Rispondo, cercando di sembrare quanto più lucido possibile. “Bisogna pulire. Via dei Borghi 7.” Nessuna informazione in più. Le chiamate di lavoro sono sempre così. Dopotutto a me basta sapere solo quello. Guardo l'orologio. Sono le quattro e mancano meno di due ore al sorgere del sole. Devo fare in fretta. Indosso gli abiti da lavoro, e preparo l’ occorrente che mi servirà per pulire tutto a fondo. Ho i prodotti giusti. Quando li acquisto guardo sempre le etichette per verificare che siano utili per ciò a cui mi serviranno. Sono molto preciso. Per questo sono considerato uno dei migliori.
Quando esco dal palazzo una ventata di calore mi assale. Siamo in estate e questo periodo dell'anno è il peggiore. Salgo in auto, che ho parcheggiato a venti metri da casa, una zona tranquilla, poco trafficata. Imposto il navigatore. So dove andare. È a un quarto d'ora di distanza. Non ci sono mai stato prima ma tra le strade della città mi districo bene. Sono diventato esperto delle zone, soprattutto quelle impervie. La strada è dissestata in alcuni punti e questo fa traballare la mia macchina.
Dopo dieci minuti, un po’ prima del tempo previsto, giungo a destinazione. Inizialmente non vedo nulla. La strada si dirama in strette vie laterali, con alberi dal piccolo fusto sui due lati. Poi scorgo una villetta e capisco che si tratta del posto giusto, o almeno mi sembra abbia le caratteristiche giuste. Proseguo con l’auto e parcheggio fuori casa. Prendo dal bagagliaio l’attrezzatura e indosso la tuta e i guanti, copri scarpe e mascherina. Sono gesti automatici che compio da ormai cinque anni. Ma ogni volta sono teso come fosse la prima. Non so mai cosa mi aspetta e questa cosa mi impone una certa cautela. “ Non parlare, non domandare” questo il mantra che mi accompagna da sempre.
Fuori la porta c’è un uomo. È grosso e alto. Ha i capelli raccolti in una coda di cavallo e indossa un jeans nero con sopra una t shirt che gli tira sulla pancia. Mi guarda e subito capisce chi sono. Bussa due volte e fa aprire la porta dall'interno. Un altro soggetto mi aspetta all'ingresso. È un tipo pelato e bassino. Senza dirmi nulla mi indica con il braccio dove devo andare.
La stanza si trova in fondo al corridoio, sulla destra. È ampia e ha una finestra spalancata. Entro e subito un odore acre mi attraversa la mascherina finendo nelle narici. Lo spettacolo che mi si presenta davanti agli occhi è forte. Il sangue è ovunque. I mobili e il pavimento ne custodiscono grandi tracce. Ispeziono dall'alto al basso in modo che al mio occhio non sfugga nulla. Le poche tracce fresche sulle ante superiori dell’armadio riesco a toglierle facilmente. Il lato della stanza, alla mia sinistra, è pulito. Ora però mi tocca l'altro lato. Il mobile accanto alla porta, ne ha molto di più. Pulisco con prodotti estremamente naturali e costosi. Il legno è pregiato e potrebbe rovinarsi. Ci metto un po’ di più. Ora manca il pezzo più importante della stanza: il pavimento. È lì che si trova il cadavere. Afferro nella mia attrezzatura il telo che mi serve per avvolgerla. Lo faccio velocemente, come mio solito. Si tratta di una ragazza. Ha il volto tumefatto e deformato dai colpi ricevuti. È giovane. La sistemo per bene e la inserisco nel sacco che ho portato. Mi dedico poi al pavimento. Faccio in modo che torni lucido, come prima che tutto questo succedesse. Il mio compito è quasi giunto al termine.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui mi hanno proposto questo lavoro. Ero in un bar, con una birra in mano, di sabato pomeriggio. “ Fiordaliso” era un ritrovo per gente senza futuro. Piccoli delinquenti in cerca di incarichi per fare due soldi e poi gente come me. Avevo appena perso il lavoro. Impiegato in un'impresa di pulizie che aveva chiuso per colpa della crisi. Mentre bevevo con lo sguardo perso nel vuoto, mi sento toccare una spalla: è Franco, un tipo che abita nel mio palazzo con il quale scambio a volte due parole.
-Ho saputo che hai perso il lavoro mi disse con sicurezza. Non so nemmeno come facesse a saperlo.
-Ma non preoccuparti, ho io qualcosa per te.
-E di cosa si tratta? chiesi incredulo e speranzoso allo stesso tempo.
-Tu quanto prendevi per pulire le scale dei palazzi? mi chiese con tono ironico.
-Mille euro al mese, più o meno.
Dalla sua bocca uscì una risata sguaiata. Mi strinse il braccio e si avvicinò al mio viso.
-Moltiplica questa somma per cento e riduci di molto le ore. Il tuo prossimo impiego ha queste caratteristiche. E poi farai quello che sai fare meglio, pulire. Diciamo che potresti essere uno spazzino un po’ speciale. Pensaci.
Mi lasciò un biglietto tra le mani e andò via.
Forse non avrei dovuto accettare, ma il bisogno di soldi era più forte. Dopo poco è iniziata la mia carriera.
Prendo la sacca sulle spalle. Non faccio fatica. È leggera. Mi avvicino nuovamente al piccoletto all’ingresso.
– Io ho finito. Tendo la mano aspettando il compenso.
Una mazzetta di banconote passa dalle sue mani alle mie. Non le conto ma sono molte. Ogni volta ricevo una somma diversa, in base alla difficoltà.
Esco da quella casa e resetto ogni immagine nella mia mente. Non mi interessa ricordare nulla. Non devo ricordare nulla. Apro il bagagliaio e sistemo il corpo. Mi spoglio in fretta e metto tutto in una busta di plastica.
Entro in auto e guido velocemente. Non manca molto al sorgere del sole. So dove andare. Un corso d'acqua qui vicino. Nascosto e profondo al punto giusto. Un rumore strano proviene dal retro dell'auto. Spengo la radio per sentire meglio, non mi sbaglio. Il sudore scende dalla mia fronte. Quella donna non è morta.
Accelero il più possibile per arrivare al fiume. Parcheggio e apro il bagagliaio. Il sacco si muove. Il corpo al suo interno non è privo di vita, come credevo. Non mi è mai successo. Ho paura. E non so cosa fare.
La prendo con forza, e mi avvicino all'acqua. Lo getto e aspetto che nulla si veda in superficie. Davanti a me solo acqua scura e sopra un cielo quasi mattutino. Torno in fretta in auto. Chiudo la portiera e mi tolgo in fretta dalla testa anche quest’ultima azione. È ufficiale. Sono diventato un assassino.
Capitolo 2
-Papà, mi fai volare di nuovo?
Lo afferro tra le braccia e lo sollevo.
-In alto fino a toccare il cielo.
I suoi occhi si illuminano come smeraldi, di un verde intenso. È bellissimo, uguale a sua madre.
-Ora basta, è ora di cena, rientriamo.
Con passetti veloci, il mio piccolo ometto entra in casa, nella nostra villetta, immersa nel verde.
Entro anche io, attraversando il vialetto illuminato.
Un profumo di pollo al forno pervade l’aria.
-Hai fatto un capolavoro, come sempre, del resto.
Anna si gira di scatto e mi sorride. Lei e Giulio sono uguali, mi sembrano due versioni della stessa persona.
-Sempre il solito esagerato. Non ci vuole molto a riempire il pollo di spezie, circondarlo di patate e infornarlo.
-Non sminuirti. Tu sei la migliore cuoca, e il tuo pollo non ha eguali.
-Va bene, grazie. Ora però vai a fare la doccia a Giulio, che tra un po’ si mangia. Sicuramente sarà davanti alla tv.
È come dice lei, steso davanti alla televisione. Lo prendo sulle spalle e vado di sopra.
Mi piace tanto occuparmi di mio figlio, è la cosa più bella della mia vita.
Giochiamo con le bolle di sapone che volano copiose. Giulio prova ad afferrarle ma scoppiano appena le sfiora. Guardo l’orologio. È mezz’ora che siamo in bagno. Lo asciugo velocemente, lo vesto, e scendiamo al piano di sotto. La tavola è apparecchiata e il pollo è appena stato sfornato e regna al centro.
-Finalmente, credevo l’acqua vi avesse inghiottiti.
Si avvicina a me e mi accarezza, dopo aver riempito di baci nostro figlio.
-Sono felice che stia lavorando meno.
-Le cose al locale vanno bene, e posso tranquillamente lasciare Pietro a occuparsene. La mia famiglia è ormai al primo posto nella lista.
-Domani andiamo al luna park?
La voce di Giulio si fa strada sopra le altre.
-Certo tesoro, te l’ho promesso.
La cena trascorre serenamente. Risate e parole dolci fanno da sfondo. Dopo aver mangiato ci guardiamo un film sul divano e non ci vuole molto prima che Giulio si addormenti tra le mie braccia.
Anna lo prende con delicatezza e insieme lo portiamo nel suo letto, lasciando la luce sul comodino accesa e la porta non chiusa del tutto.
-Nostro figlio ha un’energia inesauribile.
-Una delle poche cose che ha preso da me. Quando ero piccolo anche io non scherzavo.
-Lo so, e non mi pare che ora sia molto diverso.
È vero. L’uomo che conosce Anna è così. Ha un carattere esplosivo, pieno di voglia di fare, dopo aver trascorso anni a costruire il suo futuro, ha trovato la donna della sua vita, l’ha sposata e ha fatto insieme a lei un figlio meraviglioso. Tutto il resto non ha alcuna importanza. La vita precedente non esiste più, da molto ormai.
Aspetto che Anna si addormenti, per andare al piano di sotto, come faccio ogni notte. Non riesco a dormire, non posso. Ho provato ogni genere di tranquillante, di ogni tipo, ma nessuno fa effetto. Gli incubi popolano i miei sogni. I morti, troppi morti. Le mie azioni passate non si dimenticano. Riesco a crollare a notte inoltrata due tre ore al massimo, e mi alzo dal divano poco prima che suoni la sveglia di Anna.
È bello riempirla di baci, stringere il suo corpo al mio. Le nostre anime si intrecciano e il mio cuore torna a battere normalmente.
Ed è proprio quando i miei occhi cominciano chiudersi che entra Giulio. Un salto e arriva dritto in mezzo a noi.
-Buongiorno ometto!
Tanto solletico per iniziare al meglio la giornata. Ovviamente non manca molto al bisogno impellente di colazione che costringe Anna a scendere di sotto.
Io resto pochi minuti ancora disteso. Non è facile iniziare con una forza che non possiedo. Dormire poco non mi permette di essere come vorrei, ma non posso farmi vedere giù, la mia famiglia ha bisogno di me. Racimolare qualche ora di sonno nell’arco della giornata, approfittando dei riposini di mio figlio, mi permette di non crollare. Devo essere all’altezza della famiglia che ho creato.
Capitolo 3
Il luna park non è affollato. È lunedì e sono pochi i papà liberi dal lavoro. Più tardi dovrò passare al locale per vedere come se la cava Pietro. Un bar-ristorante, che ho costruito anno dopo anno. Un’attività che inizialmente ho dovuto seguire di persona, dal mattino alla sera, senza troppo spazio da dedicare a Anna e Giulio. Poi tutto è andato per il meglio. Le prenotazioni sono aumentate, e avere accanto un socio mi ha concesso l’aria della quale avevo bisogno. Un investimento fatto in maniera oculata che in poco tempo mi ha permesso di avere un’agiatezza e una tranquillità mai sperate.
-Papà dove sei?
-Ma qui con voi, che domande!
Lo afferro e lo faccio volteggiare in aria. Le ore scorrono velocemente tra un’attrazione e l’altra.
-Nessuna giostra spaventosa.
Le parole di Anna riecheggiano lontane, ma io e il mio piccolo siamo già abbracciati sul trenino dei fantasmi. Ci piace un mondo spaventarci e stringerci facendoci coraggio, non possiamo evitare di andarci. Forse la notte di Giulio sarà popolata da qualche incubo, ma ci sarò io a farlo riaddormentare.
-È stata una magnifica giornata. Anna ha le gote rosse, come sempre quando è felice.
-Devi proprio andare, papà?
Lo prendo in braccio e gli parlo da grande, come piace a lui.
-Non farò tardi, ma lo sai che ho un lavoro, e quando si ha un lavoro, bisogna occuparsene. Lo zio Pietro è bravo, ma ha bisogno anche di me, e tu lo capisci vero amore?
Annuisce, adora quando deve mostrare di comprendere dinamiche così lontane.
Salgo in auto, guardando i loro volti dissolversi nello specchietto retrovisore. Basta poco per tornare alla realtà. Il traffico della città che ti inghiotte, i clacson che ti perforano i timpani. Riesco a stare poco, non sono più abituato. I suoni che le mie orecchie tollerano sono i canti degli uccelli e il verso di qualche animale notturno.
-Ciao Lucia, come va?
La direttrice di sala, donna di 28 anni, magra e di bella presenza, mi accoglie.
-Buonasera, qui tutto bene. È un piacere vederla.
-Il signor Martini è dentro?
-Sì, è in ufficio.
Mi faccio strada tra i tavoli, la sala è affollata, come sempre.
Una porta conduce a uno stretto corridoio e in fondo c’è l’ufficio di Pietro.
-Ciao Leo.
Pietro mi saluta con il tono solito. Ma non è solo. Il mio sguardo si sposta in un secondo e vedo lui, Franco, l’uomo che mi aveva trovato il lavoro precedente.
-Cosa ci fai qui?
-Mi aspettavo un’accoglienza diversa. E vabbè, posso capirti.
Sono anni che non lo vedo ma non è cambiato affatto. Ha un aspetto rude, e un viso scavato sulle guance.
-Ti devo parlare.
-Non credo sia il momento né il luogo adatto.
-Non ti preoccupare, possiamo farlo tranquillamente. Pietro è un amico, e non solo tuo.
A quelle parole il battito mi balza in gola. Non servono altre domande per capire tutto. Pietro l’ho conosciuto anni fa, tramite amici comuni. Un legame trasformatosi in rapporto di fiducia dentro e fuori il lavoro. Accanto a me, come solo un fratello potrebbe. Pronto a sostenermi nelle difficoltà e a contribuire in ogni maniera possibile.
-Mi dispiace.
Non può dire altro. Un tradimento resta tale, non esistono parole migliori per presentarlo.
-Credevi fosse stata la buona sorte a portarti Pietro davanti ai piedi?
Franco ride di gusto, in maniera sguaiata.
-Cosa vuoi, anzi, cosa volete da me? Pensavo che tra noi i rapporti fossero finiti tempo fa, ne ho pagato anche caro il prezzo.
-In un’amicizia sincera non esiste la parola fine. Basta ritrovarsi e tutto torna come prima.
-Non sono più quella persona. La mia vita è cambiata.
-Troppo velocemente, però. Sei sparito quella notte. Un altro al posto tuo non ne sarebbe uscito indenne. Ti abbiamo tenuto sotto controllo per un po’ e abbiamo visto che forse meritavi un’occasione. Hai avuto spirito d’iniziativa e hai ingranato. Così ti abbiamo trovato qualcuno che ti affiancasse. Insomma c’è stato un lavoro di squadra.
-Che cosa volete da me?
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