Matteo è un trentenne precario che oscilla annoiato tra lavori che non lo soddisfano. L’inquietudine che lo muove è causata anche dalla perdita precoce del padre, di cui non si è mai dato ragione. Inaspettatamente, però, gli viene offerto un impiego con uno stipendio stratosferico. L’unico problema è che sarà un operatore dell’Ufficio delle Morti Umane, deputato ad accompagnare i morituri nella scelta della loro morte. Il solo motivo per cui accetta è che il suo superiore, il viscido ed enigmatico Aaron Bestatter, gli promette di consegnargli il quaderno sul quale il padre di Matteo scriveva le storie che gli raccontava da bambino, scomparso misteriosamente il giorno della sua morte. In un susseguirsi di colpi di scena, rappresentati con ironia, levità e un velo di tristezza, Matteo si troverà a fronteggiare la possibile morte delle persone a lui care e troverà soluzioni creative con le quali befferà il gelido Aaron. Per poi riappacificarsi, finalmente, con la morte di suo padre.
Perché ho scritto questo libro?
Ho sempre cambiato i finali: la “Guerra di Piero”, per me, finiva con Piero e l’altro soldato che mollavano i fucili per far pace.
Da adulto, poi, ho imparato che nella vita reale non sempre c’è un lieto fine. Eppure conservo l’idea di un posto dove le cose brutte abbiano la possibilità di un’altra lettura. Da qui è nata L’ultima Ninna Nanna. Non ho voluto rimuovere la malinconia o la tristezza, ma solo aprire i finali chiusi e insoddisfacenti che vedo capitare alle persone nella vita reale.
ANTEPRIMA NON EDITATA
PROLOGO
Il grosso logo di Raiplay prepotenteggiava sullo schermo della tv del signor Gandazzo, in attesa che la sincronizzazione con la Chromecast, regalo di Natale del nipote Tommaso, andasse a buon fine, permettendogli di vedere un po’ di episodi di Don Matteo.
Dopo una vita passata a lavorare per garantire il benessere alla sua famiglia, oggi l’esistenza del signor Gandazzo era caratterizzata fondamentalmente da due soli piaceri: chiacchierare con Tommaso delle sue vicissitudini amorose e del futuro da pittore che il nipote si augurava e godersi qualche episodio della sua fiction preferita con una Menabrea ghiacciata al fianco.
Quella sincronizzazione, però, non arrivò mai. Non per il signor Gandazzo, almeno, che crepò di lì a poco per un attacco di cuore. Per la precisione, la vita lasciò il suo corpo quando il Sector fissato al polso da dodici anni indicò le ventidue e diciannove del ventotto gennaio 2020.
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Le cose andarono così, non c’è dubbio. I rapporti dell’ambulanza lo certificarono con la granitica certezza della scienza. Questo, almeno, se si decide di vedere le cose in un certo modo. Il mio amico direbbe, non senza qualche licenza, accettando di vedere le cose secondo il tempo spazializzato di Bergson, ma lasciatelo perdere, quello lì: non è di grande compagnia e quando interviene rompe le scatole con i suoi filosofi.
Tornando all’affaire Gandazzo, si può scegliere di vedere le cose anche in un altro modo (il mio amico direbbe secondo la durata reale – ancora con quel fenomeno del suo Bergson, che però quando elaborò questo pensiero non era ancora morto, quindi che diavolo ne poteva sapere?).
In ogni caso, se si decide di guardarla in un modo diverso, alle ventidue e diciannove del ventotto gennaio 2020, il signor Gandazzo riuscì a diventare onnisciente, vide gli infiniti mondi possibili che sarebbero seguiti alle sue infinite dipartite e scelse.
Come riportato senza ombra di dubbio dal modulo 28Aut, custodito nell’Archivio Delle Morti Umane, redatto e firmato dal funzionario G.A. e controfirmato dallo stesso signor Gandazzo, il ventotto gennaio 2020, alle ventidue e diciannove, il signor Gandazzo incontrò il mio amico e scelse di crepare per un attacco di cuore.
Non poté fare altrimenti – direbbe lui: posta la parola “fine” alla sua esistenza sulla terra, quello era l’unico modo per garantire che gli eventi evolvessero nel modo migliore per lasciare a Tommaso l’opportunità di essere felice.
Nel lunghissimo istante di illuminazione del quale si ritrovò involontariamente protagonista, il signor Gandazzo ebbe modo di apprezzare molti altri finali che gli avrebbero consentito di prendersi qualche soddisfazione: una rivincita su Luigi, suo vecchio collega alle Ferrovie dello Stato, un accidente a JJ, suo rivale in amore della gioventù, e persino una punizione esemplare per il diacono Abetecola – uomo che aveva ammirato per tutta la vita e che aveva scoperto, in quegli ultimi istanti di piena e totale lucidità, essere un ladro spregevole, capace di truffare le vedove che si rivolgevano a lui per un consiglio. Molti finali e altrettante rivincite, ma, come si rese presto conto grazie alla sua nuova onniscienza, il valore delle sue scelte avrebbe caratterizzato anche il suo ultimo istante sulla terra.
E Tommaso era l’unica scelta che gli importava.
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