Irene, dalla finestra del suo appartamento, osserva le vite che scorrono nel palazzo di fronte: si interroga, muove pensieri verso esistenze sconosciute, in attesa di comprendere la propria.
È sposata con Riccardo e insieme a lui decide di prendersi cura di Shadon, un indiano che lava i vetri delle auto al semaforo e che si è rotto la tibia. Lavora come segretaria per Silenti, dietologo e psicologo. Nel contratto è prevista una singolare clausola: un’ora di seduta settimanale con il dottore. In quei momenti Irene ferma l’anima, confessa inquietudini e vuoti non ancora colmati. Fino al giorno in cui percepisce di avere una finestra in pancia: non è più tempo per cercare luoghi, ma finalmente per essere luogo.
Puntuale, quando inizia la primavera, la signora della finestra di fronte sistema le calle fiorite.
Irene non ha mai assistito a quel rituale che all’improvviso fa comparire sul balcone, in fila come soldatini, le calle bianche con le foglie rigogliose. Sa che un giorno al risveglio le ritroverà e proverà il solito stupore. Una accanto all’altra, maestose e luminose, sono lì. Sull’attenti, s’innalzano come calici di champagne.
Glielo ha fatto notare Riccardo qualche anno prima: «Le calle e le orchidee, se ci fai caso, hanno una forma tipicamente femminile per raccogliere il seme ed elevare il loro fiore verso il cielo al ritorno di ogni primavera».
Su quel balcone, che Irene fissa incantata, non ci sono altri fiori. Solo le calle.
Dove le terrà durante tutti gli altri mesi dell’anno? si interroga dentro di sé.
Il loro appartamento non è grande, lei e Riccardo riescono a viverci a malapena. Può ospitare soltanto il tronchetto della felicità e una pianta di orchidee che le hanno regalato in occasione del matrimonio.
Sul suo balcone ciclicamente fioriscono, muoiono e rinascono soltanto i fiori delle pianticelle che riesce a tenere, come i ciclamini che nel periodo della ricomparsa delle calle le hanno regalato un’inaspettata fioritura fucsia dopo un inverno di silenzio.
Da un balcone all’altro le piante sembrano affacciarsi e salutarsi. Anche la signora del piano di sotto ha travasato i gerani nuovi, colorando il davanzale di rosso.
Irene fissa il bianco delle calle, il rosso dei gerani, il fucsia dei suoi ciclamini, il celeste dei fiori del primo piano che non riesce a identificare.
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«È primavera e la natura esplode» le dice Riccardo.
È mattino presto e come ogni giorno il palazzo di fronte dorme ancora.
C’è solo la signora del piano di sopra ancora in vestaglia, seduta su uno sgabellino, con la sigaretta in bocca e il telefono in mano. Mentre parla, sorride.
Dai tratti non sembra italiana. Irene e Riccardo sanno che fa la badante perché diverse volte hanno intravisto un’anziana che sta in piedi a fatica, appoggiata alla porta che si affaccia sul balcone. Spesso la donna si alza di scatto e urla: «Arrivo!». Il mattino presto è il suo momento di tregua per un caffè, una sigaretta e una telefonata.
«A chi telefona così presto?» È la domanda rituale di Irene.
«Forse alla figlia.»
«Così presto?»
«Magari vive in America.»
«La vedo al telefono ogni volta che la incrocio sul balcone.»
«Farà telefonate hot» dice Riccardo.
«Chissà. E chissà cosa pensa lei di noi» si domanda Irene.
Abita in quell’appartamento da cinque anni, da quando vive con Riccardo. Lei e le vite di fronte sono separate da pochi metri e unite da tanta curiosità.
I balconi donano spaccati intimi ed estranei allo stesso tempo. Perché i brasiliani dell’ultimo piano periodicamente appendono un orsacchiotto bianco ad asciugare? Di notte, tra le ombre del buio, fa impressione: sembra un bimbo impiccato. Riccardo lo detesta.
«Perché continuano ad appenderlo?»
«Avranno un bambino piccolo» risponde Irene.
Eppure su quel balcone non si vedono mai bambini, dall’interno non si sentono pianti e urla. Dai vetri della finestra si può solo riconoscere il monitor di un televisore che trasmette indifferente i suoi programmi.
«Forse semplicemente lo sporcano.»
Le calle, l’orsacchiotto, il telefono della badante, la persiana sempre abbassata della signora Marisa che non ama la luce, le ultraottantenni del primo piano che dedicano ore a stendere con cura due panni e altrettanto tempo impiegano per controllarli e raccoglierli quando fa caldo. Affacciata al balcone, Irene le osserva ignare di essere viste.
«Sembra maggiore il tempo per stendere due mutandine di quello per asciugarle» commenta di solito.
Quest’ultimo spaccato la intenerisce tantissimo: le sembra un gesto pieno di cura per la vita, compiuto da quelle due donne anche quando tutto ormai è agli sgoccioli, abbandonato a se stesso.
Ogni segno distintivo che viene dal palazzo di fronte cattura la sua attenzione.
Intanto la signora straniera continua a parlare al telefono, mentre loro fanno colazione.
«È strano come cogliamo pezzi intimi di chi ci vive di fronte. In fondo anche la signora ci vede sempre mentre mangiamo e stiamo in cucina. Chissà che idea ha di noi.»
Poi scoppia a ridere, ricordando quella volta in cui Riccardo, non si sa se per scherzo o per davvero, le aveva detto che gli aveva fatto l’occhiolino e mandato un bacio con la mano. Irene ci aveva riso su perché, anche se fosse stato vero, era segno di una profonda solitudine.
Non la preoccupano i baci della signora di fronte, paonazza in volto, con i fianchi larghi, la pancia gonfia, i capelli schiariti e le gambe in bella mostra: non è attraente per Riccardo e lo sa.
Lei e Riccardo osservano spesso i balconi: la solitudine e l’anonimato di quelle finestre li preoccupa.
«Dobbiamo fare qualcosa.»
«Cosa?»
«Qualcosa.»
È un dialogo quasi quotidiano dopo la colazione, senza idee e di poche parole, mentre lui mette su il secondo caffè e lei rapidamente sciacqua le tazze bagnate di tè.
«Sì, bisogna fare qualcosa per questa solitudine» dice Riccardo, consapevole di una preoccupazione che non avrà seguito e che rimarrà strozzata tra i pensieri del primo mattino.
«Ora è tardi. Andiamo a vestirci che fra poco dobbiamo uscire di casa» gli risponde Irene per rimetterlo in contatto con la vita, consapevole che le preoccupazioni delle esistenze altrui anche per quel giorno rimarranno sospese e sostituite da pensieri e impegni vari.
«Sì, andiamo.»
Annalisa Margarino
Oggi Cristina che non ha direttamente un account per commentare: ho letto il tuo libro, è pieno di vita, dall’inizio alla fine. È un nascere di relazioni, consapevolezze, sentire, condizioni nuove…
Elisa Lubiano (proprietario verificato)
I libri che ho letto di Annalisa sono veri e propri viaggi nel vissuto dei protagonisti. Mi sono sentita accolta nella mente dei personaggi, nello snocciolare la loro visione del mondo.
francescocarrassi1960
Un romanzo vivo, accattivante, tutto da “vivere”.
Irene, curiosa e piena di vita, è sempre stata desiderosa di scoprire.
Si ritrova così ad interrogarsi sul perché delle vite degli altri e rimane per tutto il tempo di ricerca in attesa di scoprire la propria.
Irene si dimostrerà molto forte e ostinata nell’inseguire le sue ricerche.
Irene darà il via a un gioco del vivere di cui non conosce bene le regole.
Irene con la sua dolcezza e la sua ingenuità ci condurrà in una lettura forse d’altri tempi, ma che ci scalderà il cuore.
Pensieri, sensazioni mai provate che l’autrice Annalisa Margarino ci regala con la sua scrittura chiara, precisa e poetica.
La storia scorre con il giusto ritmo.
La sua scrittura è un crescendo di emozioni e non si incorre in nessun momento di incerta narrazione.
Con precisione e dettaglio sono delineati i personaggi.
Da non perdere.
Ho letto questo romanzo con profondo coinvolgimento.
Chi si addentra nel racconto ne rimarrà illuminato.
Annalisa Margarino vi condurrà in una lettura che vi farà riflettere.
Lo stile dell’autrice è assolutamente in linea con le storie raccontate.
Romanzo molto ben curato.
La trama è senza dubbio interessante, mai noiosa.
Ritmo narrativo eccellente.
Da leggere.
Francesco Carrassi