ di tempo. Tuttavia! Tengo a questa nave. E tengo a quello che facciamo. QUINDI! Essendo che non voglio lasciare la nave alla rovina più totale mentre sono via, da ora prenderete ordini dal Signor Levia e Shakkar… mi terrò in contatto con loro, quindi fate attenzione perchè non appena sentirò anche una sola lamentela tornerò ad uccidere chiunque stia facendo danni… o lo darò in pasto a Jõrmadsõr. Sono stato chiaro?”
“SÌ CAPITANO!” esclamò la ciurma, con alcuni membri anche commossi dalle terribili parole del pirata.
“Ora portatemi a Marfangoso che ho della roba da prendere… chissà se quel tipo che fa finta di essere me è ancora vivo.”
La ciurma si rimise in moto e cambiò rotta alle parole del capitano, mentre il Signor Levia e Shakkar si avvicinavano: Levia era un elfo oscuro alto e dalle orecchie puntute, serio ed impenetrabile, mentre Shakkar era un uomo squalo lievemente panciuto e dalla rossa bandana.
“Grazie per l’incarico, signore.” disse Levia, chinando il capo in segno di ringraziamento.
“Successo qualcosa? Chi ti ha chiamato?” disse Shakkar, abbassando la voce per non far sentire agli altri.
“Quello scemo.”
“Marbell?”
“Lui. Vuole partire per un’avventura… ma probabilmente ha avuto problemi ed ha bisogno di aiuto, quindi sbrighiamoci.”
Il Signor Levia, che raramente si scomponeva, alzò le sopracciglia stupito nel vedere la preoccupazione e premurosità di Saromis, che per un attimo tremò anche nello stringere la sigaretta che stava portando in bocca.
“Chissà che cazzo ha combinato adesso quell’idiota.” mormorò, stringendo la sigaretta fra i denti.
Andò al timone e diede una pacca al ragazzo che lo teneva, guardando la nave in moto e nel pieno del suo splendore: sul suo volto comparve un sorriso compiaciuto mentre fumava. Lievemente sollevato dalla brezza marina ed il movimento delle vele, tolse la sigaretta dalla bocca e soffiò fuori il fumo:
“Qualcuno pulisca le mie armi prima di arrivare, e sbrigatevi con questo gioiello!”
“SÌ CAPITANO!!!”
…
“Tu invece… va tutto bene?” aggiunse poi Saromis.
“Parlate con me, capitano?” mormorò Shakkar.
“No che non parlo con te, coglione!” rimproverò, per poi sussurrare dopo una piccola pausa silenziosa: “rispondi, non farmi preoccupare.”
Stai tranquillo, va tutto bene… vuole vedervi.
“Mh… bene.”
Attento quando arrivi… ci sarà-
“Lo so. Ma faccio il cazzo che voglio.”
Si, hai ragione. Perdonami…
…
Pensare a suo fratello non portava la memoria solo a bei ricordi.
Prese il suo coltello dalla tasca, incamminandosi verso la propria stanza.
Sedette sul letto, impugnando saldamente la lama.
Tolse il cappotto che utilizzava, iniziando a tastarsi la schiena per cercare una cicatrice molto specifica.
Toccandola riusciva ancora a sentire il suo urlo di quel giorno.
“Si sta rimarginando…” pensò.
Non doveva.
Affondò il pugnale all’interno della cicatrice, riaprendola nuovamente.
Con essa i ricordi, il dolore.
Con essa… la rabbia.
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