Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors

L’ultima Convergenza

740x420 - 2023-04-27T111154.274
19%
162 copie
all´obiettivo
40
Giorni rimasti
Svuota
Quantità
Consegna prevista Gennaio 2024
Bozze disponibili

Due sconosciuti, un incidente, un avvenimento impossibile… e Agatha. Lei sapeva questo e molto altro. La Convergenza li avrebbe riuniti tutti in qualcosa di più grande. Per il loro bene. Per il bene del mondo intero.
Adam, un ragazzino di 11 anni nel 2009 sarà protagonista insieme a Richard, un ingegnere negli anni ’80. Non si conoscono ma sono indissolubilmente legati da un grande destino. Dopo l’incidente non sapranno più chi sono e la realtà stessa non apparirà più reale. Incastrati in un incubo, dovranno trovare un senso alla loro situazione impossibile. L’incontro con Agatha renderà il tutto ancor più assurdo. Ma non sempre le cose sono come sembrano e non tutto il male vien per nuocere. La Convergenza darà un senso a ogni cosa.

Perché ho scritto questo libro?

Era il momento giusto per scrivere.
La vita mi ha offerto un sogno unico, da cui ho tratto le basi per questo libro (il vero autore è il mio subconscio, lo ammetto). Parallelamente ero stato lasciato a casa dalla ditta per cui lavoravo fino a pochi giorni prima. Avevo tanto tempo libero, un’idea concreta e la possibilità di dedicarmici. “L’ultima Convergenza” è la realizzazione di un sogno, in tutti i sensi. È ciò che da sempre aspettavo: la possibilità di ispirare il mondo con una storia.

ANTEPRIMA NON EDITATA

ADAM

21 ottobre 2009

1

[11 ore e 23 minuti alla Convergenza.]

Agatha lo sapeva fin troppo bene. L’ultima a cui assistere. L’ultima per entrambi…

«Che cosa ci faccio qui?» pensò Adam aprendo gli occhi.

Circondato da una spiaggia paradisiaca, si ritrovò con i piedi immersi nel bagnasciuga, scrutando perplesso il cielo. Le nuvole, perfettamente allineate sullo sfondo ceruleo, davano un effetto di innaturale ordine. Dietro di esse notò il progressivo formarsi d’una figura, come di un gigantesco volto sfocato. D’un tratto il cielo iniziò ad illuminarsi, quasi a perdere l’azzurro per lasciar spazio al bianco. Le nuvole, viceversa, iniziarono ad ingrigirsi, trasformandosi in cupe macchie nere dalle più svariate forme dai contorni ben definiti.

Adam iniziò a camminare confuso verso quell’enorme viso fluttuante, finché un assordante stridio alle sue spalle e una voce lontana che pronunciava il suo nome catturarono la sua attenzione.

Continua a leggere

Continua a leggere

«Chi sei?» urlò Adam iniziando a correre verso quel suono. Questo si fece sempre più intenso e improvvisamente il giovane si sentì strattonare il busto da una forza invisibile.

«Scusa amico», udì al di sopra di lui.

Adam ripeté la sua domanda a gran voce, poi tutto si fece buio.

«Chi… sei?» si ostinò a chiedere. Percepì la propria voce ovattata.

«Quella che ti toglierà la paghetta se non ti alzi subito!» rispose sua madre infuriata.

Adam aprì a fatica gli occhi verso quei suoni minacciosi, sbiascicando parole indefinite con la voce impastata dal sonno. Realizzò di essere appena tornato dalla dimensione sogno. Insoddisfatto della conclusione di quest’ultimo, chiese di poter dormire altri due minuti.

«Stai scherzando?! Sono già le sette e mezza. Dovevi essere in piedi un quarto d’ora fa», sbraitava la povera Elizabeth. «Tutte le notti fai il furbo andando a letto tardi per quei maledetti videogiochi e ogni mattina devo pregarti. Sono stufa marcia! Sarebbe la terza volta che arrivo in ritardo in ufficio per colpa tua. Quindi alzati subito o ti lascio qui, e quando oggi torno dal lavoro saranno affaracci tuoi. Hai dieci minuti.»

E proferita quest’ultima minaccia, uscì stizzita dalla stanza di fronte alla molle reazione del figlio al suo monologo.

“Che palle…” pensò Adam, radunando poi ogni buona volontà e provando a tirarsi giù da quel letto che pareva fatto di sabbie mobili dannatamente comode. Dopo vari goffi tentativi di alzarsi, misti a versi inquietanti di stanchezza e sofferenza, si diresse in bagno.

«Adam, seriamente… non puoi andare avanti così», disse sconsolata sua madre guardandolo sul water dove probabilmente aveva ripreso a dormire. «La scuola è iniziata da appena un mese e mezzo e se già in seconda media prendi questo andazzo siamo a posto!»

Adam si limitò a fare un mugolio di indifferente approvazione.

«Hai esattamente dieci minuti per prepararti e fare colazione, intesi?»

«Okay mamma, agli ordini», rispose con stanca superficialità.

Elizabeth uscì, dirigendosi in camera da letto.

Sciacquatosi la faccia, Adam impugnò lo spazzolino come fosse una katana e iniziò ad agitarlo simulando un antico samurai alle prese in uno scontro. Afferrò il dentifricio con l’altra mano, si mise in posizione d’attacco e lanciò un’occhiata di sfida alla sua immagine riflessa. Pronto ad affrontare l’impegnativo compito della pulizia orale mattutina venne scosso dalla voce tuonante di sua madre, che passando davanti al bagno gli urlò «Muovitiii! Non perderti come tuo solito.»

“La mamma al mattino e in ritardo è un demone d’altissimo livello. Potrebbe incenerirmi con le sue feroci urla”, pensò divertito Adam. Le sfoggiò subito un ghigno furbesco e finalmente concluse la sua routine bagno.

Arrivato in cameretta prese il suo zaino. Tirò fuori il diario di scuola per vedere quali torture avrebbe sopportato quel giorno durante le lunghe sei ore. Appena lette le soporifere materie, prese in primis il suo mazzo di carte da gioco fantasy, oggetto indispensabile per superare la noia che aspettava lui e l’amico Henry. Prese distrattamente da una mensola i libri e quaderni necessari e li buttò nello zaino. “Come se il teorema di Pitagora fosse utile, certo”, rifletté ingenuamente guardando il libro di Matematica. Afferrò poi il cellulare e inviò un messaggio all’amico scrivendogli di portarsi dietro il proprio mazzo di carte. Era sicuro che lo avrebbe portato; lo aveva con sé praticamente sempre. Come però gli insegnava suo padre: “non dare mai nulla per scontato, non fidarti mai piccolo mio” (seguendo poi vari aneddoti della sua vita da idraulico). 

Mancavano solo quattro dei famosi dieci minuti imposti da Elizabeth prima che lei scatenasse l’apocalisse in terra. Prese quindi la prima felpa, maglietta e pantalone trovate nell’armadio, le indossò al volo e si avviò in cucina.

«Stai bene», lo sorprese sua madre con tono neutrale guardando l’abbinamento di vestiti: una felpa bordeaux cernierata con cappuccio, una maglietta verde militare con raffigurato un drago nero e dei pantaloni sportivi scuri. Ai piedi le solite scarpe sportive che come lui molti adolescenti usavano in quell’anno.

«Ora però muoviti a mangiare qualcosa e andiamo che siamo già in ritardo» concluse, recuperando quella nota di nervoso che l’accompagnava dal risveglio del figlio.

Adam andò in dispensa, prese due merendine, ne infilò una in tasca e l’altra nello zaino, riempì la sua borraccia d’acqua fresca e decise ad alta voce di far colazione in macchina. La madre alzò gli occhi al cielo e lo avvertì di non sbriciolare, per evitare l’ira di suo padre Frank. Era un omone di cinquant’anni, alto quasi due metri e dalla possente stazza. I suoi folti capelli riccioluti e il barbone scuro lo facevano apparire come un bruto minaccioso, anche se chi lo conosceva sapeva benissimo l’orso buono che era. Paragonato a Elizabeth, era praticamente il doppio. Lei era una bellissima donna minuta poco più giovane, che col giusto tacco sfiorava il metro e sessanta. I lunghi capelli corvini e profondi occhi smeraldo le donavano un’elegante bellezza che Frank non mancava mai di apprezzare.

Il grosso idraulico e la piccola poliziotta formavano a loro modo una strana coppia vincente.

2

Durante il viaggio verso scuola, Adam si chiedeva su quali tecniche avrebbe imparato quella sera a Kung Fu, o se il maestro Wong avrebbe temprato i loro giovani spiriti con uno dei suoi mortali allenamenti. “Dopo settimane sullo stile della mantide, è ormai giunto il momento di apprendere qualche novità, no?” pensava tra sé e sé. In fondo, come avrebbe potuto difendersi nel mondo post-apocalittico in cui era tanto convinto di vivere in futuro senza un’adeguata padronanza nelle arti marziali? Inconcepibile, a detta di Adam, la cui mente era impregnata di un po’ troppa fantasia.

«Hai fatto tutti i compiti per oggi?» chiese sua madre, destandolo dai suoi variopinti pensieri.

«Si mamma, si… ho fatto tutto. Invece ti volevo chiedere secondo te quando ci sarà la prossima guerra mondiale», ribatté Adam con spontanea serenità, noncurante della gravità del quesito.

«Oh, santa miseria Adam! Devo ancora digerire il caffè, ti prego. Non ne ho proprio idea e spero il più tardi possibile, magari tra cent’anni. Ma che domande sono alle otto meno dieci del mattino? Pensa piuttosto a studiare e non distrarti a lezione.» Lo sguardo di Elizabeth era perplesso e preoccupato, come ogni volta che riceveva insoliti quesiti da parte del figlio.

«Okay, okay. Scuuusa… era tanto per parlare. Non c’è solo la scuola, che palle», replicò Adam sconfortato da quella risposta.

«Sei un ragazzo sveglio, e lo sai. Però non sovraccaricarti la testa di problemi così grandi. Goditi i tuoi undici anni.».

Adam non rispose e continuò a fissare fuori dal finestrino, assorto nei suoi pensieri.

Il panorama mattutino era sempre il solito: la strada sotto casa, il minimarket subito svoltati a destra, un sacco di palazzi grigi e tristi, il parco, il negozio di elettronica del quartiere e a seguire molti altri palazzi e negozi del tutto anonimi ai suoi occhi.

«Stasera ti porterà papà a Kung Fu, ricordatelo. Anzi, ricordaglielo.»

«Okay…» annuì Adam senza distogliere lo sguardo dal finestrino.

3

Dopo l’ultima svolta a sinistra arrivarono di fronte alla scuola di Adam: un grande e semplice edificio di tre piani con mattoni a vista ed evidenti segni d’usura del tempo. Una rampa di gradini portava all’ingresso, incorniciato da due colonne che sorreggevano la scritta ottonata Ferdinand School, in onore del suo fondatore quasi cento anni fa.

Parcheggiata la macchina, un ragazzo dell’età di Adam gli aprì la portiera, esclamando con accento british degno d’un maggiordomo: «Buongiorno presidente, l’aereo la attende.»

«Oh, eccellente Henry, eccellente» rispose lui rimarcando lo stesso tono, provocando a entrambi dopo pochi istanti una compiaciuta risata. «Ciao bro’, com’è?», continuò poi. Non c’era un motivo particolare che li avesse portati a chiamarsi bro’ a vicenda; semplicemente avevano seguito l’assurda moda adolescenziale del momento che abusava nell’utilizzo delle prime tre lettere di brother.

«Ne ho una voglia oggi… Comunque, ho da farti vedere delle novità nel mio mazzo di carte» rispose Henry, passando da una voce smorta a un ghignare diabolico degno d’un cattivo dei film.

«Hey voi due, poche chiacchere e dritti a scuola, forza», li interruppe Elizabeth facendogli segno di andare.

«Okay ma’, a stasera.»

«Va bene signora White, a presto.»

Dopodiché si diressero verso l’entrata.

Iniziata la rampa di scale si palesò davanti a loro un ragazzone grassoccio dallo sguardo arrogante, seguito da altri tre ragazzini, il quale spintonò Henry sorridendo.

«Hey tu, lo sai che non sono ammessi ghoul a scuola. Torna nella tua grotta», disse ridendo con spocchia. I ragazzini dietro si misero a sghignazzare ripetendo l’appellativo di “ghoul” al povero sfortunato.

«Nathan, ogni mattina la solita storia… Hai rotto il cazzo.» Esclamò Adam piazzandosi tra lui ed Henry.

«Levati nano prima che ti schiacci», ribadì spostandolo col suo grasso braccio lentigginoso.

Il gruppetto di bulli guardò i due dall’alto al basso e si diresse all’ingresso. Nathan si voltò all’ultimo per un’ultima spocchiosa esclamazione: «Ci vediamo dopo, sfigati.»

«I soliti stronzi», sottolineò a bassa voce Adam guardandoli.

«Ma si, fregatene… Sono solo invidiosi. Sanno che noi siamo migliori di loro, quindi provano a buttarci giù così. Ma ci vuole ben altro per abbattere uno come me.» La positività di Henry era qualcosa fuori dal comune: nonostante le avversità aveva sempre da sorridere e scherzare. Adam lo stimava moltissimo, soprattutto in questi momenti, nascondendo una velata invidia a riguardo. Nonostante i problemi fisici di Henry, il suo aspetto estetico e i problemi in famiglia, Henry non mancava mai di sorridere o di mostrare euforia per qualcosa. Probabilmente era la sua arma contro il mondo, o semplicemente era ancora troppo bambino per essere pienamente consapevole delle circostanze.

Da ormai sette anni erano grandi amici. Si conobbero metà della prima elementare, quando Henry si trasferì in città. Arrivato in classe, venne subito travolto dallo spirito socievole di Adam che si presentò chiedendogli quali giochi gli piacessero. Da lì si innescò una solida amicizia, rafforzata anche dalla vicinanza tra lui e la casa dell’amico, la quale distava solo pochi isolati.

In terza elementare, durante una scampagnata a casa dei nonni di Adam, i due intrapresero un tortuoso sentierino di montagna con le biciclette, non curanti dell’acquazzone della sera precedente. Arrivati quasi in fondo al percorso, Henry perse il controllo della guida a causa della fanghiglia, finendo nel dirupo sottostante e riportando gravi lesioni. Dopo tre mesi costretto a letto, riprese la normale quotidianità con però un handicap: avrebbe zoppicato per sempre con la gamba sinistra. Questa caratteristica, unita al fatto di essere un ragazzino molto più alto della media e dal fisico gracile, lo portò ad essere il bersaglio ideale dei bulletti. La situazione peggiorò arrivati alle medie, dove dovette passare dalla malvagità dei bambini dispettosi alla crudeltà degli adolescenti insicuri. Già dalla prima settimana venne preso di mira dal bulletto della scuola Nathan: un orco sovrappeso di due anni più grande con il volto ricoperto di lentiggini e un’unta chioma di ricci capelli color carota. Nonostante Henry fosse capace di sorvolare sui suoi insulti, Adam non sopportava i maltrattamenti all’amico. Da buona testa calda qual era, affrontava la situazione di petto.

Richard avrebbe presto cambiato ogni cosa.

Agatha lo sapeva.

4

I due si diressero a lezione.

«White e Robinson, alla buon’ora! Sono già passati cinque minuti dal suono della campanella. Sedetevi subito e prendete il libro a pagina 117», disse indispettita la signora Wright vedendoli entrare in classe per ultimi.

«E chi la sopporta ‘sta qua per due ore?» sghignazzò sottovoce Adam nel dirigersi al banco.

La lezione proseguiva lenta, così lenta che Adam iniziò a chiedersi se quella donna avesse il superpotere di congelare il tempo. Incuriosito da tale congettura, si domandò quali superpoteri potessero avere i diversi professori per affliggere i poveri studenti, volando nella propria fantasia, totalmente indifferente alla lezione.

«Henry», sussurrò Adam mantenendo lo sguardo fisso sul libro per non attirare l’attenzione della prof.

«Dimmi bro’.»

«Secondo te la Wright ha il potere di congelare il tempo?»

«Beh, probabile. Dall’inizio della lezione sono passati solo quaranta minuti, eppure mi sento già più vecchio di un anno.»

«E se ogni professore avesse un superpotere per torturare gli studenti? Per esempio la Sm—.»

«White! Sembra molto interessato alla lezione vedo. Perché non spiega ai suoi compagni cos’ho appena letto?» lo interruppe la signora Wright con aria di sfida.

Seguì un triste silenzio misto a versi di apparente riflessione, tra i quali un mhmm, un ehm e un convinto allora…, senza però alcun risultato.

«Sicuramente il suo compagno Robinson sarà felice di darle una mano in questa spiegazione», proseguì lei dopo i lunghi secondi di imbarazzante silenzio a cui aveva dovuto assistere.

«Certamente prof, ne sarei lieto» rispose Henry guadagnando un tono degno di un venditore di aspirapolveri porta a porta, iniziando un fluido monologo ricco di aria fritta.

Fu bruscamente interrotto dopo meno di trenta secondi dalla professoressa che, di tutti i difetti che poteva avere, non era certamente stupida.

«Evitiamo altre distrazioni per favore. La prossima è una nota, mi sono spiegata?»

La lezione riprese il suo lento scorrere.

Troverai qui tutte le novità su questo libro

Commenti

  1. Giada Dumarte

    Un libro ben scritto, una storia che ti tiene sul filo fino alla fine, la scena del cimitero mi ha fatta piangere, l’autore è riuscito a pieno a far entrare il lettore nel personaggio di Adam, trasmettendo la sua paura, il suo dolore..
    Non ho mai letto un libro del genere, con una storia ti spiega una filosofia importante sulla vita e sulla morte.
    Super consigliato!

Aggiungere un Commento

Condividi
Tweet
WhatsApp
Lorenzo Raiola
Dopo 28 anni su questa terra, una mia breve biografia la si può riassumere così: sono un sognatore da che ho ricordo. Mi è sempre piaciuto creare, sia cose materiali che mentali. Il mio connubio vincente che vivo ad oggi è fare sia l’idraulico (ereditato da mio padre) che lo scrittore. Parallelamente pratico yoga da diversi anni, disciplina che mi ha aiutato a creare la storia racchiusa nel mio libro. Vivo a Genova insieme alla mia compagna Giada, con cui un giorno farò famiglia. Le devo molto poiché è stata lei a darmi quella spintarella necessaria a stravolgere la mia vita per scrivere questo libro. Nonostante ami il mio attuale mestiere, credo di poter offrire di più al mondo di un bel bagno nuovo o la riparazione di un tubo.
Lorenzo Raiola on Facebook
Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors